Il Volto della Rabbia. Блейк Пирс

Il Volto della Rabbia - Блейк Пирс


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stato un caso semplice. Sperò soltanto di riuscire a risolverlo velocemente, in modo da non dover sopportare troppo a lungo questo suo nuovo partner.

      CAPITOLO SEI

      Zoe allontanò nuovamente la cintura di sicurezza dal collo, stringendola più forte. Dovette respirare profondamente diverse volte per calmare lo stomaco. Non le era mai piaciuto essere un passeggero – le faceva sempre venire il mal d’auto – ma era persino peggio con il novellino alla guida. Prendeva le curve troppo velocemente e accelerava sui rettilinei anche se si trovava in un territorio non familiare. Ogni volta che il GPS gli diceva di prendere un’uscita, era costretto a fare una curva stretta a velocità vertiginosa per riuscirci. Era un miracolo che non avesse ancora usato il freno a mano e non avesse sbandato.

      “A quanto pare siamo arrivati,” disse Flynn, allungando il collo per vedere più facilmente davanti a sé. Si erano fermati fuori dalla stazione di uno sceriffo; sembrava non esserci nessuno, a parte qualche volante parcheggiata e un solo giornalista che indossava un cappotto lanuginoso.

      Zoe fece un profondo respiro di sollievo, togliendo finalmente le mani dalla cintura di sicurezza. Anche dopo essersi fermati, la pressione che esercitava sul suo collo era sufficiente a farla sentire male. La nausea, insieme all’emicrania che continuava a tormentarla e ai numeri che affollavano la sua vista, lasciarono Zoe senza fiato e incapace di concentrarsi. Voleva soltanto sedersi, appoggiare la testa al sedile e magari dormire per un po’, ma sapeva che sarebbe stato impossibile farlo.

      Il novellino stava già aprendo la sua portiera per uscire dall’auto, quindi Zoe fece altrettanto, seppur a malincuore. Non poteva permettersi di restare indietro, non con un partner che non sapeva ancora come muoversi. Aveva già collaborato con delle reclute. Volevano soltanto mettersi alla prova e tendevano a seguire troppo la procedura. Erano riluttanti a separarsi dalla rigida struttura che avevano imparato all’Accademia. Quello le avrebbe provocato un grosso mal di testa e avrebbe innescato un sacco di discussioni. Proprio ciò di cui aveva bisogno in questo periodo.

      Raggiunse Flynn mentre era ormai arrivato alle doppie porte dell’edificio tozzo, basso e grigio dello sceriffo. Si stava facendo tardi; un’occhiata al suo orologio le mostrò che erano le sette di sera e il sole era da tempo tramontato. La luce gialla dalle lampade di sicurezza che circondavano l’edificio lo rendeva completamente visibile; moscerini e falene si muovevano attorno a ognuna di esse, danzando avanti e indietro spinte da un’irresistibile forza d’attrazione. Il giornalista, che stava cercando di scaldarsi le mani mentre camminava su e giù, li vide entrare ma non li chiamò.

      Una receptionist con una giacca di lana alzò lo sguardo quando entrarono, togliendosi l’estremità di una penna dalla bocca. “Salve, posso aiutarvi?” domandò. Zoe notò che portava tre orecchini a ogni orecchio e che le sue unghie erano di plastica, lunghe cinque centimetri e ornate con un complesso motivo screziato.

      Aprì la bocca per rispondere, ma fu come se a uscire fosse un’altra voce. “Siamo dell’FBI,” disse Flynn, alzando il distintivo per mostrarglielo. “Abbiamo appuntamento con lo sceriffo.”

      La receptionist annuì con noncuranza e alzò la cornetta del telefono che si trovava sulla scrivania. Disse qualche parola; Zoe era troppo occupata a contare le spirali del cavo del telefono fisso per sentirle. Dopo aver messo giù, la receptionist riportò la penna in bocca e continuò a ignorarli, studiando attentamente qualcosa che era posato sulla scrivania, appena fuori dalla loro vista.

      Zoe si voltò spazientita quando sentì un rumore di passi. Più avanti, nel corridoio, si aprì una porta e ne uscì una donna. Indossava la classica uniforme beige da sceriffo, con tanto di radio e pistola infilati nella cintura. Aveva circa cinquant’anni; i suoi capelli erano leggermente grigi ma li aveva tinti, anche se erano ancora visibili radici di due centimetri.

      Zoe ne stimò l’altezza in un metro e sessantotto, più bassa di lei di dieci centimetri. Pesava circa sessantotto chili e camminava con passo determinato, sebbene leggermente ingobbito; la sua schiena era più una curva che una linea retta.

