Prima Che Fugga. Блейк Пирс

Prima Che Fugga - Блейк Пирс


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perché ho parlato con lei prima della cerimonia” rispose Ellington. “Le ho detto di levarsi dai piedi appena finito.”

      “Che maleducato. Ma perché?”

      “Perché ho convinto McGrath a concederci fino al prossimo lunedì. Ho impiegato tutto il tempo e lo stress che avrei dedicato ai preparativi per le nozze per programmare la luna di miele.”

      “Che? Mi prendi in giro?”

      Lui scosse la testa in segno negativo. Mackenzie lo avvolse in un abbraccio, non ricordando un altro momento in cui si era sentita tanto felice. Le sembrava di essere una bambina che aveva ricevuto tutto quello che desiderava a Natale.

      “Ma quando ci sei riuscito?”

      “Per lo più in orario di lavoro” disse con un sorrisino. “Adesso sbrighiamoci. Dobbiamo fare sesso e le valigie. Il nostro aereo per l’Islanda parte tra quattro ore.”

      Quella destinazione in un primo momento le parve strana, poi però ricordò la conversazione sulla lista delle cose da fare che avevano avuto quando lei aveva scoperto di essere incinta. Cose che avrebbero voluto fare prima di mettere al mondo un figlio. Una delle proposte di Mackenzie era fare campeggio sotto l’aurora boreale.

      “Ok, allora andiamo. Anche perché, per come mi sento in questo momento e visto quello che ho intenzione di fare con te appena siamo a casa, non so se ce la faremo ad arrivare in aeroporto in tempo.”

      “Agli ordini, signora” disse lui affrettandosi verso l’uscita. “Ma ho una domanda.”

      “E sarebbe?”

      Fece un sorrisetto e le chiese: “Adesso posso chiamarti signora Ellington?”

      Il cuore di Mackenzie le sobbalzò in petto. “Immagino di sì” disse. Poi lei ed Ellington uscirono dalla porta, entrando nel mondo per la prima volta come coppia sposata.

      CAPITOLO DUE

      Uccidere non era stato affatto come si era aspettato. Credeva che ci sarebbe stata una fase di che cosa ho fatto? Magari un momento di enorme senso di colpa per aver in qualche modo stravolto la vita di un’intera famiglia. Invece non c’era stato nulla di tutto ciò. L’unica cosa che aveva provato dopo gli omicidi – dopo aver ucciso entrambe le sue vittime – era un opprimente senso di paranoia.

      E anche, ad essere onesti, di gioia.

      Forse era stato uno stupido ad affrontare tutto in modo così casuale. Si era sorpreso di quanto gli fosse sembrato normale. L’idea l’aveva terrorizzato, almeno fino a quando non aveva stretto il loro collo nelle sue mani – stringendo con forza e rubando la vita da quei bellissimi corpi. La parte migliore era stata vedere la luce nei loro occhi spegnersi. Era stato inaspettatamente erotico, la cosa più vulnerabile a cui avesse mai assistito.

      La paranoia, invece, era peggio di quanto avesse immaginato. Non era riuscito a dormire per tre giorni, dopo aver ucciso la prima. Con la seconda, invece, si era preparato. Un paio di bicchieri di vino rosso e un sonnifero subito dopo l’omicidio e aveva dormito a meraviglia.

      L’altra cosa che lo infastidiva era quanto fosse stato difficile abbandonare la scena del crimine la seconda volta. Il modo in cui era caduta, il modo in cui la vita era scivolata via dai suoi occhi in un istante... gli aveva fatto desiderare di restare lì a fissare i suoi occhi appena morti per vedere quali segreti celassero. Non aveva mai provato impulsi del genere prima, anche se, a dire il vero, fino a un anno prima non si sarebbe nemmeno mai sognato di uccidere qualcuno. A quanto pareva, oltre ai gusti, poteva capitare di cambiare anche valori morali.

      Rifletteva su questo seduto davanti al camino. La casa era avvolta nel silenzio più totale, al punto che poteva sentire il rumore delle proprie dita che si muovevano sul calice di vino. Bevve un sorso di vino rosso osservando il fuoco scoppiettare.

