Una visita preoccupante. Фиона Грейс

Una visita preoccupante - Фиона Грейс


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avanti.

      Lacey tornò al suo negozio ed entrò.

      Gina diede un’occhiata al suo volto rigato di lacrime ed esclamò: “Hanno soppresso Chester!”

      “No!” esclamò Lacey. “Sta male. Deve stare per un po’ sotto osservazione dal veterinario.”

      Gina si portò una mano al petto. “Grazie al cielo. Mi hai spaventata.”

      Lacey si lasciò cadere sulla sedia dietro al bancone, affondando la testa tra le mani. Fu solo allora che si rese conto che i messaggi di Naomi l’avevano completamente distratta dal chiamare Tom e cancellare il viaggio a Dover. Guardò fuori dalla vetrina, in direzione della pasticceria dall’altra parte della strada, osservandolo mentre si muoveva indaffarato nel suo negozio. Sorrise mestamente. Aveva voluto così tanto passare una breve vacanza romantica con lui.

      “Adesso dovrò cancellare il viaggio a Dover,” disse Lacey con un profondo sospiro. “Non posso abbandonare Chester mentre è malato. Lakshmi ha detto che delle visite gli farebbero bene.”

      “Posso andare io a trovarlo,” le disse Gina.

      Lacey esitò. Sollevò la testa e incrociò lo sguardo di Gina. Poi scosse la testa. “Non potrei chiederti di fare una cosa del genere. Fai già così tanto.”

      “Esatto. Cosa vuoi che sia un’altra commissione da aggiungere alla lista?”

      Lacey era reticente. A volte aveva l’impressione di caricare Gina di troppe responsabilità e richieste. Non aveva la minima intenzione di diventare il genere di boss che si aspetta dai suoi dipendenti un comportamento da soldatini, proprio come era stata la sua severa capa a New York.

      Scosse di nuovo la testa. “No. Non sarebbe giusto. Non puoi stare dietro al negozio, prenderti cura di Boudicca e andare a controllare Chester ogni giorno.”

      “E tu non puoi continuare a lavorare tutti i giorni senza una pausa,” contestò l’amica. Si mise le mani sui fianchi e la guardò con espressione severa. “Quand’è stata l’ultima volta che ti sei presa un giorno libero?”

      Lacey iniziò a calcolare mentalmente, ma Gina la interruppe prima che potesse arrivare alla risposta.

      “Esatto!” esclamò la donna. “Non riesci neanche a ricordarti quand’è stato, da tanto tempo è passato. Senti, signorinella, ti ordino di andare a fare il tuo viaggio. Se non ci vai, io mi licenzio.”

      Lacey sentì un debole sorriso incurvarle le labbra. Dove sarebbe stata se non avesse trovato Gina? “Ti porterò un regalo di ringraziamento,” le disse docilmente.

      “Non serve!” tuonò lei con tono plateale. “Il tuo regalo sarà vederti tornare rilassata e felice.”

      “Sono stata piuttosto nervosa ultimamente, vero?”

      Gina annuì con decisione.

      Lacey rifletté che erano successe un sacco di cose da quando si era trasferita in Inghilterra. Anche se la maggior parte di queste erano state positive, quel bene si era mescolato con un sacco di aspetti negativi. E tutto aveva lasciato un certo segno su di lei. Lacey aveva bisogno di premere il pulsante reset, ripulire la mente dalle ragnatele.

      “Davvero non ti dà fastidio?” le chiese.

      Gina si mise una mano sul cuore. “Sinceramente, al cento per cento: non mi dà fastidio.”

      Lacey provò uno slancio di gioia. Saltò in piedi dalla sedia e fece cenno a Gina di avvicinarsi al bancone, in modo da poterla abbracciare. Ma prima che potesse farlo, il campanello sopra alla porta suonò, annunciando un qualche cliente. Voci americane molto forti riempirono il negozio.

      Voci americane molto forti e molto familiari…

      La testa di Lacey si girò di scatto verso la porta. Da lì stavano entrando nel suo negozio di antiquariato nientemeno che sua sorella Naomi, suo nipote Frankie… e sua madre.

      CAPITOLO TRE

      Lacey sbatté le palpebre. Di certo era un’allucinazione. Ma quando il suo nipotino dai capelli ramati gridò “Zia Lacey!” non ci fu più alcun dubbio. Sua madre, sua sorella e suo nipote erano davvero lì! A Wilfordshire! Nel suo negozio!

