La Bugia Perfetta. Блейк Пирс

La Bugia Perfetta - Блейк Пирс


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pugnalata, ma piuttosto dall’intensità della sua ultima sessione di terapia effettuata il giorno precedente. L’indolenzimento generale era invece un ricordo del vero attacco di suo padre otto settimane prima.

      Le aveva tagliato la carne subito sotto la spalla destra con una ferita che le era arrivata nei pressi del fegato, falciandola tra muscolo e tendine. L’intervento chirurgico che ne era conseguito aveva richiesto trentasette punti di sutura.

      Con la testa ancora frastornata, Jessie si alzò dal letto e si diresse verso il bagno. Una volta arrivata nella stanza, si guardò nello specchio e controllò le sue ferite. Con gli occhi passò in rassegna la cicatrice sul lato sinistro dell’addome, un regalo permanente causato da un colpo di attizzatoio a opera del suo ex marito. Notò anche di sfuggita la cicatrice d’infanzia che le attraversava buona parte della clavicola, un ricordo questa volta del coltello di suo padre.

      Si concentrò invece sulle diverse ferite risultanti dall’effettivo combattimento letale che aveva avuto contro suo padre. Le aveva inferto diversi colpi con il coltello, soprattutto attorno alle gambe, lasciandovi cicatrici che non sarebbero mai scomparse e che le avrebbero impedito di indossare un costume da bagno senza rischiare di attirare gli sguardi scioccati di chi l’avesse vista.

      Il colpo peggiore l’aveva raggiunta alla coscia destra, dove lui le aveva piantato il coltello nell’ultimo fallito tentativo di liberarsi dalle sue ginocchia che gli stavano schiacciando le tempie. Ora non zoppicava più, ma provava un certo disagio ogni volta che esercitava una certa pressione sulla gamba, vale a dire ogni volta che faceva un passo. Il terapeuta diceva che c’erano stati alcuni danni ai nervi e che anche se il dolore sarebbe diminuito nel giro dei mesi successivi, non sarebbe mai scomparso del tutto.

      Nonostante tutto questo, le era stato permesso di tornare al lavoro come profiler forense al Dipartimento di Polizia di Los Angeles. Il suo primo giorno di lavoro sarebbe stato l’indomani, cosa che poteva aiutare a spiegare il motivo dell’incubo molto realistico che aveva appena avuto. Ne aveva fatti molti altri, ma questo sicuramente li batteva tutti.

      Jessie si raccolse i capelli in una coda di cavallo e studiò il proprio volto con i suoi penetranti occhi verdi. Fino ad ora non aveva nessuna cicatrice, e le avevano detto che la cosa era piuttosto stupefacente. Così slanciata, alta quasi un metro e ottanta, era stata spesso scambiata per una modella sportiva, anche se dubitava che avrebbe mai potuto fare un lavoro del genere, soprattutto adesso che il suo corpo era così martoriato. Del resto però, per essere una donna di appena trent’anni che ne aveva già passate così tante, aveva l’impressione di reggere meravigliosamente.

      Si diresse in cucina, si versò un bicchiere d’acqua e si sedette al tavolino della colazione, rassegnandosi alla possibilità di non riuscire a dormire ancora molto per quella notte. Si era abituata alle notti insonni fin da quando aveva avuto alle calcagna due serial killer che le davano la caccia. Ma ora uno dei due era morto e l’altro aveva apparentemente deciso di lasciarla stare. Quindi, teoricamente, probabilmente sarebbe stata davvero capace di rimettersi in sesto. Ma non sembrava funzionare esattamente così.

      In parte, non poteva essere certa al cento per cento che l’altro serial killer che si era interessato così tanto a lei, Bolton Crutchfield, fosse davvero scomparso del tutto. Tutto indicava che le cose stessero così: nessuno l’aveva visto o sentito da quell’ultimo avvistamento otto settimane prima. Non era emersa una sola pista.

      E, cosa più importante di tutte, Jessie sapeva di piacergli in un certo modo non-assassinesco. Le innumerevoli conversazioni che aveva avuto con lui nella sua cella prima che fuggisse avevano stabilito una sorta di connessione tra loro. In effetti era stato proprio lui a metterla in guardia contro la minaccia di suo padre in ben due occasioni, mettendo i bastoni tra le ruote al suo stesso mentore. Sembrava essere passato dalla parte di Jessie. Quindi perché non poteva fare anche lei la stessa cosa? Perché non permettersi di passare una buona nottata di sonno ristoratore?

