Il Nostro Sacro Onore. Джек Марс

Il Nostro Sacro Onore - Джек Марс


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      Lei sorrise e scosse la testa. Adesso la osservò riattraversare la stanza, stavolta più veloce. Per un breve istante, immaginò un altro mondo, un mondo in cui non facevano quei lavori. Diavolo, magari persino un mondo in cui erano entrambi disoccupati. In quel mondo, lei poteva risalire subito nel letto con lui.

      Susan raccolse il telefono. “Buongiorno.”

      Il volto le cambiò mentre ascoltava la voce all’altro capo della linea. Ne uscì tutto il divertimento. La luce negli occhi sbiadì, e il sorriso crollò. Fece un respiro profondo e lasciò uscire un lungo sospiro.

      “Ok,” disse. “Scendo tra quindici minuti.”

      Riappese.

      “Guai?” disse Luke.

      Lo guardò, gli occhi che mostravano una cosa – vulnerabilità, forse – che alla tv le masse non vedevano mai.

      “Quand’è che non ci sono guai?” gli disse.

      CAPITOLO OTTO

      7:30 ora della costa orientale

      Sala operativa

      Casa bianca, Washington DC

      L’ascensore si aprì e Luke entrò nella sala operativa a forma di uovo.

      Il grosso Kurt Kimball si trovava in fondo alla stanza, in piedi, la testa calva che splendeva, e scorse subito Luke. Kurt di solito teneva quelle riunioni con mano di ferro. Aveva una tale profonda, agevole ed enciclopedica padronanza delle cose del mondo, che la gente tendeva a seguire la sua guida.

      “Agente Stone,” disse. “Sono contento che si sia potuto unire a noi a quest’ora.”

      C’era un sottotesto, sarcasmo persino, nell’affermazione? Luke decise di lasciar perdere.

      Scrollò le spalle. “Mi ha chiamato la presidente. Sono arrivato appena ho potuto.”

      Guardò la stanza.

      Ultramoderno, il luogo era molto più che una sala conferenze – era organizzato per il massimo utilizzo dello spazio, con grandi schermi incassati nelle pareti ogni sessanta centimetri, e un gigantesco schermo di proiezione sulla parete in fondo al tavolo. Sulla tavola, tablet e sottili microfoni che sorgevano da degli slot – potevano essere reinseriti al loro posto se il partecipante desiderava utilizzare il proprio dispositivo.

      Ogni lussuosa poltrona in pelle della tavola era occupata – qualche uniforme militare, molte giacche con cravatta. La maggior parte della gente era di mezza età e sovrappeso – tipi da carriera nel governo che trascorrevano molto tempo seduti su comode poltrone e a pranzo. Quelle poltrone sembravano tutte la sedia del capitano del modulo di comando di una nave spaziale che attraversava la galassia. Braccioli grossi, pelle profonda, alti schienali, supporto per le lombari corretto ergonomicamente.

      I posti lungo le pareti – sedie di lino rosso più piccole con schienali più bassi – erano occupati da assistenti giovani e ancora più giovani, per lo più che bevevano rumorosamente tazze di caffè Styrofoam digitando messaggi nei tablet o mormorando al telefono.

      Susan sedeva su una sedia in pelle sul margine più vicino della tavola oblunga. Indossava un gessato azzurro. Teneva la gamba destra incrociata sulla sinistra, e si sporgeva in avanti per sentire quello che le stava dicendo un giovane assistente. Luke cercava di non fissarla.

      Dopo un attimo, alzò lo sguardo e gli fece un cenno.

      “Agente Stone,” disse. “Grazie di essere venuto.”

      Luke annuì. “Signora presidente. Si figuri.”

      Kurt batté le grosse mani, come se l’entrata di Luke fosse stato il segnale che aspettava. Il suono parve un pesante libro che cadeva su pavimento in pietra. “Ordine, tutti! All’ordine, per favore.”

      La stanza si fece silenziosa. Quasi. Un paio di militari alla tavola da conferenze continuarono a parlare l’uno con l’altro, le teste vicine.

      Kurt batté le mani di nuovo.

      CLAP. CLAP.

      Lo guardarono entrambi. Sollevò le mani come a dire, “Avete finito?”