      Gina si voltò a guardarla e la sua bocca formò una perfetta O di sorpresa. “Lacey? È la tua famiglia?”

      Aveva gli occhi sgranati dietro ai suoi spessi occhiali dalla montatura rossa. Ma Lacey era troppo stupefatta per poter rispondere. Tutto quello che riusciva a fare era restare a fissare la scena.

      Come avevano fatto ad arrivare qui? Perché erano qui?

      Il pesante tonfo dello zaino che Frankie aveva appena fatto cadere a terra la risvegliò di colpo dalle sue considerazioni. Il bambino le si lanciò incontro di corsa.

      Era cresciuto di almeno 10 centimetri da quando Lacey l’aveva visto l’ultima volta e ora aveva un sorriso maturo che trasformava il suo volto di bambino in quello di un ragazzo.

      “Sorpresa!” esclamò mentre le andava a sbattere contro così forte da lasciarla senza fiato. Le strinse le braccia attorno alla vita come le spire di un pitone.

      “Cosa ci fate qui?” balbettò Lacey, mentre accarezzava i suoi riccioli rossicci.

      “Punti miglia,” disse Naomi, sollevando una valigia molto grossa e strapiena. Era vestita secondo la moda di quell’estate, con un vestito lungo colorato e un giacchino in jeans, il tutto completato da delicati gioielli in oro rosato. Lacey si sentì subito tesa per la mise casual che invece indossava lei: Naomi tendeva ad essere piuttosto critica in materia di aspetto.

      Accanto a Naomi c’era Shirley, la madre di Lacey, con un grosso borsone a motivo floreale, apparentemente pronta a scattare da un momento all’altro. Vedendola, Lacey si innervosì immediatamente.

      “Ho tirato su un sacco di miglia,” spiegò Shirley, spingendosi gli occhiali da sole in cima alla testa. “Frankie aveva una voglia matta di visitare la Scozia, quindi abbiamo pensato di venirti a trovare strada facendo.”

      Mentre quella cozza di Frankie si staccava da Lacey e iniziava a esplorare il negozio, lei aggrotto la fronte confusa. “Ma la Scozia è un paese del tutto diverso! Letteralmente a centinaia di chilometri in quella direzione.” Indicò fuori dalla finestra, dalla parte opposta dell’oceano.

      “Questo lo sappiamo,” ribatté Shirley, il tono subito offeso dall’insinuazione di Lacey. “Ma costava meno volare in Inghilterra per fare scalo che andare diretti lì.”

      “Siamo solo di passaggio,” aggiunse Naomi. “Siamo diretti a Edimburgo.”

      Lacey non poté che sentirsi sollevata che la loro visita fosse breve. “Quanto tempo avete di scalo, allora?” chiese.

      Shirley, che stava sbirciando uno scaffale di ceramiche, rispose distrattamente. “Cinque giorni.”

      “Giorni? Ore intendi,” la corresse.

      Shirley si voltò verso di lei. “No, cinque giorni,” disse con totale ovvietà.

      Tutta l’aria contenuta nei polmoni di Lacey uscì in un improvviso sbuffo. Quasi si strozzò per lo shock. Cinque giorni? CINQUE GIORNI? Che genere di scalo durava cinque giorni? Come li avrebbe intrattenuti? E il suo weekend lungo a Dover con Tom? La loro piccola fuga romantica cadeva proprio nel mezzo dell’imprevista visita della sua famiglia! Certo non poteva mollarli tutti lì, ora che avevano fatto tutta quella strada per venire a trovarla.

      “All’inizio non ne ero sicura,” disse Naomi, continuando la storia da dove Shirley l’aveva lasciata. “Dato che una deviazione di cinque giorni in una vacanza di dieci mi sembrava poco conveniente. Ma poi la mamma ha suggerito di venire qui e farti una sorpresa. Molto meglio che passare cinque giorni nell’hotel di un aeroporto!”

      Rise, ma Lacey non riuscì a fare neppure un sorriso. Per loro era meglio, sicuro, ma non lo era certo per lei! Tutto quello che avevano fatto era stato spostare l’inconveniente sulle sue spalle. E non avevano idea dell’impatto che avrebbe avuto la loro decisione.

      “Avreste dovuto


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