Solo chi è destinato. Морган Райс
portata dove doveva andare.
Ormai Sheila doveva essere arrivata a Porto Autunno. Genevieve poteva andarci con lei, e insieme avrebbero potuto escogitare un modo per trarre il meglio da tutto ciò che era successo, sempre ammesso che esistesse un meglio. C’era forse qualche modo per trasformare in qualcosa di buono una situazione dove lei si trovava incinta del figlio di Altfor, dove l’uomo che amava l’aveva abbandonata e l’intero ducato era nel caos?
Genevieve non lo sapeva, ma forse con l’aiuto di sua sorella, sarebbero state capaci di pensare a qualcosa.
Continuò a procedere nel mezzo della brughiera, la fame che la perseguitava la stanchezza che iniziava a crescere appesantendole le ossa. Sarebbe stato tutto più facile da sopportare se Genevieve avesse saputo esattamente quanta strada ci fosse ancora da percorre, o dove fosse possibile trovare del cibo. E invece le lande sembravano dispiegarsi all’infinito davanti a lei.
“Forse dovrei sdraiarmi qui e lasciarmi morire,” disse Genevieve, e anche se non lo pensava veramente, c’era una parte di lei che… no, non doveva neanche pensarci. Non l’avrebbe fatto.
In lontananza le parve di vedere delle persone, ma si allontanò, perché non c’era modo che l’incontro con loro potesse trasformarsi in qualcosa di buono per lei. In quanto donna da sola in mezzo a quelle terre selvagge, era a rischio davanti a ogni gruppo di disertori o soldati o addirittura ribelli avesse potuto incontrare. In quanto moglie di Altfor la gente di Royce non aveva alcuna ragione per amarla.
Decise quindi di allontanarsi dal loro fino a che non poté più vederli. Avrebbe fatto questo viaggio da sola.
Solo che non era sola, giusto? Genevieve si mise una mano sulla pancia, come se fosse possibile sentire la vita che vi stava crescendo dentro. Il bambino di Altfor, ma anche suo. Doveva trovare un modo per proteggere suo figlio.
Continuò a camminare mentre il sole iniziava a svanire all’orizzonte, illuminando le lande e trasformandole in strisce di arancio fuoco. Ma era un fuoco che non faceva nulla per tenere Genevieve al caldo, e infatti lei poté vedere il suo fiato che usciva come nebbia davanti a sé. Sarebbe stata una notte fredda. La cosa migliore da fare era trovare un buco o un fossato in cui rannicchiarsi, bruciando qualsiasi pezzo di torba o felce potesse mettere insieme per creare un fuoco vero.
Al peggio sarebbe morta là fuori, congelata a morte nella brughiera che non mostrava alcuna gentilezza per le persone che tentavano di attraversarla a quel modo. Magari questo era addirittura meglio che andarsene in giro senza meta fino al punto di morire di fame. Una parte di Genevieve avrebbe voluto fermarsi e sedersi lì a guardare le luci che pian piano salutavano le lande, fino a che…
Con un sussulto Genevieve si rese conto che non tutto l’arancio e il rosso sulla brughiera attorno a lei erano riflessi del tramonto. Lì in lontananza poteva vedere una luce che sembrava provenire da un qualche genere di edificio. C’erano delle persone là fuori.
Prima la vista di un gruppo di persone era bastata a farle cambiare direzione e allontanarsi, ma questo era successo alla luce del sole e al caldo, quando la gente rappresentava niente più che pericolo. Ora, al buio e al freddo, quei pericoli erano controbilanciati dalla speranza di un ricovero.
Genevieve zoppicò verso quella luce, anche se ogni passo che faceva le sembrava una battaglia. Sentiva i piedi che affondavano nel terreno torboso delle lande, i cardi che le graffiavano le gambe mentre continuava a procedere. Sembrava quasi una sorta di barriera disposta dalla natura, pensata per intrappolare e graffiare, e in definitiva prosciugare la forza di volontà di chiunque pensasse di passare di là. Nonostante tutto Genevieve continuò a camminare.
Lentamente le luci si fecero più vicine, e mentre la luna iniziava a salire e illuminare meglio il paesaggio, lei vide che aveva davanti una fattoria. Si mise a camminare un po’ più velocemente, avvicinandosi il più rapidamente possibile con tutta la stanchezza e i dolori che aveva addosso. Arrivò nei pressi della struttura e vide delle persone che uscivano dalla casa.
