Fiore di leggende. Anonymous

Fiore di leggende - Anonymous


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questo mondo avía, tutto l'avea dispeso in cortesia.

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      E, quando quella damigella intese come cortese e largo egli era istato, d'una amorosa fiamma il cor l'accese, che non trovava posa in nessun lato; e Gherardino fra le braccia prese, e con bramosa voglia l'ha baciato. Ed e', veggendo la sua innamoranza, come da prima incominciò la danza.

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      Come del giorno apparve alcuno albore, la Fata bianca in piè si fu levata, ed una roba d'un ricco colore a lo Bel Gherardin ebbe recata. E poi a Marco Bel, suo servidore, un'altra bella n'ebbe rapportata. E quando tempo fu, sí si levarono; vestirsi quegli, e li lor non trovarono.

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      Se Gherardin parea prima giocondo ch'avesse roba di si gran valenza, ben parea poi signor di questo mondo, tanto era bella la sua appariscenza! Di zambra uscí, e Marco Bello secondo, che non v'era persona di presenza, se non quella donzella che gli guata, che nolla veggon, perché sta celata.

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      Disse Bel Gherardino allo scudiere: —Andiamo un poco di fuori a sollazzo,— e uno bel palafreno ed un destriere trovâr sellati, e non v'avea ragazzo! montârvi suso, e non v'avien ostiere! Gherardin corre il destriere a sollazzo, e be' lo mena a sinistra ed a destra, e la donzella stava alla finestra.

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      Quando a lor parve tanto essere stati, e' tornâro al palagio a disinare: ed ogni giorno s'erano avezzati d'uscir di fuori un poco a sollazzare; e ogni volta, quand'erano tornati, trovavan cotto per poter mangiare. Ed ogni notte, per diletto, avea Gherardin quella che il dí non vedea.

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      Tre mesi e piú cotal maniera tenne Bel Gherardin con allegrezza e strada; ed una notte sí gli risovenne della sua gente e della sua contrada. E quando quella pena sí sostenne, piú non vedea quella che sí l'agrada; e' con temenza alla donzella disse che le piacesse che si dipartisse.

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      E disse:—Dama, non vi sia pesanza, se contro a la tua voglia io ti parlassi; io t'adimando e cheggio perdonanza, s'alcuna cosa nel mio dir fallassi: d'andare a Roma i' ho grande disianza: di subito morrei, s'io non v'andassi. Però ti priego che tu mi contenti, ch'io veder possa gli amici e' parenti.

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      E la donzella al cor n'ebbe gran doglia, ch'a gran fatica gli fece risposta. Per Gherardin tremava come foglia, considerando che da lei si scosta. Ma pur, veggendo sua bramosa voglia, sí gli rispuose, quando ella ebbe sosta: —Ben ch'il mio cor del tuo partir tormenta, po' ch'a te piace, ed io ne son contenta.—

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      A la partita gli donava un guanto, e disse:—Ciò che vuogli, tu comanda; e tu l'avrai; non chiederesti tanto, cavalieri o danari over vivanda.— Queste parole gli disse con pianto; ma finalmente cosí gli comanda: —Non sia persona a cui lo manifesti, ché ciò che tu averai, sí perderesti.

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      E quella gente, che tu troverai, con teco mena, ch'e' ti ubidiranno. Di me sovente ti ricorderai; ma fa' che tu ci sia in capo all'anno: in tua presenza allor mi vederai con molte dame che mi serviranno; e sposera' mi a grandissimo onore: sarò tua donna e tu siei il mio signore.—

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      Perché a Roma torna volentieri, Bel Gherardin da lei prese commiato. E covertati trovò due destrieri, sí che ciascuno a cavallo è montato: e mille cinquecento cavalieri trovò fuor del castello insú in un prato; e sessanta vestiti ad una taglia, e molta salmeria, se Iddio mi vaglia.

