Fino a Dogali. Alfredo Oriani
famiglia; la sua parrocchia è una specie d'eredità capitata nella casa.
Quanto al sentimento e al carattere sacerdotale nè una parola nè un dubbio; si diventa preti come avvocato. Certo i due mestieri diversi esigono diverse attitudini, ma nell'economia domestica e nel concetto sono pari. Se un prete ammalato d'idealismo religioso pretendesse vivere come i primi cristiani, distribuendo ai poveri le proprie rendite, la sua famiglia griderebbe al furto e tutto il paese allo scandalo.
La poesia del sacerdozio è morta da un pezzo: negli stessi conventi, ove da ultimo fu ospitata, è talmente sconosciuta che persino nei libri che vi si scrivono non ne appaiono più traccie.
Don Giovanni sarà cresciuto come gli altri suoi compagni, indisciplinato e villano, ignorante e coraggioso perchè così la natura lo aveva fatto. Non so se fosse mai parroco, parmi che sì, certo servì nelle parrocchie. Il suo era temperamento di soldato, ma nullameno potè rimanere sempre prete senza soffrire e far soffrire. Era un semplice. Della meschina filosofia del seminario non aveva appreso nulla, della sua teologia fine, oscillante, piena di agguati pel ragionamento, tutta sparsa di casi somiglianti a trappole, aperta qua e là in prospettive metafisiche di una profondità perigliosa, illuminata da raggi mistici abbaglianti ed improvvisi, egli sapeva ancora meno.
Solo la morale evangelica, dura e semplice, lo aveva colpito.
L'aveva seguita senza discuterla e senza discuterla l'applicava. La tragedia così profondamente filosofica del cristianesimo per lui non era che un caso di sacrificio, tanto anormale nella grandezza che Dio solo aveva potuto compierla: non vi trovava altri significati. Accettava tutto il rito, tutti i Santi, le pene e i premi, le rivelazioni parziali dopo la massima di Gesù Cristo, le tradizioni, le autorità, i vizi commerciali insinuatisi nel culto, le deformità idolatriche, gran parte delle pretese politiche, perchè la sua natura fatta d'istinto ripugnava alla indagine e debole per troppa ignoranza soggiaceva all'immane peso di un sistema che abbracciava tutto il mondo da circa duemila anni.
Viveva. Avrebbe potuto agire sotto l'impulso di certi sentimenti, ma sopratutto lasciava vivere. Il pensiero era troppo alto per lui, l'azione non ancora matura. Ed era un prete come gli altri. Nato non ricco, non pensò mai ad ammassare. Aveva le abitudini di un contadino coi gusti di un cacciatore, nei quali fermentavano forse le sue forti attitudini guerresche. Incapace di sentire tanto l'idealità della Madonna quanto la tragica delicatezza di S. Francesco d'Assisi, la sua pelle e la sua anima si eccitavano nelle albe frizzanti sui monti, quando il sole sembra prorompere improvvisamente da un'onda rutilante di colori e la terra palpita e tutti gli animali esultano. Amava l'abito corto di cacciatore, le ore snervanti del meriggio nelle stoppie, i ritorni lenti a sera accompagnandosi coi braccianti che discendono dai monti, le stanchezze così sane e così buone che la caccia lascia nei muscoli e nello spirito, quando appena suonata l'avemaria si ha bisogno di dormire.
Quali erano le sue divozioni, poichè un contadino come lui deve averne avuto?
Non ho potuto saperlo, e questo sarebbe il dato più interessante della sua vita. Se in psicologia fosse permesso indovinare invece di dovere sempre osservare, affermerei che il suo santo prediletto fu S. Paolo, il suo evangelio preferito quello di S. Matteo. Il vigore, la precisione romana nei ragionamenti del primo, la sua fulminea conversione, l'indomato orgoglio soldatesco esplodente nelle concioni d'apostolo, la tendenza così moralistica del suo insegnamento, la bruscheria delle sue frasi ancora frementi di passioni mal dome, la sua effigie rimasta in tutti i secoli e in tutte le chiese colla spada in mano, quasi minacciando anche dopo la vittoria, dovevano piacere al suo spirito meglio capace d'intendere la religione nelle battaglie storiche che nelle origini metafisiche. Mentre il racconto austero e quasi fanciullesco di S. Matteo dipingente un Cristo tutto cuore, come un ideale diventato poi divino a forza di essere umano, blandiva certamente la parte più tenera della sua rozzezza, quel fondo di soavità malata e appunto per questo così facile ad inacidirsi, che la mancanza della donna, suicidio parziale del sesso, lascia in tutti i preti.
