Fino a Dogali. Alfredo Oriani

Fino a Dogali - Alfredo Oriani


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oltre.

      Il vangelo bastava a tutti e a tutto.

      Le condizioni presenti della religione, nella quale doveva agire come prete, gli erano sconosciute. I curati, i canonici, i vescovi che aveva conosciuto ne sapevano quanto lui. Le loro interpretazioni dei vangeli, ormai vecchie quanto i vangeli stessi, avevano perduto nella monotonia di una troppo lunga ripetizione ogni significato. Il sacerdote le sviluppava straccamente dall'altare al popolo ascoltante nella invincibile indifferenza di chi non può aspettarsi più nulla da una spiegazione. Nessuna virtù, nessun ideale luceva più. La Chiesa che aveva tanto canonizzato nel passato, aveva perduto il profumo e il senso della santità: il clero non era più che un'immensa amministrazione religiosa, nella quale i conventi rappresentavano ad un tempo i magazzeni e le caserme.

      Un vasto e freddo disprezzo li avvolgeva.

      Nella campagna e nelle piccole città italiane, sprovviste di cultura, rito e culto testimoniavano soli della religione. Le anime quetatesi dopo la tormenta del rinascimento in una inerzia appena sollecitata dai minuti bisogni quotidiani della vita, non aveva più nè aspirazioni nè ricordi, nè ideali politici, nè sogni religiosi. Si viveva chiusi entro la cerchia del paese grande quanto tutto il resto del mondo ignorato. L'educazione dei seminarî e dei conventi troppo prolungata aveva portato i proprii frutti uccidendo tutte le arti colla rettorica e tutte le scienze colla teologia.

      Se qualche intelletto spinto da una irresistibile forza intima sorgeva, le fiacche curiosità paesane lo circondavano; ma rimaneva a loro in mezzo applaudito ed incompreso, triste e solitario.

      Tutte le classi erano disgiunte, mentre il clero più unito per uniformità di tendenze e d'interessi, che compatto, bastava a dominarle.

      Ogni piccolo Stato italiano isolandosi per istintiva diffinanza inceppava le comunicazioni. I suoi soldati incapaci di guerra non erano che sbirraglia, la sua politica interna una tutela di convento quando la prigionia e la pena di morte vi si praticavano ancora, la sua politica estera una laida servitù verso l'Austria ultimo impero feudale cinto di feudatari più grossi degli antichi e più abbietti dei cortigiani moderni. Fra essi il Pontefice, immemore della grande epoca papale, vantava ancora nei molteplici brevi un impero universale, tremando pel rifiuto di un reggimento di croati. Nelle Università le vecchie lampade non rifornite mandavano più fumo che luce: il commercio viveva del piccolo contrabbando alle innumerevoli frontiere interne.

      L'Italia desta dai cannoni di Napoleone I, poi rialzata da uno strettone della sua mano terribile, sembrava rimorta con lui.

      Il suo ultimo poeta aveva conchiuso nel 5 Maggio l'inno a Napoleone colle supreme parole dei funerali.

      Nullameno l'Italia viveva ancora e intorno a lei l'Europa grandeggiava.

      Nella tempesta di mille questioni poste dalla rivoluzione francese il problema religioso soverchiava. La rivoluzione avendo l'aria di sopprimerlo colle feste della Dea Ragione lo aveva invece rianimato. Il cristianesimo attaccato teoreticamente dagli enciclopedisti, lacerato dai frizzi di Voltaire, aperto dalle potenti invettive di Rousseau, soffocato dalle prime scoperte della nuova scienza, impicciolito dalla recente sicura conoscenza di tutto il mondo fisico, quasi soppresso dalla rivoluzione alla quale si era opposto come vecchio alleato della feudalità, aveva trovato come sempre la propria salvezza nella persecuzione. La rivoluzione per ricacciarlo dal campo della politica entro i suoi confini naturali l'aveva seguito oltre ai medesimi nel campo chiuso delle coscienze. Allora il cristianesimo fuggente si era rivoltato resistendo. Moltissimi de' suoi preti seppero morire; i suoi credenti trovarono con lui nel fondo della propria anima l'energia di tutti i dolori e di tutte le speranze. Parvero ritornati i primi tempi dell'apostolato.

      Invece delle catacombe la religione abitò nei boschi. Le case ebbero altari; all'eroiche superbie dell'ateismo si contrapposero le miti ma inflessibili resistenze della fede.

