Terre spettrali. Софи Лав
costruito con del legname di scarto. Sembrava molto vecchio, così come la sedia che lo accompagnava. Sul tavolino era appoggiato un libro e, giusto accanto, si trovava una candela in parte bruciata dentro un portacandele d'ottone. Sia il libro che la candela erano ricoperti da uno spesso strato di polvere.
Marie entrò nella stanza e avanzò verso il tavolo. Fu sul punto di prendere il libro ma anche solo pensare di volergli cambiare posizione le sembrò inappropriato, così all'ultimo momento ritrasse la mano. Il libro era un po' più grande rispetto a un moderno libro cartonato e il testo sulle pagine era disposto in due colonne. Si avvicinò, gli occhi immediatamente attratti dalle pagine polverose.
Un grido proveniente dal piano di sotto la fece sobbalzare: si allontanò dal tavolo con un salto all'indietro, trattenendo a stento un grido di spavento.
“Ehi, Marie!” Era la voce di Posey. E anche se aveva il tono allegro di sempre, aveva comunque iniettato una bella dose di paura in Marie, specie dal momento che si trovava in quella stanza segreta, gli occhi concentrati su un libro misterioso. Voleva iniziare a leggerlo per scoprire di cosa trattasse, ma sapeva che se avesse posato gli occhi sul volume sarebbe poi stato impossibile staccarsene. Decise dunque di voltarsi e di prestare attenzione a Posey.
“Sì?” rispose, uscendo lentamente dalla stanza.
“Qualcuno ha appena parcheggiato. Forse un cliente. Sembra il tipo di persona che attirava qui Brendan.”
Portare avanti quella conversazione urlando da una parte all'altra della casa le stava facendo venire l'emicrania. E sebbene quella stanza l'affascinasse tanto che non avrebbe voluto allontanarsene, sapeva anche che doveva trattare ogni singolo ospite come se fosse speciale. Era una regola a cui sperava di riuscire ad attenersi sempre, ma era specialmente valida adesso che era sull'orlo di un tracollo finanziario.
Si costrinse dunque a uscire definitivamente dalla stanza. Mentre andava via, Benjamin chiese: “Cosa devo fare ora? Devo sempre sostituire la tappezzeria?”
“Non adesso,” rispose Marie. “Per il momento, accantoniamo la cosa.”
Corse al piano di sotto, sperando di arrivare prima che giungesse l'ospite. Ma era ancora preoccupata dalla scoperta della stanza segreta e del libro che conteneva. E, oltre a quello, era sempre più su di giri all'idea che avrebbero potuto esserci molte altre sorprese in serbo, tutte da scoprire.
Arrivò ai piedi delle scale proprio mentre l'uomo stava varcando la porta d'ingresso. Sistemandosi dietro il banco della reception, Marie si prese il tempo di esaminare attentamente una delle persone più particolari che avesse mai visto. Non fosse stato per i capelli corvini, avrebbe quasi pensato che fosse albino. La sua pelle era bianca come gesso, in un modo che non sembrava affatto naturale. Era quasi come se fosse cosparso di cipria, ma, quando si avvicinò alla reception, Marie si accorse che non era così. Aveva i capelli piuttosto lunghi, impomatati e pettinati all'indietro sui lati fino alla nuca. Indossava un paio di occhiali da sole piccoli e molto scuri che facevano il paio con il resto del suo look, costituito da una giacca nera, maglietta e jeans. Un cappello nero in testa coronava il tutto come la classica ciliegina sulla torta.
“Benvenuto a June Manor,” disse Marie con tono allegro. “Come posso aiutarla?”
“Ci sono stanze libere?” chiese lui. Aveva una voce esile e un lieve accento inglese. Anche le sue labbra erano incredibilmente sottili; quando aveva la bocca chiusa, erano a malapena visibili e assomigliavano a un tratto di matita disegnato lungo la mandibola.
“Certo,” rispose Marie. “Abbiamo una vasta disponibilità al momento, a dire il vero, quindi può approfittare di un'ampia scelta di camere.”
“Eccellente,” commentò lui, senza nessuna reale emozione. “Ho bisogno di una camera per tre giorni. Forse un po' di più, non so ancora quanto rimarrò nella zona.”
