Solo chi è destinato. Морган Райс
Si guardò attorno. “Dov’è tuo marito?”
“Oh, Thom si sta occupando delle pecore. Non che le pecore abbiano bisogno di molto. Basta dargli un posto dove pascolare e uno dove dormire e sono felici. Le persone sono più difficili: vogliono sempre di più.”
Genevieve capiva perfettamente. Quanti guai si erano generati solo perché c’era sempre qualcuno che pensava di avere il diritto di prendersi tutto, e che poi voleva ancora di più?
“Hai pensato a quello che farai adesso?” le chiese Anne.
“Pensavo… mi sorella è al sicuro a Porto Autunno,” disse Genevieve. “Pensavo che potrei andare da lei.”
“È un bel viaggio,” disse Anne. “Attraversare il mare, e immagino che tu non abbia neanche tanti soldi per pagare la nave.”
Genevieve scosse la testa. Più pensava alla sua idea e meno le pareva avere senso. Andare da Sheila era la reazione più ovvia, ma era anche una mossa sciocca. Significava solo che tutte e due avrebbero tentato di vivere alla giornata, sempre in fuga, sempre chiedendosi se al buio sarebbe mai arrivato un coltello puntato contro di loro.
“Beh, non abbiamo soldi per aiutarti con questo,” disse Anne. “Ma potresti restare qui per un po’ se vuoi. Potremmo organizzarci con dell’aiuto in più nella fattoria, e nessuno verrebbe a sapere che sei qui.”
Quella generosità era fin troppo per Genevieve. Poteva addirittura sentire le lacrime che le salivano agli occhi pizzicandone gli angoli. Come sarebbe stato, restare lì e farla finita con tutto il resto?
A quel punto le tornarono alla mente i pensieri dell’anello di Olivia. Aveva pensato che avrebbe trovato della felicità con Royce, e invece ecco com’era andata a finire male. Non era fatta per trovare una risoluzione pacifica della sua situazione.
E la verità era che lei aveva già un piano. Aveva fatto un piano con Sheila, solo che nella frenesia delle emozioni e della fuga dalla città aveva dimenticato tutto. Ora che aveva avuto la possibilità di riprendersi, e dormire, e addirittura rimettersi a pensare, quel piano le stava tornando in mente. Al tempo era stata l’idea migliore che potesse avere, e lo era ancora adesso.
“Non posso restare,” disse Genevieve.
“Dove andrai allora?” chiese Anne. “Cosa farai? Sei così decisa a trovare questa tua sorella?”
Genevieve scosse la testa, perché sapeva che non avrebbe funzionato. No, non poteva andare a cercare sua sorella. Doveva andare a cercare suo marito. Doveva trovarlo, e se lo stomaco glielo avesse concesso, avrebbe dovuto fare la parte che il fato le aveva assegnato: quella di moglie. Se fosse riuscita a sopportarlo fino alla nascita e al riconoscimento del bambino, allora poi si sarebbe potuta sbarazzare di Altfor e governare in quanto madre dell’erede al trono del ducato, per il bene di chiunque vi fosse coinvolto.
Era un piano disperato, ma in quel momento era l’unico che aveva. Farlo funzionare sarebbe stato difficile. Non sapeva dove si trovasse Altfor. Sapeva dove sarebbe andato, però: aveva perso, quindi sarebbe andato a caccia di aiuto, di sicuro dal re. Quindi Genevieve sapeva dove sarebbe dovuta andare.
“Devo andare alla corte del re,” disse.
CAPITOLO TRE
Royce stava aggrappato al parapetto della nave. Avrebbe voluto che si muovesse più velocemente e teneva l’attenzione fissa sulle onde per mezzo degli occhi di Bragia. Sopra di lui il falco volava e chiamava, gridando al di sopra delle acque e tuffandosi di tanto in tanto contro la superficie per afferrare qualche piccolo uccello marino che era diventato un bersaglio troppo succulento.
Ma l’attenzione di Royce era concentrata su ben più di questo. Si protendeva il più possibile nella coscienza di Bragia alla ricerca di un minimo segnale di Lori, una qualsiasi possibilità di parlare con la strega che li aveva mandati in quella direzione e poter quindi scoprire di più su suo padre. Ma non c’era nulla, solo lo sciabordare del mare e il luccicare del sole.
