Il Professore Romualdo. Enrico Castelnuovo
«La tua Elena.»
V.
Il dottore lesse questa lettera tutta d'un fiato. Quando l'ebbe finita, egli si trovò in una condizione d'animo nuova per lui. Avvezzo a disciplinare i suoi sentimenti sotto l'impero della ragione, egli s'accorse che oggi essi si ribellavano al solito freno. Egli aveva un bel dirsi, che i legami di parentela, per intimi che siano, valgono ben poco senza i legami dell'anima creati dalla convivenza, dagli affetti, dai gusti comuni, aveva un bel dirsi che questa donna, di cui egli appena rammentava la fisonomia e con la quale per undici lunghi anni non s'era scambiato una riga, era per esso meno assai dell'ultimo fra i suoi studenti. Aveva un bel dirsi che, dimenticando i suoi doveri, Elena aveva perduto i suoi diritti e ch'ella non poteva turbare la vita raccolta e studiosa di lui gettandogli sulle spalle un cumulo di pensieri e d'inquietudini... Nonostante tutte queste savie considerazioni, egli si sentiva commosso come non era stato da un pezzo, si sentiva men fermo nel convincimento in cui era cresciuto circa ai torti di sua sorella, e per la prima volta nella sua vita dubitava di quella virtù arcigna che consiste nel soffocar le passioni e che nulla perdona agli altri perchè nulla comprende. Certo l'idea della povera Elena era stata ben singolare. Senza nemmeno sapere quali fossero le abitudini di suo fratello, senz'avere alcun dato preciso sul suo carattere, ella affidava a lui, morendo, la sua figliuola. E spediva questa bambina oltre all'Oceano, esponendola ai rischi e ai disagi di un lungo viaggio di mare, non preoccupandosi di ciò che sarebbe avvenuto s'egli non avesse accettato l'ufficio onde a lei piaceva di incaricarlo... Eppure, nella dolorosa situazione in cui ella si trovava, che altro avrebbe potuto fare? A chi altri rivolgersi? Non era egli il suo più stretto congiunto?
Il professore Romualdo girava su e giù per la stanza, ora con le mani intrecciate dietro la schiena, ora gestendo, animatamente e cacciandosi su pel naso qualche presa abbondante di tabacco. Positivista come gran parte degli scienziati, egli non credeva ai viaggi fantastici d'oltre tomba; tuttavia le ultime parole della lettera gli ronzavano agli orecchi: Forse in quell'istante tua sorella ti sarà più vicina che non ti sia stata da undici anni a questa parte, forse passandoti accanto, spirito leggero e fuggitivo, ella deporrà un bacio sulla tua fronte.
— È permesso? — chiese dal di fuori una voce piena e sonora, ch'era impossibile prendere in isbaglio.
Il Grolli trasalì. — Chi è?
— Sono io, sono il capitano Rodomiti.
E la poderosa persona del marinaio si affacciò alla soglia. Egli aveva sempre la sua pipa in bocca e la sua testa era circonfusa da una nuvola di fumo.
— Se desidera ancora rimaner solo... se non ha letto tutte le carte che le ho lasciate — continuò il capitano, mostrandosi pronto a ritirarsi di nuovo.
— No, no — disse il Grolli, e, vincendo la sua innata timidezza, fece qualche passo verso il suo interlocutore; quindi soggiunse senz'alzare gli occhi: — Ho letto, e innanzi tutto mi lasci dirle che Lei è un cuor generoso.
— Basta — interruppe il colosso — non perdiamoci in complimenti. Noi uomini di mare, quando facciamo una cosa, crediamo di far ciò che c'impone il nostro dovere. La prego invece di accostarsi di nuovo al tavolino... Qui... s'accomodi.
Così dicendo, depose la pipa in un angolo della stanza e si tolse di tasca un piccolo astuccio.
La signora Teresa sospinse adagino l'uscio e cacciò la testa per lo spiraglio.
— Che c'è? — gridò il capitano.
— Niente... mi pareva di sentire odor di bruciato.
Il capitano Rodomiti non potè a meno di lasciarsi sfuggire una vivace esclamazione marinaresca che pose in fuga la signora Teresa; poi chiuse l'uscio per di dentro e tornò dal professore Romualdo.
— Questo — egli ripigliò, consegnandogli l'astuccio — è il medaglione che la signora Elena m'incaricò di portarle.
Vi fu un momento di silenzio. Il dottor Grolli aveva aperto l'astuccio e stava contemplando quel gingillo che aveva attraversato due volte l'Oceano e che gli ricordava sua madre.