Per un momento Genevieve esitò, e parte di lei avrebbe voluto fuggire. Però sapeva di non poterlo fare, quindi continuò a procedere barcollante fino a che raggiunse il cortile, dove si trovavano un uomo e una donna, entrambi con in mano degli attrezzi, come se si aspettassero un attacco da un momento all’altro. L’uomo teneva alto un forcone, mentre la donna aveva una falce. Li abbassarono entrambi rapidamente non appena si resero conto che Genevieve era da sola.
La coppia era più anziana e invecchiata dal lavoro, e sembrava che si occupassero da decenni si quel pezzo di terra, coltivando alcune verdure e tenendo un piccolo numero di animali. Avevano abiti semplici da contadini e mentre la guardavano le loro espressioni passarono da sospettose ad amichevoli.
“Oh, guardala Thom,” disse la donna. “La poverina deve essere congelata.”
“Sì, lo vedo Anne,” rispose l’uomo. Tese una mano verso Genevieve. “Vieni, ragazza. Sarà meglio portarti dentro.”
Fece strada all’interno, in una casupola dal soffitto basso dove nell’angolo ribolliva un calderone di stufato. L’uomo indicò a Genevieve una sedia davanti al fuoco e lei vi si lasciò cadere sopra pesantemente, quasi risucchiata da essa. L’inaspettata comodità le fece capire quanto doveva essere esausta.
“Tu stai seduta qui e riposati,” disse la donna.
“Ecco,” disse l’uomo. “Ha un aspetto familiare, non pensi, Anne?”
“Non sono nessuno,” disse Genevieve rapidamente. Quando la gente l’aveva riconosciuta al villaggio, si erano arrabbiati solo perché era la moglie di Altfor, anche se non aveva avuto alcun controllo su ciò che il figlio del duca aveva fatto.
“No, ti riconosco,” disse Anne. “Sei Genevieve, la ragazza che è stata presa dal figlio del duca.”
“Sono…”
“Non serve che tu nasconda la tua identità con noi,” disse Thom. “Non ti giudicheremo per essere stata presa e portata via. Abbiamo vissuto abbastanza da avere visto tante ragazze che sono state portate via dai nobili qua attorno.”
“Sei al sicuro qui,” disse Anne, mettendole una mano sulla spalla.
Genevieve non aveva parole per esprimere la sua riconoscenza davanti a quelle parole. Quando il contadino le porse un piatto di stufato, mangiò avidamente, senza rendersi conto fino a quel momento di quanta fame avesse. Le misero una coperta sulle spalle e Genevieve dormì quasi all’istante, cadendo nel genere di oscurità senza sogni che prima aveva solo potuto sperare.
Quando si svegliò, la luce del giorno filtrava attraverso le finestre della fattoria, tanto accesa che Genevieve pensò potesse essere quasi mezzogiorno. Anne era lì, ma non c’era traccia di suo marito.
“Ah, sei sveglia,” disse. “Ci sono pane e formaggio e un po’ di birra se vuoi.”
Genevieve andò al tavolo della cucina e mangiò con avidità.
“Mi spiace,” disse.
“Per che cosa?” le chiese Anne.
“Beh, per essere capitata qui così,” disse Genevieve, “entrando in casa vostra, probabilmente mettendovi in pericolo se qualcuno venisse a scoprire che mi trovo qui. E… beh, tutte le cose che sono successe quando Altfor era al comando.”
“Non sei tu che devi scusarti per quelle,” insistette Anne. “Pensi che non sappia come va a finire con le ragazze che vengono portate via dai nobili? Pensi che sia sempre stata vecchia?”
“Tu…” iniziò Genevieve.
Anne annuì. “Le cose andavano meglio con il vecchio re, ma non erano perfette. C’erano sempre quei nobili che pensavano di potersi prendere quello che volevano. È in parte questo che ha conficcato una specie di cuneo tra loro e lui, da quello che ne capisco.”
“Mi spiace,” disse Genevieve, capendo ciò che la donna stava dicendo.
“Smettila di dirlo,” rispose Anne. “Non hai niente di cui scusarti. Te lo sto dicendo solo per farti