      Poi Napoleone, disciplinando la rivoluzione nell'impero per portarla in tutto il mondo, sospese la persecuzione religiosa. Al rombo dei suoi cannoni vittoriosi le campane risposero con squilli di trionfo e le chiese si aprirono al culto, mentre tutta l'Europa vinta da una apparente conquista si schiudeva alla libertà. Chateaubriand, che avendo invano cercato giovinetto il passaggio del polo era tornato esule della rivoluzione a Londra per seguir poi tutta la vita il fantasma della regalità, scioglieva nel Genio del Cristanesimo, libro futile e meraviglioso, l'inno della nuova religione pacificata colla nuova libertà.

      Le coscienze respirarono. La religione si rialzò avendo perduto nella breve persecuzione gran parte dei falsi ornamenti procacciati nei lunghi secoli della sua tirannide. Roma oscillando sotto la protezione violenta di Napoleone, fra una repubblica fugace e una fuga del Pontefice, trovò alcuni accenti tragici de' suoi primi secoli: la libertà rivoluzionaria alleandosi istintivamente alla libertà religiosa nel nome della libertà di pensiero resistette al nuovo impero. Si potè essere orgogliosamente cattolici come dianzi si era stati superbamente giacobini. Dio confessato da Robespierre all'ultima ora, quasi nel presentimento della morte, sfolgorò nelle chiese fra i Tedeum della vittoria: Cristo prima odiato come tiranno ritornò a capo dei nuovi martiri, martire più antico e più bello di loro. Un vasto sentimento patetico prodotto dai massacri della rivoluzione, alimentato dalle carneficine dell'impero, poetizzato dai sacrifici di quanti erano morti e morivano ancora su rovine fumanti, sostenuto dalle energie della nuova vita creò nella politica, nell'arte, nella religione un mondo nuovo di figure e di realtà.

      La religione, ritornando di moda nei costumi, imperò nei libri.

      Un moto di reazione la sospinse così in alto amplificandola che un'altra reazione scoppiò, e la scienza, prima complice, poi vergognosa degli eccessi della rivoluzione, e quindi ritiratasi in faccia alla nuova ovazione cristiana, si ripresentò austera per contraddirla.

      Da Chateaubriand a Victor Hugo rimasto cristiano attraverso le meravigliose metempsicosi della sua poesia, tutta una legione di scrittori e di artisti agitò il problema religioso: l'ateismo cedette al pessimismo, che fu ancora una contropprova della religione. Le imprecazioni di Lord Byron, le maledizioni di Leopardi espressero il dolore di non potere più credere pur conoscendo le bellezze della fede, mentre l'ateismo vero del secolo antecedente, vissuto nella calma della propria sicurezza, non aveva nè bestemmiato nè sofferto. Lamartine e Manzoni rinnovando la lirica della Chiesa superarono forse gl'inni più belli dei suoi primi tempi: De Maistre e De Bonald sentendo la necessità del nuovo impero religioso vollero mantenerlo colle ragioni dell'antico, e quegli reclamò il dispotismo del papa, questi l'assolutismo del re; Ballanche conservò nel nuovo ardore religioso la vecchia placidezza platonica, mentre madama Staël, fondando con Chateaubriand il romanticismo francese, preparava la più grossa falange di scrittori cristiani apparsa nella storia. Le nuove generazioni arrivavano tumultuando, raggiando.

      La Germania quasi sconosciuta nel commercio letterario compiva nella calma di una fecondazione così enorme che oggi appena, dopo cinquant'anni, si è potuto calcolarne le opere e i risultati, la rinnovazione della filosofia e della scienza, dell'arte e della politica. Se la Francia aveva agito, la Germania aveva pensato: pensiero ed azione parvero combattersi un momento nella forma conquistatrice della rivoluzione francese, ma stavano già per fare la pace. Il soffio religioso seguitava a purificare l'aria dalle impurità rivoluzionarie sconvolgendo molte teste. Alessandro di Russia ne ammalò a Pietroburgo; il pontefice ammalò in Roma del vecchio morbo vaticano. Roma che avrebbe potuto conquistare il mondo col nuovo sentimento religioso largo e puro, pretese riprenderlo colle vecchie armi del governo papale. L'avarizia del potere temporale e l'affetazione della tradizione divina la fecero contraddire al recente moto, e poeti, apostoli, scrittori, credenti, tutti furono violentemente assoggettati alla interpretazione vaticana.

      Ma generati dalle persecuzioni e nati nella libertà, la loro maggioranza resistette. Roma, che doveva rappresentare la verità della libertà eterna contro la tirannia della libertà rivoluzionaria, divenne l'ultima cittadella del dispotismo, piena più di preti che di soldati, immensa officina di idoli e di catene governative. Per conservare le proprie provincie avversò ogni fortuna d'Italia, costretta ad invocare soccorso da cattolici e da eretici benedisse tutte le violenze e anatemizzò tutti gli eroismi; più vile che nella decadenza dell'impero romano smarrì il senso della sua eterna universalità per non conservare


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