“Sicuro. Le assicuro che…”
“Ora, prima di andare avanti con la prenotazione, ho una richiesta da fare. Resterò in camera per la maggior parte del mio soggiorno. E vorrei la massima privacy. Nessuno deve bussare alla mia porta per alcun motivo.”
Non lo disse in modo scortese, ma suonò comunque sgarbato. Ma a Marie andava bene così. Non si può desiderare un cliente più facile, pensò, di un cliente che non vedi quasi mai.
“Ci assicureremo di garantirle tutta la tranquillità e la riservatezza di cui ha bisogno,” lo rassicurò Marie. “Vuole una stanza con vista sull'oceano?”
“La vista non mi interessa. Solo la privacy. E vorrei che non fosse al piano terra.”
Pensando a una camera da dargli al primo piano, le tornò in mente quella stanza segreta che lei e Benjamin avevano appena scoperto. Lo avrebbe sistemato, pensò, all'altro capo, vicino alle scale.
Marie iniziò a registrare il nuovo cliente sul computer della reception. “Che nome metto?”
“È davvero necessario dare un nome? Pagherò in contanti.”
“Beh, ne ho bisogno per il mio registro.” Non era irritata con lui (non ancora, ad ogni modo) ma era perplessa e non sapeva bene come parlargli.
“D'accordo. Il mio nome è Atticus Winslow.” Comunicò quell'informazione piuttosto di malavoglia, estraendo un rotolo di banconote dalla tasca. Mentre le faceva scorrere per prelevare il contante necessario, Marie vide che erano tutti tagli da cento dollari. “Quanto le devo?” chiese.
“Per tre notti, fanno quattrocentoventi dollari.”
Atticus Winslow contò cinque banconote e le diede a Marie. “Tenga pure il resto. Potrà considerarlo un anticipo, nel caso dovessi trattenermi più giorni, altrimenti farà da mancia.”
“Grazie. Ora, ha bisogno d'aiuto con i bagagli?”
“Non ho bagagli.”
“Oh… avevo capito che volesse trattenersi per diversi giorni.”
“Precisamente,” disse lui, guardandola con una certa aria ansiosa.
Marie, ancora disorientata da quell'uomo, gli consegnò la chiave della prima stanza sul lato est del corridoio del primo piano. Lui la prese in un modo che sembrava voler comunicare a Marie che gli stava facendo perdere tempo. Le sembrò sgarbato, ma ripensò al rotolo di banconote da cento che quell'uomo aveva tirato fuori con nonchalance. Atticus Winslow sembrava il tipo di uomo abituato a essere servito e riverito.
“Se dovesse aver bisogno di qualsiasi cosa, mi faccia pure sapere.” Gettò uno sguardo in direzione delle scale e ripensò ancora una volta alla stanza segreta. E se Atticus l'avesse vista? Cosa sarebbe successo se Benjamin fosse stato ancora in quella camera, basito per la scoperta?
Lo guardò allontanarsi, poi vide Posey avanzare nell'atrio. “Ho sentito tutto,” disse sottovoce. “Davvero strano il tizio, vero?”
“A dir poco,” commentò Marie. “Sono stati quindici minuti davvero strani e…”
Il suo telefono squillò e, come sempre, rispose subito. Fece una smorfia, rendendosi conto che non aveva nemmeno avvisato Posey né si era scusata con lei. Ma Posey aveva capito la situazione e aveva già voltato le spalle per tornare in cucina.
“June Manor, qui Marie.”
“Marie?” Era una voce di donna. Sembrava stanca e forse anche un po' agitata.
“Sì… sono io.”
“Ciao, Marie. Sono Anna Grace… e volevo sapere cosa diavolo ha fatto alla mia casa ieri notte.”
CAPITOLO SETTE
“Mi scusi… non capisco.”
Riattraversò il corridoio in direzione di camera sua. Da come era iniziata quella conversazione, era meglio che Posey non sentisse.
“Beh, è esattamente quello che ho chiesto,” ribadì la signora Grace. “Non ho idea di cosa abbia fatto… ma è tutto diverso qui adesso. È inequivocabile.”
“Diverso in che senso?” domandò Marie.
“Oh, è meraviglioso. Sono tornata qui stamattina