      “Sceriffo Danielle Petrovski,” disse, con un marcato accento newyorkese, allungando una mano davanti a sé. Inizialmente la indirizzò verso Zoe, il che fu una piacevole sorpresa: nella maggior parte dei casi, le persone erano inclini a presumere che l’uomo fosse il capo.

      “Agente Speciale Zoe Prime,” disse Zoe, dandole la mano e mostrando il distintivo con l’altra. La strinse saldamente, calcolando la forza della stretta dello sceriffo. “Questo è l’Agente Speciale Adrian Flynn.”

      “Aiden,” la corresse, dando a sua volta la mano allo sceriffo. Zoe mantenne un’espressione assente. Non era il caso che sapesse che aveva sbagliato di proposito per cercare di fargli calare un po’ la cresta.

      “Avete intenzione di mettervi subito al lavoro o preferite trovarvi un motel per la notte?” domandò Petrovski, guardandoli entrambi in attesa di una risposta.

      “Preferiremmo metterci subito al lavoro,” disse Zoe, anticipando qualsiasi tentativo di Flynn di prendere la parola. Era un novellino. Probabilmente voleva andare a dormire. “Che ne dice di iniziare mostrandoci la scena del crimine?”

      “Certo.” Lo sceriffo annuì. Si toccò la tasca, indicando la presenza di chiavi. “Se a voi sta bene, vi ci porto io. È a circa dieci minuti da qui.”

      Zoe annuì, dopodiché sprofondò nel silenzio più assoluto quando si voltarono per dirigersi verso l’uscita e il parcheggio. Permise a Flynn di iniziare a parlare e fare domande. Nulla di ciò che disse, né tantomeno le risposte che ottenne, diedero loro nuove informazioni rispetto a quelle che avevano già letto negli appunti. Era ancora abbastanza inesperto da non iniziare a indagare immediatamente. Voleva verificare le informazioni che gli erano già state fornite, come gli era stato detto di fare. Non sapeva ancora come investigare.

      Non che Zoe fosse mai stata particolarmente brava a tirare la verità fuori dalle persone, ma almeno lei scopriva le risposte in altri posti.

      Fu lieta di mettersi sul sedile posteriore dell’auto dello sceriffo, nonostante quello spazio fosse solitamente riservato ai criminali. Era bello essere lontani dal sedile anteriore e usare la scusa della distanza dagli altri occupanti dell’abitacolo per continuare a non prendere parte alla conversazione. Guardò fuori dal finestrino, ammirando il paesaggio che scorreva veloce: gli alberi erano ricoperti di foglie arancioni e marroni, che ormai cadevano liberamente a terra lasciandosi alle spalle rami spogli e appassiti. Le foglie morte giacevano in ampi cumuli raccolti da qualche volontario, il quale evidentemente non aveva pensato al fatto che il giorno dopo sarebbero cadute altre foglie e che il vento gelido avrebbe potuto mandare in malora tutto il suo lavoro.

      Le strade erano quasi deserte; il freddo pungente spingeva le persone a restare in casa, a meno che non fossero assolutamente costrette a uscire. Tra gli edifici il paesaggio era grigio e spoglio, ormai privo di vita in questo periodo dell’anno. Zoe appoggiò la testa al vetro, osservando il tutto con disinteresse.

      Una volta arrivati a destinazione, Zoe si accorse che era quasi sul punto di crollare dal sonno, se non fosse stato per i numeri e il loro costante bisogno di essere contati.

      Scesero dall’auto e si ritrovarono in un freddo parcheggio, stavolta davanti a un edificio a cupola che si ergeva su una particolare collinetta che sorgeva sul terreno della città. C’era qualcosa di teatrale in quell’enorme struttura, abbellita da alte colonne ai due lati delle porte d’ingresso.

      Zoe e Flynn seguirono lo sceriffo verso l’ingresso, superando il nastro da scena del crimine apposto su ciascun lato della doppia entrata. L’ambiente interno era completamente buio, e lo sceriffo procedette a tentoni fino a quando non trovò un interruttore e accese le luci.

      Zoe fece un lungo respiro: l’aria fredda della sera percorse le sue narici e le invase i polmoni, mentre osservava l’interno dell’auditorium per cogliere qualsiasi dettaglio della scena. I numeri le travolsero immediatamente i sensi, comunicandole tutto quello che doveva sapere.

      “Ci siamo limitati a portare via il cadavere,” stava dicendo lo sceriffo Petrovski. “Tutto il resto è intatto. Abbiamo chiuso a chiave il posto non appena siamo arrivati. In centrale abbiamo già le foto della scena.”

      Zoe


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