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      Siccome valoroso capitano. Bel Gherardin disse lor:—Cavalcate.— Eglin gridâr:—Viva il baron sovrano!— con molte trombe innanzi apparecchiate; ed ogni gente fuggía per lo piano. E cosí cavalcâro piú giornate, tanto che fûr nel contado di Roma, e la novella a la cittá si noma.

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      Quando fûr pressi a Roma, a cinque miglia, tender vi fe' trabacche e padiglioni: e il padre santo se ne maraviglia, che non sapea di lor condizioni: montò a cavallo con la sua famiglia, con compagnia di molti altri baroni, ed altra gente molta e' suoi fratelli contra a costoro andâro per vedelli.

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      E il padre santo ben lo cognoscea,

       siccome egli era di grande legnaggio.

       e, co' fratelli insieme, gli dicea:

       —Donde avestú cotanto baronaggio?—

       Ed egli a tutti quanti rispondea:

       —Come Iddio volle, io ho tal signoraggio.—

       E tanto non poteron domandare,

       che volesse altro lor manifestare.

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      Ne la cittá con grande onore entrava Bel Gherardin e sua gente pregiata, ed ogni gente si maravigliava della gran baronia ch'avíe menata: e tutta gente di lor ragionava, facîendo festa della sua tornata. E co' fratelli in casa si ridusse con quella gente ch'a Roma condusse

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      Sí bella corte tenne quel barone, che dir non si potrebbe né contare. Se v'arrivava giullare o buffone, era vestito sanza addomandare; e non sapea neun suo condizione, come potesse sí corteseggiare. E ben tre mesi fe' corte bandita, che per vertú del guanto era fornita.

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      E una sera, quand'ebbono cenato, e la madre il chiamò segretamente, e disse:—Figliuol mio, dove se' stato, po' che del tuo partir fui sí dolente?— E poi appresso l'ebbe dimandato come potea tener cotanta gente; e finalmente tanto il dimandoe, che ciò ch'egli avíe fatto le contoe.

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      E disse siccome egli aveva avuta la Fata bianca, che l'era suo sposa. E, come la parola fu compiuta, dipartissi la gente ed ogni cosa, e la vertú del guanto fu perduta; onde suo madre fu molto crucciosa. E Gherardino e Marco, lagrimando, partirsi, e lei lasciaron sospirando.

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      Sol ha un ronzin ciaschedun, sbigottito. Gherardin mosse lo ronzin predetto, e cavalcando partesi smarrito, e ragionando andava il suo difetto. Siccome della fata fu marito, nel secondo cantar vi sará detto, e come del paese fu signore. Questo cantare è detto al vostro onore.

       Indice

      1

      O Padre, e Figlio, e Spirito Santo, che venir ci facesti in questo mondo, al vostro onor comincio questo canto. Benché 'n semplicitade ognora abondo, concedi grazia ne lo mio cor tanto, ch'assai piú bello sia, ch'è lo secondo; e, se a lo primo avessi a voi fallato, per lo secondo fie ben ristorato.

      2

      Signori e buona gente, voi sapete che in prima è l'uom discepol che maestro; e le vertú, ch'agli uomini vedete, procedon dal Signor, Padre cilestro. Però s'i' fallo, non mi riprendete, che di tal arte non son ben maestro: che vi vo' dire, col piacer divino, ciò che intervenne a Marco e a Gherardino.

      3

      Nell'altro cantar sapete ch'io dissi come a la madre manifestò il guanto, e come la suo gente dipartissi, e rimasono in tormento ed in pianto; or vi dirò che, seguitando, addissi. Pognendo ogni pensiero da l'un canto, ascoltate, signori, in cortesia, ch'io intendo trarvi di malinconia.

      4

      Bel Gherardino e Marco si partiéno, addolorati nel core amendue, e come fuori della cittá usciéno, Gherardin disse il fatto come fue, dicendo:—Marco mio, come faremo, che danar né derrate non ci ha piue?— E Marco disse:—Non ci sgomentiamo: a quella dama ancor ci ritorniamo.—

      5

      E, cavalcando insieme per costume, arrivarno una sera lungo il mare ad una fonte dove mette


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