Le ore inutili. Guglielminetti Amalia

Le ore inutili - Guglielminetti Amalia


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inattesa.

      — Professore, fra poco saremo costretti a troncare le nostre piacevoli lezioni.

      — E perchè, signorina?

      Ella aveva pronunciato con gaiezza, sebbene con una leggiera intonazione di rammarico le parole che annunziavano un prossimo commiato, ma Valenzi sentì che la propria voce tremava mentre egli mormorava con un sobbalzo trattenuto la domanda ansiosa.

      — Perchè sono fidanzata, caro professore. Mi sposerò fra un mese e mezzo.

      Valenzi inghiottì qualche cosa che lo stringeva alla gola e rispose con un sorriso penoso:

      — Ne sono lieto, veramente lieto. E chi è dunque l'uomo fortunato che mi rapisce la più gentile fra le mie allieve?

      — L'uomo fortunato è un giovane artista non ancora celebre, ma che lo sarà certamente un giorno. È il pittore Fulvio Albanesi, quello che ha lo studio in questa stessa casa all'ultimo piano.

      — Non lo conosco, — mormorò Valenzi, crollando lentamente il capo e trattenendo a denti chiusi un sospiro.

      — Nemmeno io lo conoscevo alcune settimane or sono. Conduceva una vita molto ritirata e laboriosa. Veniva a studio la mattina presto e se ne andava la sera tardi. Mammà diceva che era un giovine molto serio e papà che pagava puntualmente la pigione. Io lo guardavo spesso, nascosto dietro le cortine della finestra perchè mi piaceva molto, ma egli sembrava ignorare persino la mia esistenza. Finchè un giorno, al principio di marzo....

      — Al principio di marzo? — ripetè Valenzi trepidamente, rammentando che proprio in quei giorni egli le aveva mandato i malaugurati fiori.

      — Sì, ai primi di marzo io ricevetti un bellissimo cestello di mughetti di serra, assolutamente anonimo e subito immaginai che il donatore così discreto di quei fiori non poteva essere che il giovine pittore dell'ultimo piano.

      — Ed era lui?

      — Era lui. Rimasi tutto un giorno tormentata dall'incertezza, ma il domani lo attesi sulle scale e, fingendo di averlo incontrato a caso, gli chiesi la cortesia di farmi visitare il suo studio, soggiungendo di non essere mai penetrata nello studio di un pittore. Egli rispose schermendosi con timidezza, osservandomi che la sua casa era povera d'opere e poverissima d'arte, ma invitandomi tuttavia ad entrarvi quando mi piacesse. Allora, senz'altre divagazioni, io lo ringraziai del suo omaggio silenzioso, lodando la gentilezza e il profumo del suo cestello di mughetti e soggiungendo ch'esso era stato per me un dono squisito, degno di uno squisito artista come lui.

      — E che cosa rispose lo squisito artista?

      — Tornò a schermirsi timidamente, negando con aria di mistero d'essere lui stesso il colpevole di simile arditezza, ma alle mie insistenze finì col tacere, lasciandomi comprendere che non aveva osato manifestarmi in altro modo la sua ammirazione appassionata e che quei fiori mi portavano tacitamente le parole oscure che occupavano il suo pensiero, ma ch'egli non avrebbe mai ardito rivolgermi. Ed ecco come cominciò il mio fidanzamento, caro professore, ecco per quale via io sono giunta alla felicità.

      Valenzi non rispose subito. Si pulì con cura gli occhiali che gli parevano annebbiati di un vapore grigio ed aperse e richiuse due o tre volte un libro deposto accanto a sè sulla scrivania.

      — Che cosa debbo fare? — si chiedeva frattanto. — Rivelare la sottile ipocrisia e lo scaltro opportunismo di quel giovine pittore che s'era valso d'un gesto di grazia altrui per arrivare a quella deliziosa creatura e per concludere con abilità un eccellente matrimonio? Egli se ne sentiva sdegnato come d'una beffa e umiliato come d'una profanazione, ma comprendeva ch'era ormai troppo tardi per scoprire alla fanciulla la verità. A che cosa avrebbe essa ormai servito? Diana era innamorata di quel giovine e dinanzi all'amore non c'è nulla di più dolce che l'inganno, nulla di più odioso che il vero.

