I cinque del salotto. Фиона Грейс

I cinque del salotto - Фиона Грейс


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se Lacey aveva immaginato che l’amica volesse dire questo, si sentì comunque accusata nel sentirselo spiegare così direttamente.

      “Io sono perfettamente felice con Tom,” le disse, immaginando mentalmente il bellissimo pasticciere dal grande sorriso che aveva la fortuna di poter definire compagno. “Xavier sta solo tentando di aiutarmi. Ha promesso che l’avrebbe fatto quando gli ho regalato il sestante del suo bisnonno. Stai inventando una storia dove non c’è proprio niente.”

      “Se non ci fosse nessuna storia,” le rispose Gina con calma, “allora perché tieni nascosto il pacco di Xavier sulla mensola di fondo dello scaffale del magazzino?”

      Lacey esitò momentaneamente. Le accuse di Gina l’avevano colta alla sprovvista, lasciandola confusa. Per un momento dimenticò il motivo per cui aveva messo via il pacco dopo aver firmato la ricezione, invece di aprirlo subito. Poi ricordò: i documenti erano in ritardo. Xavier le aveva detto che c’era bisogno di firmare un certificato di accompagnamento, quindi aveva deciso di mettere tutto da parte e aspettare, giusto per non violare qualche fastidiosa legge britannica di cui non era ancora a conoscenza. Con tutto il tempo che la polizia aveva passato a gironzolare per il suo negozio, l’attenzione non era mai troppa!

      “Non lo sto nascondendo,” disse. “Sto aspettando che arrivi il certificato.”

      “Non sai cosa ci sia dentro?” chiese Gina. “Xavier non ti ha detto cos’è?”

      Lacey scosse la testa.

      “E tu non hai chiesto?” insistette l’amica.

      Di nuovo, Lacey fece di no con la testa.

      Notò poi che l’espressione accusatoria negli occhi di Gina stava iniziando a svanire, pian piano sostituita da curiosità.

      “Pensi che potrebbe essere qualcosa di…” Gina abbassò la voce mentre parlava, “… illegale?”

      Nonostante fosse certa che Xavier non potesse averle inviato niente di illegittimo, Lacey era ben contenta di cambiare argomento, quindi seguì il discorso dell’amica.

      “Potrebbe essere,” disse.

      Gina sgranò gli occhi ancora di più. “Che genere di cosa?” le chiese, come un bambino meravigliato.

      “Avorio, per esempio,” le disse Lacey, ricordando dai propri studi quali fossero gli oggetti che era vietato vendere nel Regno Unito, sia in ambito antiquario che no. “Qualsiasi cosa prodotta con la pelliccia di una specie in via d’estinzione. Rivestimenti prodotti con materiale non ignifugo. Ovviamente armi…”

      Tutte le tracce di sospetto ora svanirono completamente dall’espressione di Gina. La ‘storia’ su Xavier era stata dimenticata in un batter d’occhio, sostituita dalla possibilità molto più emozionante che all’interno dello scatolone potesse esserci un’arma.

      “Armi?” ripeté la donna con voce un po’ gracchiante. “Non possiamo aprire e vedere?”

      Sembrava eccitata come un bambino vicino all’albero di Natale il giorno della vigilia.

      Lacey esitò. Era stata curiosa di guardare all’interno di quel pacco da quando le era arrivato dal corriere speciale. A Xavier doveva essere costato un occhio della testa mandarlo dalla Spagna, e anche la confezione era elaborata: lo spesso cartone era rigido come legno e il tutto era fissato con graffette industriali e legato con fascette di plastica. Qualsiasi cosa ci fosse dentro, era indubbiamente molto preziosa.

      “Ok,” disse Lacey, sentendosi ribelle. “Che male può fare darci una sbirciata?”

      Si infilò un ciuffo vagante dei suoi ricci neri dietro l’orecchio e prese il taglierino. Lo usò per segare le fascette e allentare le graffette. Poi aprì la scatola e frugò all’interno del materiale da imballo.

      “È una cassetta,” disse, tirando la maniglia in pelle e sollevando una pesante cassetta di legno. I pezzi di polistirolo svolazzarono dappertutto.

      “Sembra la valigetta di una spia,” disse Gina. “Oh, non pensi che tuo padre fosse una spia, vero? Magari una spia russa!”