      È questa la tua vita, adesso, si disse. Hai ucciso non una, ma due persone. Certo, era necessario. Hai dovuto farlo, altrimenti per te sarebbe finita. Anche se tecnicamente quelle ragazze non meritavano di morire, è stato necessario.

      Se lo ripeté più e più volte. Solo così era riuscito a non farsi schiacciare dal senso di colpa. Forse era questo che aveva dato modo alla paranoia di prendere il sopravvento.

      Si aspettava che da un momento all’altro la polizia bussasse alla sua porta. O magari una squadra speciale, con tanto di ariete da sfondamento. E la cosa peggiore era che sapeva di meritarselo. Non si illudeva di farla franca. Immaginava che un giorno la verità sarebbe venuta fuori. Era così che andava il mondo, ormai. Non esisteva più la privacy, non potevi vivere la vita che ti eri scelto.

      Perciò, quando fosse giunto il momento, era sicuro che avrebbe saputo affrontare il suo destino come un uomo. L’unica questione che rimaneva era: quante ancora ne avrebbe dovute uccidere? Una piccola parte di lui lo implorava di smettere, tentando di convincerlo che il suo lavoro fosse concluso, che non dovesse più morire nessun altro.

      Ma lui era convinto che non fosse così.

      E il peggio era che la prospettiva di uscire e uccidere di nuovo suscitava in lui un’eccitazione che divampava ardente come il fuoco che aveva davanti.

      CAPITOLO TRE

      Si rendeva perfettamente conto che era semplicemente dovuto al cambiamento di scena, ma il sesso nella selvaggia natura islandese, proprio sotto il maestoso vorticare dell’aurora boreale, era fenomenale. La prima notte, dopo che lei ed Ellington avevano concluso i festeggiamenti, Mackenzie aveva dormito bene come non le capitava da parecchio tempo. Si era addormentata felice, fisicamente appagata e con la sensazione di una vita che cresceva dentro di sé.

      Il mattino seguente si svegliarono e bevvero un caffè amarissimo davanti ad un piccolo falò nell’accampamento. Si trovavano nella parte nord-orientale del paese, a circa dodici chilometri dal Lago Mývatn, e Mackenzie aveva l’impressione che fossero le uniche due persone sulla faccia della Terra.

      “Che ne diresti di mangiare del pesce per colazione?” chiese Ellington di punto in bianco.

      “Direi che vanno bene fiocchi d’avena e caffè” rispose.

      “Il lago è a soli dodici chilometri da qui. Potrei pescare un paio di pesci, così mangeremmo un vero pasto da campeggio.”

      “Sai pescare?” fece lei, sorpresa.

      “Prima ci andavo spesso” disse lui. Negli occhi aveva uno sguardo distante, che Mackenzie ormai sapeva significare che quello di cui stava parlando faceva parte del suo passato, probabilmente legato al suo primo matrimonio.

      “Questa la voglio proprio vedere” disse Mackenzie.

      “È scetticismo che sento nella tua voce?”

      Mackenzie non disse altro, alzandosi e raggiungendo il fuoristrada che avevano preso a noleggio. “Il pesce mi sembra un’ottima idea” disse infine.

      Salirono in macchina e si avviarono diretti al lago. Mackenzie ammirò gli spazi immensi e i fiordi; il paesaggio pareva uscito da una fiaba. Tutto in netto contrasto con il trambusto di Washington, a cui ormai aveva fatto l’abitudine. Si voltò a guardare Ellington, che era al volante. Aveva un aspetto meravigliosamente rude, con i capelli ancora scompigliati per aver passato la notte nella tenda. Quella sera avevano in programma di prendere una stanza in un piccolo hotel, in primo luogo per potersi fare una doccia prima di tornare all’accampamento, ma Mackenzie doveva ammettere che vederlo così poco curato aveva un che di affascinante. Vederlo così, in qualche modo, le rendeva molto più semplice immaginare di passare il resto della vita insieme a lui.

      Venti minuti dopo avevano raggiunto il lago, ed Ellington era seduto su un vecchio molo traballante con in mano una canna da pesca presa a noleggio. Mackenzie si limitò a osservarlo, scambiando con lui solo poche parole. Le piaceva vederlo fare qualcosa che non si sarebbe mai nemmeno immaginata potesse fare con piacere. Questo le fece realizzare che c’era


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