La Repubblica di Venezia e la Persia. Berchet Guglielmo
le incamminate trattative di pace, accolte dietro domanda del Turco e in mancanza di ogni notizia dalla Persia, ma con lieto animo opportunamente a tempo reiette. Gli fu ordinato di portar seco un dono di panni d'oro da presentarsi ad Uzunhasan, e di visitare la regina, nonchè il signore di Caramania ed il re di Georgia. Finalmente egli ebbe incarico di rilevare e descrivere tutte quelle minute informazioni che potesse avere: della potenza del re di Persia, della sua età, valore, stato, confini, vicinanze, redditi, esercito; nonchè della sua disposizione e volontà nella guerra contro la Porta, e di tutte le altre cose che egli riputasse degne di essere conosciute.
Con questi ordini pertanto Caterino Zeno partitosi da Venezia, passò a Rodi pochi mesi, e di là, entrato nel paese del Caramano, pervenne dopo molto travaglio in Persia. Ed annunciato il suo arrivo, fu egli da quel re ricevuto con grandi dimostrazioni di onore, quale ambasciatore di una repubblica potente e confederata; e avendo poi chiesto di presentarsi alla regina, ne ebbe per grazia speciale il permesso, cosa insolita a concedersi a qualsiasi persona, dacchè non era costume in Persia che le donne, e particolarmente le regine, si lasciassero vedere.
Laonde condotto lo Zeno innanzi alla despina Teodora, e datale notizia di sè, fu accolto e ricevuto come caro nipote, fu alloggiato nel reale palazzo, e presentato ogni giorno (cosa riputata di molto onore) delle stesse vivande della real mensa. Ed udita più particolarmente la cagione della sua venuta, la regina gli promise ogni aiuto e favore, riputandosi parente della signorìa di Venezia; e di fatto ella contribuì efficacemente ad indurre Uzunhasan a muovere le armi contro Mohammed[18].
Scriveva quindi lo Zeno il 30 di maggio 1472[19] al capitano generale Pietro Mocenigo, essere egli arrivato in Tauris al 30 aprile, aver trovata la più liberale accoglienza dal re e dalla regina, e la migliore disposizione di muovere nella Caramania e verso le coste contro gli Ottomani. E pregava il capitano generale di accordare passaggio ad un nuovo legato persiano, che Uzunhasan spediva a Venezia.
Giunse in fatti, alla fine di agosto, in Venezia l'oratore agì Mohammed, per chiedere alla repubblica soccorso di artiglierie, delle quali mancava il campo persiano.
Questo oratore recava alla signorìa un preziosissimo dono, che tuttora si conserva fra gli stupendi cimeli del tesoro di S. Marco. Esso consiste in un catino ricavato in una sola turchese di smisurata grandezza, avente il diametro delle celebri colonnette della cattedrale di Siviglia (m. 0,228). Sulla superficie esteriore stanno intagliate cinque lepri, e nel fondo le parole bar allah, interpretate dal Montfaucon opifex Deus, avvegnachè opera sì straordinaria e preziosa debba riputarsi divina. Il catino è contornato da una doppia legatura, entro e fuori, d'oro finamente cesellato e guernito di cinquanta gemme. Il Montfaucon dichiara che nessun altro cimelio gli ha destato maggior meraviglia, così pure il Cicognara; ma lo Zanotto ed il Durand dubitano, e forse a ragione, che il catino sia invece di pasta vitrea, la cui arte era perfettissima in Persia, d'onde si diffuse per la civile Europa[20].
Pochi giorni prima di agì Mohammed arrivava per la via di Caffa un altro messo persiano [Documento VIII], « spagnuolo di nascita e di fede ebreo » il quale confermava che il suo signore era in viaggio con un potentissimo esercito, e risoluto di non ritirarsi dall'Asia minore senza aver prima debellato il Turco. Questo messo fu consigliato di presentarsi al re Ferdinando di Napoli ed al pontefice. Dai quali ottenne buone parole e scarse promesse. A Roma fu con due famigliari battezzato da papa Sisto, che gli pose il suo nome, e lo regalò di molti doni.
In seguito alla domanda di agì Mohammed, deliberavasi in senato la lettera ducale 25 settembre 1472 al re della Persia[21] per assicurarlo, che gli sarebbero spedite le chieste artiglierie, e che ordinavasi al capitano generale da mar di porsi intieramente colla veneta armata a di lui disposizione.