      Lacey ruotò gli occhi al cielo mentre posava la pesante cassetta sul pavimento. “Nel corso degli anni credo di aver ipotizzato un sacco di teorie stravaganti su cosa possa essere accaduto a mio padre,” disse, mentre faceva scattare i fermi della cassetta uno dopo l’altro. “Ma la cosa della spia russa non mi era mai venuta in mente.”

      Alzò il coperchio e guardò dentro alla cassa. Sussultò vedendo ciò che conteneva. Un bellissimo fucile da caccia a pietra focaia.

      Gina si mise a tossire. “Non puoi tenere qui questa cosa! Santo cielo, probabilmente non puoi proprio tenerlo in Inghilterra, punto! Cosa diavolo stava pensando Xavier quando te l’ha mandato?”

      Ma Lacey non stava ascoltando lo sfogo dell’amica. La sua attenzione era fissa sul fucile. Era in forma eccellente, nonostante il fatto che dovesse avere ben più di cent’anni.

      Con attenzione, tolse il fucile dalla cassa, sentendone il peso tra le mani. C’era in esso qualcosa di familiare. Ma non aveva mai tenuto in mano un fucile, meno che meno ne aveva usato uno, e nonostante la strana sensazione di déjà-vu che la pervadeva, non aveva concreti ricordi a cui aggrapparsi.

      Gina iniziò ad agitare le mani. “Lacey, mettilo giù! Mettilo giù! Scusa se te l’ho fatto tirare fuori. Non pensavo davvero che fosse un’arma.”

      “Gina, calmati,” le disse Lacey.

      Ma l’amica era scatenata. “Ti serve una licenza! Può addirittura darsi che tu stia commettendo un crimine ad avere questo oggetto in questo Paese! Le cose qui sono molto diverse dagli Stati Uniti!”

      Il blaterare di Gina raggiunse un picco di fervore, ma Lacey lasciò perdere. Aveva imparato che non c’era modo di calmarla quando aveva le sue esplosioni. Alla fine si esaurivano da sole. Oppure Gina si sarebbe alfine stancata.

      E poi la sua attenzione era troppo presa dal bellissimo fucile per poter anche minimamente badare a lei. Era ipnotizzata dalla strana sensazione di familiarità che le aveva suscitato.

      Guardò dentro alla canna. Lo soppesò. Ne sentì la forma tra le mani. Ne inalò addirittura l’odore. C’era qualcosa di meraviglioso in questo fucile, come se avesse sempre dovuto appartenerle.

      In quel momento, Lacey si rese conto del silenzio. Gina aveva finalmente smesso di farneticare. Lacey sollevò gli occhi e la guardò.

      “Hai finito?” le chiese con calma.

      Gina stava ancora fissando il fucile come se fosse la tigre di un circo scappata dalla sua gabbia, ma annuì lentamente.

      “Bene,” disse Lacey. “Quello che stavo tentando di dirti è che non solo ho fatto i miei compiti per casa per quanto riguarda la legge britannica che regola il possesso e utilizzo di armi da fuoco, ma ho effettivamente un certificato di commercio legale di armi antiche.”

      Gina esitò con un piccolo e perplesso cipiglio a corrucciarle il viso. “Davvero?”

      “Sì,” le assicurò Lacey. “Quando ancora stavo valutando il contenuto della Villa di Penrose, mi sono imbattuta in una collezione completa di fucili da caccia. Ho dovuto subito fare domanda di licenza per poter tenere l’asta. È stato Percy Johnson ad aiutarmi a organizzare tutto.”

      Gina strinse le labbra. Ora mostrava la sua migliore espressione da surrogato di madre. “Perché non ne sapevo niente?”

      “Beh, ancora non lavoravi per me allora, giusto? Eri solo la signora della porta accanto, le cui pecore venivano di continuo nel mio giardino.” Lacey rise ripensando al caro ricordo della prima mattina in cui si era svegliata al Crag Cottage, trovando un gregge di pecore che mangiavano la sua erba.

      Gina non le restituì il sorriso. Sembrava essere di umore cocciuto.

      “Lo stesso,” disse, incrociando le braccia, “dovrai farlo registrare dalla polizia, no? Farlo inserire nel database delle armi da fuoco.”

      Sentendo parlare di polizia, nella mente di Lacey apparve un’immagine del volto impassibile del sovrintendente Karl


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