      — Professore, ella che è poeta scriverà un sonetto per le mie nozze?

      Diana gli stringeva le mani sorridendo di quel suo bel sorriso luminoso che lo abbagliava, mentre egli in piedi dinanzi a lei prendeva commiato con un volto atteggiato a grave serietà.

      — No, signorina. La mia musa non ha sufficiente dimestichezza con le caste gioie d'Imene, — rispose alquanto ironico il professore Biagio Valenzi. E subito soggiunse più sereno: — Le faccio però un augurio da poeta.

      — Ossia?

      — Ossia che la sua felicità non abbia mai a trovarsi faccia a faccia con la verità.

      — Non comprendo.

      — È meglio che non comprenda.

       Giunsero insieme al cancello del giardino, in silenzio, un poco oppressi entrambi dalla oscurità grave di quelle parole, poi il professore si chinò a baciare per la prima volta la mano della sua allieva, quella piccola mano ch'egli stesso, senza saperlo, aveva offerto ad un altro.

      Quindi varcò la soglia e se ne andò a capo chino, senza voltarsi.

       Indice

      — Lo sapevi pure ch'ero venuta per salutarti. Tutti ormai lasciano la città e mio marito doman l'altro mi accompagnerà egli stesso col bimbo, lassù, nella nostra villa sul lago.

      — Dove tu ti diverti a lasciarti corteggiare da tutti gli sfaccendati eleganti che egli ti porta in casa.

      — Ma che dici, Gustavo? Io compio il mio dovere di padrona e di ospite, ma, in realtà, nel segreto del mio cuore non amo che te, te solo. E tu lo sai.

      — Io non so nulla. So soltanto che tu te ne vai e mi lasci qui a spremermi il cervello arido sulle pagine di questo romanzo che non mi riesce di condurre a termine, sebbene il mio editore lo reclami per la fine del mese. Tutto mi mancherà con la tua partenza. Anche il conforto del tuo sorriso, del tuo sguardo e dei tuoi baci che mi aiutavano a ritrovare me stesso nelle soste di questo faticoso lavoro. Ma non mi sorprendo. Voialtre donne non sapete amare, non sapete abbandonarvi all'onda travolgente di una passione, nel divino oblìo di tutto e di tutti. Per una metà vi concedete, e per l'altra metà rimanete attaccate tenacemente ai piccoli doveri della famiglia, della casa, della mondanità, alle stupide esigenze della vostra vita ristretta.

      — Gustavo, te ne prego, non parlare così aspramente. Mi fai troppo, troppo male. Ricordati almeno che ti offersi un giorno di lasciare tutto quanto mi legava e di fuggire con te. Non hai voluto. Sono pronta a farlo domani, oggi stesso, se me lo chiedi.

      — Io non ti chiedo nulla. Vattene pure in villeggiatura, e divertiti e godi. Io rimango a soffrire in silenzio e in solitudine. Il mio dolore ti parlerà forse un giorno per mezzo di queste creature fittizie che escono con pena dal mio cervello tormentato. Addio.

      Lo scrittore s'alzò dalla poltrona in cui giaceva sdraiato con gli occhi al soffitto e tese le due mani alla giovine signora sgomenta che s'appoggiava col dorso incontro al piano del largo tavolo da lavoro sparso di carte in disordine.

       Ella gli premette invece sulla spalla le sue piccole palme inguantate e lo fissò negli occhi lungamente.

      — Mi mandi via a questo modo, con un saluto così amaro e così gelido?

      Egli si strinse nelle spalle e non rispose.

      — Verrai domani a dirmi ancora una parola buona prima ch'io parta?

      — Non so....

      — Verrai a passare alcuni giorni od alcune settimane lassù in villa, presso quel lago che ti piaceva tanto, un tempo?

      — Dovrò consegnare il mio romanzo innanzi tutto e forse non giungerò mai a finirlo. Conta su altri ospiti, non contare su di me.

      — Quando ci rivedremo?

      — Chi sa? Forse mai più.

      Erano giunti passo passo nella grande anticamera deserta, dove alcune statue greche e un basso sarcofago di porfido si specchiavano nella lucentezza del pavimento


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