— Ed ora — proseguì di lì a poco il capitano — non Le spiaccia esaminare questa nota. È scritta tutta di pugno della signora Natali, e contiene l'elenco delle monete da lei versate nelle mie mani il giorno della mia partenza. In tutto 2100 piastre d'argento, che io convertii qui in franchi 10,674 56, com'Ella vedrà su questo polizzino del cambiavalute. La somma è presso i signori Radice e Lupini, ove andremo a ritirarla più tardi. Lei è il tutore naturale e legittimo di sua nipote; dunque il danaro va pagato a Lei, ed Ella lo impiegherà nel modo che reputerà più sicuro e proficuo per la sua pupilla... Io non debbo e non voglio ingerirmene... Ma adesso, due parole schiette e leali fra noi... A giorni io parto per un lunghissimo viaggio... Vorrei lasciar Genova con la coscienza tranquilla circa all'avvenire della bambina... Anche noi lupi di mare siamo atti ad affezionarci a qualcheduno, e io ho preso a voler bene a questa figlioccia. Accampar diritti non posso: non ne ho; avevo degli obblighi e sto per esserne liberato... Ma con la franchezza del galantuomo che parla ad un altro galantuomo Le dico: l'ufficio che la signora Natali le assegna è grave, assai grave... Colto alla sprovveduta come fu, Ella non può averne ancora misurata tutta l'importanza... Se non si sentisse in grado d'incaricarsi della piccina, vedremmo insieme che cosa si potrà fare... Povera Gilda!... Ci pensi, ci pensi, signor professore.
Il capitano era visibilmente commosso; egli si chinò a raccogliere la sua pipa, l'accese e risollevò intorno a sè una nuvola di fumo.
— Capitano — esclamò il professore, che aveva ripreso i suoi giri per la stanza e che mal dissimulava la sua inquietudine, — prima di tutto, siamo ben sicuri che mia sorella sia morta?
— Non c'è dubbio, signore. Ella era già all'ultimo stadio della consunzione... Questione di giorni, di ore forse... Il corpo era sfatto, signor professore, ma l'anima era sempre d'acciaio... Ho visto pochi uomini andare incontro alla morte come ci andava lei... Ha sorriso persino nel separarsi dalla Gilda.
Il dottor Grolli abbassò il capo e stette muto alcuni secondi; poi disse: — Con la franchezza con cui mi ha interrogato, voglia pure rispondermi... Mia sorella manifestò mai il pensiero ch'io potessi sottrarmi al delicato incarico ch'ella mi affidava con la sua lettera?
— No — rispose il Rodomiti, dopo aver riflettuto un istante. — Una sola volta, io medesimo, lo confesso, le feci intravedere la possibilità d'un suo rifiuto. Ella, che giaceva supina sul suo letto, si alzò faticosamente a sedere, e mi guardò sbigottita, ma la sua fisonomia non tardò a riprendere la sua espressione naturale. Mi tese la mano scarna, con queste parole che non dimenticherò mai: — In ogni caso, capitano, io mi fido di voi... la mia Gilda non sarà gettata sulla strada. — Può fidarsene, signora Natali — io risposi. — Lo sapevo — ella bisbigliò con un sorriso. E tutta racconsolata lasciò ricadere il capo sul guanciale.
— Ebbene, capitano Rodomiti — proruppe il dottore, animandosi a un tratto — prima che su ogni altro, mia sorella aveva fatto assegnamento su me. Io non permetterò ch'ella vi abbia fatto assegnamento invano.
Il capitano si levò la pipa di bocca e la tenne fra le dita sospesa all'altezza della spalla, poi fissò i suoi occhi in quelli del professore, che esprimevano una volontà ferma e risoluta, e gli tese la sua mano bruna e incallita.
— Bravo, professore, Lei mi solleva da un gran pensiero... Mia sorella Teresa avrebbe tenuto volentieri la piccola Natali presso di sè, ma io non sarei stato appieno tranquillo. Teresa ha un cuor d'oro, ma è un po' corta, ha certe fissazioni strane e per troppa affezione si rende molesta... Bravo, professore... Io m'ero ingannato nel giudicarla... Sì, non glielo dissimulo, a prima vista io temevo che Lei avrebbe cercato ogni pretesto per isbarazzarsi di questa nipote che Le piomba addosso dall'America... Avevo sbagliato; tanto meglio... Oh per me, quando sbaglio, lo dico aperto... Venga di qua adesso, signor dottore.
E, aperto l'uscio, invitò il Grolli a passare avanti.
La