Il Ritorno. Морган Райс
sebbene quel contesto fosse certamente di aiuto. Era il fatto che ora Kevin poteva respirare a pieni polmoni senza provare dolore, e stare lì in piedi senza lo stordimento che gli derivava dalla leucodistrofia che minacciava di travolgerlo. Era così strano starsene lì a quel modo, e più Kevin vi rimaneva, più era certo che tutta la sua vita fosse stata influenzata dalla sua malattia. Aveva pensato che si fosse presentata nella sua vita solo pochi mesi prima, ma con un solo respiro aveva capito che invece l’aveva avuta da sempre, da subito lì in agguato e in attesa, e lui se n’era accorto solo quando si era fatta più invasiva.
Rimase fermo lì ad ammirare l’enormità e la bellezza del mondo che lo circondava, e l’emozione gli parve semplicemente travolgente. Gli erano successe così tante cose, e adesso si sentiva più in forma che mai. Lo stesso aveva la percezione di essere piccolo in proporzione a tutto ciò che gli stava attorno. Era come se ci fossero troppe cose che lui ancora non sapeva, troppe cose che doveva ancora imparare e capire. Aveva tutta la sua nuova vita da trascorrere, e c’erano così tante cose da fare e imparare, che non sapeva proprio da che parte cominciare.
“Kevin, stai bene?” chiese Chloe uscendo dietro di lui.
Per un momento o due Kevin avrebbe voluto nascondersi dietro alla stranezza di tutta quella situazione che aveva vissuto. Avrebbe voluto dirle che era solo lo shock di ciò che era successo, o quell’improvvisa guarigione. Avrebbe voluto fingere che tutto andasse bene. Avrebbe voluto mentire, anche se Chloe era una persona che non meritava bugie.
Ma sapeva di non poterlo fare.
“Io… Chloe, devo dirti una cosa.”
“Sei innamorato di Luna,” disse lei. Rimase ferma lì, immobile come una statua, senza dire niente, ovviamente aspettando che fosse Kevin a decidere di prendere la parola. Gli ci volle qualche secondo, semplicemente per lo shock di aver sentito Chloe svelargli quella cosa prima di lui.
Annuì. “Io… siamo amici da sempre. Penso a lei tutto il tempo. Vorrei… vorrei poter provare questo per te, ma non è così.”
Chloe rimase ferma lì per quella che gli parve un’eternità, e Kevin si trovò a desiderare di non averle inflitto quel genere di dolore, anche se sapeva che non ci sarebbe stata altra scelta. Non voleva farle del male, ma non voleva neanche mentirle. Kevin si aspettava che esplodesse, che gli gridasse contro, che reagisse con quel genere di emozioni che sempre la riempivano fino all’orlo. Invece lei rimase ferma come una statua.
“Sì,” disse alla fine. “Lo so.”
“Lo sai,” disse Kevin. “Tutto qui?”
“Cosa vuoi che dica?” ribatté lei più dura, e Kevin percepì il dolore nella sua voce. “Fa male, ovvio che fa male, ma nell’Alveare ho visto quanto peggio potessero andare le cose. Ho visto quanto sia malvagio tentare di forzare quello che si prova nelle persone. Ho…”
Kevin vide le lacrime che iniziavano a salirle agli occhi e automaticamente le mise un braccio attorno alle spalle, stringendola a sé per confortarla. Era piuttosto sicuro che se uno diceva a qualcun altro che non lo amava, non avrebbe dovuto offrirsi di confortarlo, ma non poteva farne a meno.
“Mi spiace,” disse. “Vorrei…”
“Cosa vorresti, Kevin?” chiese Chloe. “Che niente di tutto questo fosse successo? Non desiderarlo. Io non lo vorrei.”
Una parte di Kevin lo desiderava, nonostante tutto. Desiderava che l’invasione degli alieni non ci fosse mai stata. Desiderava non aver aperto la capsula che avevano inviato, o di essere stato capace di fare qualcosa per fermare i danni che erano stati causati. Non poteva neanche contare il numero delle persone cui era stato fatto del male, o peggio, a causa dei ciò che era successo. Se avesse potuto riportare indietro quelle cose, l’avrebbe fatto, semplicemente perché odiava l’idea che nell’universo ci fosse del dolore generato da lui. Eppure se tutto questo non fosse successo, lui non avrebbe mai incontrato Chloe. E non avrebbe mai fatto neanche la metà delle cose strabilianti che aveva compiuto.