Don Giovanni potè forse amare Santo Stefano che in una piazza di Gerusalemme dopo la morte di Cristo moriva primo nel suo nome, araldo eroico e gentile di un esercito di martiri che dopo duemila anni passa ancora per la storia; e la sua figura bella di gioventù immacolata, incuorante con coraggio senza acrimonia i lapidatori a finirlo, gli avrà forse da fanciullo strappato urla d'indignazione. Ma la clorotica ed evanescente gracilità di S. Luigi Gonzaga, chiusa nell'invincibile egoismo del santo che si isola dal mondo e vive, pensa, opera, si consuma e muore entro al proprio sentimento, gli avrà senza dubbio ripugnato.
Nella sua natura la poesia non arrivava fino alla musica: la sua bontà poteva forse simpatizzare colla colpa, non ammirare una virtù chiusa nel fondo del cuore e vaporante solo del pensiero i proprii effluvi vivificatori.
I tempi politici della sua giovinezza ingrossavano.
La Romagna, terra di ribellioni, era tutta agitata da idee liberali ancora torbide ed incerte. Il governo papale discendendo la propria parabola millenaria era arrivato al di sotto del ridicolo nell'impotenza, oltre la nausea nella corruzione; la sua stessa religione, così robusta storicamente per guerre durate e battaglie vinte, sembrava ed era profondamente malata. Il clero romagnolo, numeroso come le cavallette, non aveva nè coraggio nè capacità politica, nè valore intellettuale. Dominava tutte le attività della vita pubblica e una invincibile anemia lo esauriva: senza idee e senza passioni, gli erano rimaste le abitudini delle une e i vizi delle altre. Oppugnando l'immenso sviluppo della civiltà moderna, non ne sapeva nulla: vantava il proprio passato, e lo ignorava; a corto di ragioni, non sentiva più la poesia; accattone di aiuti assassini da tutti gli stranieri, non sapeva e non poteva esercitare sui popoli una autorità che non trovava in se stesso.
Questo periodo di storia religiosa e civile oggi conchiusa non fu ancora abbastanza studiato.
Don Giovanni lo visse.
Persecuzioni minute e ridicole inferocivano. Si imprigionava senza processo, ma non si osava uccidere nemmeno condannando a morte: nei pochi casi di esecuzione capitale il governo si rivolgeva all'Austria, della quale stipendiava le truppe, e l'Austria fucilava colla ipocrita ragione di una ribellione militare. L'epoca dei grandi inquisitori era passata. Quel governo moribondo, incapace di saper morire, non sapeva nemmeno ammazzare. Ma in fondo è la medesima cosa ed esige le stesse facoltà.
Don Giovanni, uomo fra un clero che di virile non gli era rimasto che il sesso, era troppo avveduto per dividerne gli ultimi morbosi capricci. La forza della sua natura mantenuta dalla rozzezza della razza e da una vita incessantemente rimescolata fra persecutori e perseguitati, fra una gente che anelava alla libertà come alla prima delle virtù, e una casta che pretendeva ancora la servitù verso sè medesima come primo dovere verso Dio, lo fecero istintivamente tenere per un dì coloro, che volevano essere uomini ed italiani contro gli altri, suoi compagni o superiori, che non essendo nè l'uno nè l'altro pretendevano imporre la propria incapacità come un divino ideale.
Ma prete campagnolo e cacciatore, optando per il popolo contro il governo, non vide sciolto alcuno dei grandi problemi, che prima di lui avevano perduto tanti illustri sacerdoti e dovevano seguitare a perderne altri ancora.
La modestia delle sue brame e delle sue idee gli aveva sempre impedito di comprendere le necessità avviluppate e profonde del potere temporale. Non avendo nè a salire nè a discendere per restar prete, il suo buon senso di villano gli suggeriva fatalmente una equazione fra sè stesso e il papa. Perchè questi non potrebbe restare papa senza regno, se egli poteva rimanere parroco senza i poderi della parrocchia? Dio era buono e l'umanità infelice; Cristo l'aveva redenta, lasciandola nel dolore come in un aroma che le impedisce di putrefarsi. Tutto il resto era rito, culto, bisogno di rappresentazione e di traduzione per la povera gente: il cristianesimo non era che il sacrificio di Dio per tutti e che ognuno doveva ripetere per sè e per gli altri.
Come il cristianesimo erasi sviluppato nel mondo vincendolo? Per lui il problema era facile: il cristianesimo era vero. Perchè dal pontificato era sorto il papato? Necessità di tempi e di disciplina. Perchè il cristianesimo lacerato sempre dalle eresie aveva finito per scindersi in cattolicismo e in protestantesimo? Egli l'ignorava. Secondo lui il cattolicismo avendo ragione ne aveva abusato, il protestantesimo poteva aver torto, ma il suo errore non