In questo senso scriveasi pure il 27 settembre allo Zeno, che ai 5 del successivo gennaio 1473[22] si rendeva avvertito del licenziamento di un nuovo oratore turco, venuto per ricercare la pace, mentre il senato non voleva conchiuderla se non d'accordo col re persiano, incaricandolo di annunziare ad Uzunhasan il prossimo arrivo delle chieste artiglierie, condotte da uno speciale ambasciatore.
Nel medesimo giorno in fatti il senato eleggeva oratore in Persia, collo stipendio di 1800 ducati all'anno, e coll'accompagnamento di dieci persone, Giosafat Barbaro, il quale per essere stato console veneto alla Tana e governatore in Scutari, conosceva perfettamente le lingue orientali[23].
E deliberava nella successiva tornata delli 11 gennaio[24] che si mandassero al re di Persia sei bombarde grosse, dieci di mezza grandezza e trentasei minori. Erano le bombarde una specie di mortaio in forma di tromba, nella cui bocca poneasi in luogo di palla una gran pietra. Inoltre 500 spingarde, specie di grande balestre, schioppetti e polveri quanti più se ne potessero raccogliere, pali di ferro 300, zappe 3000, badili 4000, e finalmente un regalo di panni pel valore di diecimila ducati.
Nella relazione del suo viaggio in Persia, pubblicata dal Ramusio, il Barbaro narra che partì da Venezia insieme ad agì Mohammed con due galere sottili, seguite da due grosse, cariche di bombarde, spingarde, schioppetti, polveri, carri e ferramenta pel valore di 4000 ducati, e con 200 schioppettieri e balestieri, comandati da quattro contestabili e da un governatore che era Tommaso da Imola; e che li doni per Uzunhasan consistettero in lavori e vasi d'argento del valore di ducati 3000, in panni d'oro e di seta del valore di ducali 2500, e in panni di lana di color scarlatto ed altri fini del valore di ducati 3000.
E successivamente colle parti 5 novembre, 21 dicembre 1473 e 22 gennaio 1474, il senato ordinava di assoldare Antonio di Brabante bombardiere, e di mandarlo ad Uzunhasan insieme ad altri 500 schioppetti e 100 spingarde. Marino Contarini fu incaricato di fare questi nuovi acquisti; ed il capitano generale da mar, di farli giungere nella Persia[25].
Le commissioni a Giosafat Barbaro furono due: una palese, data il 28 gennaio 1473 [Documento IX], l'altra segreta l'11 febbraio seguente [Documento X].
Colla prima ordinavasi al Barbaro di andare oratore solenne per la repubblica in Persia, insieme al legato persiano agì Mohammed ed agli ambasciatori del sommo pontefice e del re di Sicilia, allo scopo di confermare ed animare vieppiù Uzunhasan nell'impresa contro i Turchi, e di recargli le chieste armi e le genti.
Cammin facendo egli doveva eccitare il capitano generale Mocenigo a fatti importanti nella nuova stagione, visitare il re e la regina di Cipro, procurando di indurli ad unire la loro flotta, e finalmente maneggiarsi per lo stesso fine coi cavalieri di Rodi.
Il veneto oratore dovea presentarsi al re di Persia insieme a Caterino Zeno, « per rendere più cospicua e solenne la ambasceria; ed esporgli, che la repubblica da dieci anni era in guerra col Turco deliberata di sostenerla e proseguirla d'accordo colla Persia sino all'ultimo eccidio del comune nemico; che aveva rifiutata ogni proposizione di pace; che l'armata veneta e la collegata aveano già infestate le marine dell'Anatolia, ed erano pronte a nuove e più importanti imprese nella prossima primavera; e finalmente che egli portava seco le chieste artiglierie e gli uomini capaci d'instruire in quell'arma il suo esercito ».
Le cose espresse nella detta commissione, ebbe il Barbaro autorizzazione di comunicare agli ambasciatori del papa e del re Ferdinando che lo accompagnavano, ma non quelle contenute nella commissione segreta che gli fu data l'11 febbraio 1473.
Questa portava le istruzioni particolari, nel caso che ad onta degli sforzi del veneto oratore, per animarlo alla guerra, il re persiano inclinato avesse alla pace:
« Essere intenzione della repubblica di non venire mai a pace col Turco, se non qualora quegli acconsenta di rinunciare in favore della Persia tutta l'Anatolia che è viscere della sua potenza, e le terre al di là dello stretto, con tutta la ripa opposta alla Grecia, ed il castello dei Dardanelli, ed inoltre si obblighi a mai più fabbricare alcun altro castello lungo quella spiaggia, onde possano i Veneziani aver libero il mar Nero e ristorarvi gli antichi traffici e commerci ».
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