      Nella stanza finalmente scese un silenzio di morte.

      Kurt fece un cenno verso una giovane seduta alla sua sinistra. Luke l’aveva già vista, diverse volte. Era l’indispensabile assistente di Kurt, praticamente una sua appendice. Aveva i capelli ramati tagliati in un corto caschetto come quelli di Susan – i caschetti corti come quello di Susan erano all’ultimo grido tra le giovani donne, ultimamente. Editor di riviste e programmi di notizie fuffa non si erano esattamente lasciati sfuggire la cosa. I critici cui piaceva lo chiamavano Caschetto alla Hopkins, quelli cui non piaceva Elmo alla Hopkins. Sembravano tutti essere d’accordo su come chiamare le donne che si facevano fare i capelli così, comunque.

      L’Esercito di Susan.

      A Luke questa piaceva. Lui il caschetto non ce l’aveva, ma immaginava di far parte anche lui dell’esercito di Susan.

      “Amy, vediamo,” disse Kurt. “Israele e Libano, per piacere.”

      Sullo schermo, per il Libano meridionale e a nord fino al margine meridionale di Beirut, cominciarono ad apparire delle icone azzurre e gialle che rappresentavano esplosioni, esplosioni che si facevano più rade a mano a mano che si saliva verso nord.

      “Ore fa, la forza aerea israeliana ha cominciato una campagna di bombardamenti attaccando i sistemi di tunnel e le fortificazioni di Hezbollah lungo la Linea Blu, così come i quartieri dominati da Hezbollah della Beirut meridionale. Nessuna sorpresa; in effetti ieri notte la notizia ci è stata telegrafata dal governo di Yonatan Stern.”

      Sullo schermo cominciarono ad apparire per tutta Israele delle grosse icone rosse della stessa forma di quelle di prima. Potevano essercene in tutto quindici. Un attimo dopo, delle icone rosse più piccole, minuscoli starburst, cominciarono ad apparire nel nord di Israele. Ce n’erano a dozzine.

      “Poco dopo l’attacco aereo di Israele, Hezbollah ha iniziato a lanciare attacchi missilistici all’interno di Israele. Non è straordinario, soprattutto in occasione di scambio di fuoco tra le due forze. La guerra del 2006 ha seguito più o meno la stessa traiettoria. Ma è sorto un problema. Negli anni intercorrenti, Hezbollah ha ottenuto una maggiore potenza di fuoco.”

      Apparve la foto di un grosso missile su una rampa di lancio mobile.

      “Questo è il missile Fateh-200. Si tratta di un sistema d’arma di costruzione iraniana, missili a lungo raggio con testate multiple che ammassano una potente energia. Lanciati dall’interno del Libano, possono raggiungere quasi ogni punto di Israele, tranne forse lo scarsamente popolato deserto del Negev del sud. Ha funzionalità di controllo e guida sofisticate che per la prima volta danno a Hezbollah la capacità di un colpo di precisione.”

      Kurt fece una pausa. “A quel che possiamo raccogliere, adesso pare che Hezbollah abbia ottenuto il Fateh-200. Crediamo che finora abbiano lanciato ovunque dai venti ai trenta missili, ognuno con almeno una dozzina di testate. Hanno puntato infrastrutture civili e militari in centri popolati in tutta Israele, inclusi Tel Aviv, il margine occidentale di Gerusalemme e il centro di Haifa, tra gli altri. Il sistema di difesa missilistica a medio raggio di Israele, noto come Fionda di Davide, forse ne ha abbattuti la metà o i due terzi dal cielo. Ma non è bastato.

      “Sono stati colpiti molti quartieri civili e distrutti molti edifici. Una testata è atterrata a mezzo miglio dalla Knesset, il congresso israeliano, mentre era in sessione.”

      “Quali sono le vittime attuali?” disse Haley Lawrence, il segretario della Difesa.

      “Finora, tutto ciò che abbiamo sono le cifre ufficiali rilasciate. Più di quattrocento civili uccisi, migliaia feriti, in mezzo a distruzione e panico estesi. Non è stata rilasciata alcuna cifra sulle vittime militari, ma gli israeliani si sono mobilitati per la guerra totale, chiamando in servizio tutti


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