“Sono ore che te ne stai qui in piedi,” disse Mark avvicinandosi a lui.
“Non sono ore,” lo corresse Royce.
“Dall’alba,” disse Mark, un po’ preoccupato. “Tu e il lupo.”
Gwylim sbuffò accanto a Royce, chiaramente non particolarmente contento di essere chiamato lupo. Royce si trovò a chiedersi quanto capisse la creatura di quello che dicevano. Diverse volte Bragia si era posata accanto a lui, e Royce aveva l’impressione di una silenziosa comunicazione in corso.
“Gwylim non è un lupo,” disse Royce. “E speravo che Lori avesse un altro messaggio per me.”
“Lo so,” disse Mark.
“Ho causato qualche problema?” chiese Royce.
“Ho dovuto occuparmi io di fare da mediatore in tutte le discussioni tra gli altri.”
“Di quelle ce ne sono abbastanza,” disse Royce.
“E anche di più,” confermò Mark. “Neave e Matilde sembrano aver deciso che discutere sia il modo migliore di dichiarare il loro amore. Bolis è così pieno di sé, e la presenza di uno dei Picti qui basta a infastidirlo.”
“E tu, Mark?” chiese Royce. “Cosa ne pensi degli altri?”
“Penso che siano validi come elementi da avere al nostro fianco,” rispose lui. “La ragazza Picti sembra tosta, ed è ovvio che Matilde è una sopravvissuta. Bolis sarà anche un cavaliere, ma almeno questo significa che sa come usare la sua spada. Ma funzionano solo fintanto che sei lì a guidarli, Royce, e invece te ne sei stato quassù tutto il giorno.”
Era vero. Aveva sperato di avere qualche cenno della presenza suo padre, o almeno di trovare un modo per connettersi alla strega che l’aveva mandato da quella parte a cercarlo. Per farlo aveva tenuto la concentrazione davanti alla nave, e non aveva prestato molta attenzione al resto che era successo a bordo. Almeno sembrava che le cose stessero andando bene, perché si stavano dirigendo dalla parte giusta.
“Come pensi che stiano andando le cose a casa?” chiese Royce a Mark.
“Sei preoccupato per i tuoi fratelli?” chiese Mark.
Royce annuì. Lofen, Raymond e Garet erano coraggiosi, e avrebbero fatto qualsiasi cosa fosse loro possibile per aiutare nella battaglia, ma potevano comunque darsi da fare solo fino a un certo punto, ed erano già stati catturati una volta.
“Loro, e Olivia,” disse. Non fece alcun accenno al fatto che i pensieri della sua fidanzata continuavano a mescolarsi a quelli di Genevieve, neanche a Mark, perché quei pensieri gli sembravano il tradimento di una persona buona, e pura, e il cui padre aveva dato loro moltissimo rispetto a chi invece l’aveva già respinto.
“Torneremo presto da lei,” disse Mark dandogli una pacca sulla spalla, e per un momento Royce non riuscì a capire di quale “lei” parlasse.
“Lo spero,” disse. Riportò la sua consapevolezza negli occhi di Bragia, e proprio per questo motivo vide le Sette Isole prima di tutti gli altri.
Stavano nascoste in banchi di nebbia che mutavano insieme alle correnti del mare. Dall’acqua salivano degli scogli appuntiti che assomigliavano ai denti di grosse bestie. Erano grosse bestie, perché Royce vide una balena affiorare tra le onde mentre guardava, la sua stazza che scivolava sull’acqua sollevando una cascata di spruzzi. Gli scogli erano contornati dagli scafi distrutti di navi che avevano tentato di avvicinarsi senza conoscere delle rotte sicure. Bastò perché Royce si sentisse grato di aver trovato un capitano propenso a portarli in quel viaggio.
Le isole stesse sembravano un miscuglio di verde e roccia nera, raccolte attorno a una laguna centrale con una di esse nel mezzo. La maggior parte erano ricoperte di erba e alberi, e sabbia così scura che doveva essere stata generata dallo sgretolamento delle facciate di granito e basalto delle isole stesse. L’isola centrale sembrava essere un vulcano che ribolliva di un rabbioso luccichio rosso,