Un’esca per Zero. Джек Марс

Un’esca per Zero - Джек Марс


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che l'ex principe aderiva fortemente alla legge della Sharia e aveva un evidente disprezzo per le donne al potere. Nella sua mente non erano e non sarebbero mai stati uguali o pari. Lei era semplicemente inferiore a lui.

      "Vorrei parlare brevemente del futuro delle relazioni tra i nostri grandi paesi", iniziò il re.

      Joanna sorrise gentilmente. "Prima che si pronunci, sua altezza, ho il dovere di informarla che mi manca l'autorità per autorizzare qualsiasi azione a nome del mio paese".

      "Certo", concordò il re. "Ma qualsiasi argomento discusso in questa riunione potrà essere riferito al Presidente".

      Joanna cercò a stento di trattenere il suo disappunto per l'essere considerata alla stregua di un messaggero, e non disse nulla.

      "So che l'America ospiterà l'Ayatollah dell'Iran questa settimana", proseguì Basheer.

      "Esatto". Joanna aveva organizzato la visita da sola; l'alleanza strategica con l'Iran era stata una parte fondamentale degli sforzi del Presidente Rutledge per portare la pace tra gli Stati Uniti e l’Iran. Stavano puntando in alto, ma come era solita fare, Joanna aveva affrontato il problema diplomaticamente e senza pregiudizi e aveva scoperto che una soluzione era tutt'altro che improbabile. “I nostri paesi si stanno riconciliando. Un trattato è attualmente in fase di elaborazione da parte delle Nazioni Unite".

      Al funzionario in bianco si dilatarono le narici; sarebbe stato quasi un movimento impercettibile se non si fosse trovato in piedi come una statua accanto alle doppie porte. Per questo il suo movimento istintivo ebbe lo stesso effetto di una frase pronunciata.

      "Capisco che potrebbe non essere del tutto, come dire, aggiornata", disse altezzosamente Basheer. "Dato che ha da poco ricevuto l'incarico…"

      "Ho ricevuto da poco l'incarico", lo interruppe Joanna. "Ma le assicuro che gli affari esteri non mi sono affatto nuovi".

      Cosa sto facendo? Si rimproverò. Non era affatto da lei rivolgersi con irriverenza al suo interlocutore durante un incontro diplomatico. Eppure c'era qualcosa in quel giovane re e nel suo consulente statuario che la irritava in modo insostenibile. Era più che un disprezzo per lei personalmente; era un disprezzo per il suo genere, il pensiero che tutte le donne fossero inferiori a lui. Eppure sapeva che doveva mantenere l’autocontrollo. Era la sua prima grande missione diplomatica da quando aveva assunto la carica di vicepresidente e non avrebbe permesso che si concludesse nel peggiore dei modi.

      Basheer annuì. "Certo. Quello che intendevo dire era che potrebbe non essere a conoscenza della storia dei rapporti tra i nostri paesi. Cioè, tra l'Arabia Saudita e l'Iran. Siamo nemici giurati e come tali non possiamo accettare un simile trattato. C'è un detto: Il nemico del mio nemico è mio amico. Secondo la stessa logica, l'amico del mio nemico è il mio nemico".

      Joanna si morse la lingua, cercando di trattenersi dal dire ciò che pensava a quel re testardo. Piuttosto che smontare la sua logica a dir poco fallace, lei rispose: "Allora posso chiederle cosa suggerisce, nella sua saggezza, signore?"

      "Una scelta, vicepresidente", disse semplicemente Basheer. "Un'alleanza con l'Iran è un affronto al mio paese, alla mia gente e alla mia famiglia".

      "Una scelta", ripeté Joanna. L'idea che Basheer si aspettasse che gli Stati Uniti scegliessero la pace unilateralmente era ridicola, a meno che, ragionò, non la stesse mettendo alla prova. “Spero che lei capisca che il nostro obiettivo è la pace con tutte le nazioni del Medio Oriente. Non solo l'Iran, e non solo l'Arabia Saudita. Non è un affare personale, si tratta di diplomazia".

      "Non posso fare a meno di prenderla sul personale", rispose immediatamente il re. "Come nuovo monarca ci si aspetta che mostri forza…"

      “Può comunque farlo”, intervenne Joanna, “unendosi a noi. Ricercare la pace non è un segno di debolezza".

      "La pace non è una possibilità", replicò Basheer. "La storia delle tensioni tra le nostre nazioni trascende ciò che potrebbe aver appreso nei libri di testo…"

      La rabbia divampò dentro di lei. "Con tutto il rispetto…"

      "Lei continua ad interrompermi!" sbottò il re.