Kevin allora capì che Chloe aveva ragione: non dovevano desiderare che le cose fossero andare in modo diverso. Ad ogni modo continuava a pensare a come risponderle quando vide il cielo che iniziava a farsi più scuro, con una forma fin troppo familiare che si posizionava sopra al mondo.
“No,” sussurrò. “No…”
La navicella madre dell’Alveare si mise in posizione come una specie di scherzo visivo: un momento la si vedeva e l’attimo dopo no. Stava sospesa sopra al mondo degli Ilari, ne dominava l’orizzonte e delle navicelle da atterraggio già iniziavano ad uscirne, dando l’impressione che muovere una cosa così grande e terrificante fosse una bazzecola.
Kevin vide il generale s’Lara accorrere sul balcone con lo stesso orrore che provava lui in quel momento. Avevano pensato di essere salvi. Avevano pensato per lo meno di avere tempo.
“Com’è possibile?” chiese. “Come hanno fatto a trovarci quando li avevamo seminati?”
Guardò Kevin e Chloe, poi si voltò verso Ro, che si trovava ancora all’interno dell’infermeria. I suoi sospetti erano ovviamente per Kevin, ed era difficile non condividerli. Non che Kevin pensasse che Ro avesse potuto fare qualcosa del genere apposta, ma era forse possibile che in lui ci fossero dei residui di connessione con l’Alveare? E se invece stavano seguendo le tracce di Kevin e non di Ro?
Stava ancora pensando quando Chloe si fece avanti, tendendo il braccio.
“Sta… sta pulsando. Penso… penso che lo stiano tracciando. Levatemelo. Levatelo!”
Kevin non sapeva davvero cosa dire. Sopra di loro la navicella madre stava ferma in posizione, sputando fuori navicelle più piccole che promettevano nient’altro che morte. Kevin sollevò lo sguardo verso di esse. Gli sembrava tutto così ingiusto. Gli Ilari lo avevano appena salvato, gli avevano appena concesso una possibilità di vivere il resto della sua vita.
Ora l’Alveare era lì, e Kevin non capiva in che modo sarebbero potuto scampare alla morte.
CAPITOLO CINQUE
Luna era… Luna era. Doveva cercare di ricordarselo. Doveva ricordare che lei esisteva, ed era reale, e non era solo… solo… il ricordo e le parole le stavano scivolando via anche se lei e il resto dei… i Sopravvissuti, ecco, stavano andando verso le fabbriche che avevano scelto come posto dove avrebbero trovato con maggiore probabilità quello di cui avevano bisogno.
Luna era furiosa all’interno della gabbia, tirava le sbarre d’acciaio come se le sue mani potessero essere in grado di strapparle. Ora vedeva il sangue su quelle sbarre, e non ricordava da dove venisse. Era per i suoi attacchi al metallo o era qualcos’altro? Cercava di trattenersi, ma non aveva alcun controllo sul proprio corpo. Gli alieni che la comandavano volevano che lei trovasse un modo per uscire da lì, per uccidere, senza pensare a quanto questo potesse nel frattempo danneggiarla.
“Tieni duro, Luna,” disse Ignazio. Anche lui sembrava preoccupato ora. “Troveremo un modo per elaborare la cura. Ti riporteremo a quello che eri prima. Tornerai te stessa.”
Ma non era a se stessa che Luna pensava adesso. Stava pensando a Kevin. Kevin era l’unico ricordo al quale lei si riuscisse a tenere, come uno scalatore si sarebbe tenuto a una roccia per paura di precipitare. Stava aggrappata alla sua immagine, ma ora anche i ricordi di lui stavano iniziando a sbiadirsi, sempre più sbrindellati ai confini, come un… come un… non ricordava neanche cosa. Ricordava di aver viaggiato con lui per il paese. Ricordava i momenti divertenti prima che tutto questo avesse inizio, quando erano due amici, ma anche tante di quelle cose avevano cominciato a scivolarle via. Ad ogni modo Luna si teneva stretta a Kevin con tutta la forza possibile, e così facendo le parve di poter trattenere anche parte del resto. Riconosceva il cane Bobby che correva in mezzo al gruppo, il più vicino possibile a lei. Ora non stava ringhiando, ma forse era perché capiva che in quella condizione non poteva fare del male a nessuno.
Si stavano avvicinando alle fabbriche adesso, e Luna vide gli altri che si guardavano attorno