      In parte probabilmente c’era la semplice incapacità di lasciar andare tutto definitivamente. E poi era ancora fisicamente acciaccata. Inoltre, tra cinque ore avrebbe ricominciato a lavorare, probabilmente in coppia con il detective Ryan Hernandez, nei confronti del quale provava dei sentimenti complicati, per farla breve.

      Sospirando rassegnata, Jessie passò ufficialmente dall’acqua al caffè. Mentre aspettava che si preparasse, si aggirò per l’appartamento, il terzo nel giro degli ultimi due mesi, controllando che tutte le porte e le finestre fossero ben chiuse.

      Questo avrebbe dovuto essere il suo nuovo indirizzo semi-permanente, e ne era piuttosto contenta. Dopo aver rimbalzato impotente tra diverse location approvate dal servizio federale statunitense, alla fine le avevano permesso di metter voce in materia di casa. I federali l’avevano quindi aiutata a trovare un posto e l’avevano messo in sicurezza per lei.

      L’appartamento si trovava all’interno di un condominio di venti piani a pochi isolati dal suo ultimo vero appartamento nel quartiere alla moda del centro di Los Angeles. L’edificio disponeva di una sua squadra di sicurezza e non c’era una sola guardia nella lobby. C’erano sempre tre guardie in servizio: una pattugliava il garage mentre un’altra faceva regolari giri ai vari piani.

      Il parcheggio era messo in sicurezza per mezzo di un cancello sorvegliato 24 ore al giorno, 7 giorni su 7. I guardiani del cancello erano tutti poliziotti in pensione. C’era un metal detector incorporato nella porta d’accesso dedicata ai non residenti che entravano nell’edificio. Tutti gli ascensori avevano una doppia chiave e riconoscimento tramite impronta digitale. Ogni piano del complesso, incluse le strutture di lavanderia, palestra e piscina, avevano numerose videocamere di sicurezza. Ogni unità abitativa era dotata di pulsanti di allerta e accesso interfono diretto alla sicurezza. E questa era solo la dotazione dell’edificio.

      Oltre a questo c’erano la sua arma di servizio e le ulteriori misure di sicurezza che i federali le avevano permesso di impostare all’interno dell’appartamento e che includevano balconi di sicurezza, vetri antiproiettile alle finestre, porta scorrevole sul patio e porta d’accesso di spessore doppio che era quasi impossibile da scardinare, oltre a videocamere con sensori di movimento e di calore che si potevano accendere e spegnere usando il cellulare.

      Infine c’era un’ultima precauzione, la preferita di Jessie. Viveva al tredicesimo piano, anche se, come in molti altri edifici, quel piano non esisteva. Non c’era nessun pulsante nell’ascensore. L’ascensore di servizio poteva fermarsi al piano, ma questo richiedeva la presenza di una guardia di sicurezza per potervi accedere. Per avere accesso al piano in normali circostanze, era necessario fermarsi al dodicesimo o al quattordicesimo e aprire una porta che dal corridoio era contrassegnata come “Ingresso pannello di servizio”.

      La porta conduceva effettivamente a una stanzetta con il pannello di servizio. Ma sul retro della stanza si trovava un’altra porta con la scritta ‘magazzino’, per cui era richiesta una chiave speciale. La porta dava accesso a una scala che portava al tredicesimo piano, dove si trovavano otto appartamenti, proprio come agli altri livelli.

      Ciascuno di questi appartamenti era occupato da persone che chiaramente tenevano particolarmente alla loro privacy, alla loro sicurezza o a entrambe le cose. Nella settimana che Jessie aveva trascorso lì, aveva incontrato in corridoio una nota attrice della televisione, un avvocato di alta levatura e un controverso presentatore radiofonico.

      Avendo fatto le cose a regola d’arte con il divorzio, Jessie non si doveva preoccupare del costo. E grazie ad alcuni sconti dovuti alla sua appartenenza al Dipartimento di Polizia di Los Angeles e all’intervento del Servizio Federale, alla fine la sistemazione non risultava costosa quanto si era immaginata. E ad ogni modo ne valeva la pena, se il risultato era il suo benessere mentale. Ovviamente aveva pensato che anche la sua ultima casa fosse stata un posto sicuro.

      La macchinetta del caffè emise il suo segnale acustico e Jessie andò a versarsi una tazza. Mentre preparava la bevanda, aggiungendo panna e zucchero, si chiese se fossero state prese misure speciali per proteggere anche Hannah Dorsey. Hanna era la ragazza di diciassette anni che si era trovata legata alla sedia e imbavagliata quando Xander Thurman l’aveva costretta ad assistere mentre lui assassinava i suoi genitori e quasi uccideva anche Jessie.

      I


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