      Joanna trasalì. Chiaramente Basheer non era abituato ad essere interrotto da nessuno, tantomeno da una donna. "Vostra altezza", disse, mantenendo un tono di voce calmo, "Non penso che questo sia il momento giusto per discuterne. Per non parlare del fatto che non ho l'autorità per prometterle quello che sta chiedendo".

      "Quello che mi è dovuto", le disse Basheer.

      "E non lo farei", Joanna alzò la voce, "se anche l'avessi". La rabbia che era scaturita in lei non poteva più essere domata. “Siamo ben consapevoli dei suoi… legami, re Basheer. Delle sue alleanze piuttosto discutibili con alcune fazioni".

      Basheer socchiuse gli occhi e lei si pentì immediatamente di quello che aveva fatto. Non solo si era lasciata sfuggire, in modo indiretto, che gli Stati Uniti lo stavano monitorando, ma anche che erano consapevoli delle crescenti connessioni tra la sovranità saudita e i gruppi di ribelli che agivano sia all'interno che all'esterno dei loro confini.

      "Andatevene", borbottò Basheer.

      Aspettava solo questo, pensò Joanna ironicamente mentre si alzava. Non disse altro, aggiungendo soltanto un brusco "Grazie per la sua ospitalità" e voltandosi verso la porta.

      "Non credo che abbia capito", disse Basheer ad alta voce. “Non le sto semplicemente dicendo a lei di andarsene. Sto dicendo che gli Stati Uniti dovranno lasciare il mio paese. Le ambasciate sono chiuse, con effetto immediato. Tutte le truppe americane, i cittadini americani, i diplomatici americani devono essere fatti rientrare. Fino a che il suo governo non comincerà a ragionare e non sarà disposto a parlarne seriamente, troncheremo ogni legame".

      Joanna Barkley rimase con la bocca semiaperta mentre cercava di valutare se Basheer fosse sincero o se stesse bluffando. Sembrava proprio che fosse serio. "Vuole realmente diventare un nostro nemico per disprezzo dell'Iran?"

      "Voi mi avete reso un vostro nemico". Basheer indicò la porta senza alzarsi. "Vada a riferirlo al suo Presidente".

      Non c'era più altro da dire. Il vicepresidente Joanna Barkley aprì la porta dell'anticamera senza rivolgere una sola occhiata allo stoico sacerdote che era ancora immobile lì accanto. Fu subito accolta dal frastuono di un fitto chiacchiericcio; aveva quasi dimenticato che era in corso la processione funebre. Ma non prestò alcuna attenzione a loro mentre attraversava il lato opposto dell'ampio auditorium, dove i suoi due membri dei servizi segreti la stavano attendendo.

      "Andiamo", disse loro bruscamente. "E fatemi parlare con il Presidente Rutledge prima ancora di decollare".

      Temeva di aver fallito nel suo primo incarico diplomatico come vicepresidente, che avrebbe dovuto essere semplice e di routine. Ma soprattutto, temeva che la pace con un paese del Medio Oriente significasse solo guerra con un altro.

*

      "Che insolenza!" Basheer ringhiò in arabo mentre camminava avanti e indietro nell'anticamera. “Che audacia! Questo è il motivo per cui l'America sta cadendo a pezzi. Per cui l'America cadrà". Rutledge è debole. Quella donna è insopportabile. Se fosse saudita, la giustizierei pubblicamente!”

      Lo sceicco non si era mosso dalla sua posizione per diversi minuti, nonostante avesse desiderato estrarre la sottile lama nascosta nella sua manica e portarla alla gola della donna americana. Fece due lunghi passi nella stanza, dirigendosi verso il suo re. “Abbia pazienza, altezza. Non è il momento per perdere la calma. Bisogna usare tatto e disciplina adesso".

      Basheer annuì, sebbene le sue labbra fossero ancora arricciate in una smorfia di disgusto. "Sì", rispose. "Hai ragione. Certo".

      In circostanze normali, uno sceicco tribale come Salman non sarebbe mai stato alla destra del re. Ma mentre altri si erano ingraziati Ghazi, Salman aveva guardato al futuro e aveva rivolto le sue attenzioni al figlio maggiore, Basheer, che un giorno sarebbe diventato re. Da quando il principe aveva sedici anni, Salman aveva sfruttato ogni opportunità per incontrare il ragazzo. Per ricordargli la sua grandezza. Per incoraggiarlo ad essere un re più forte di suo padre. Per consolidare in egual misura la necessità della caduta dell'Occidente e dell'espansione del regno saudita.


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