Il Professore Romualdo. Enrico Castelnuovo

Il Professore Romualdo - Enrico Castelnuovo


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oscurarsi maggiormente i volti delle persone rigide e gravi, e, se in omaggio a queste accennava, a voler inaugurare un regime di repressione, i viaggiatori di pasta molle sembravano voler mangiarlo cogli occhi.

      Persino un uomo serio, calvo, impettito, che per lungo tempo aveva conservato la più stretta neutralità, ad un certo punto, ritirando un lembo del suo soprabito su cui la fanciulla aveva creduto opportuno di mettere i piedi, sentenziò gravemente: — Quando non si sa tenere i bimbi, si lasciano a casa.

      Già! Come se il professore si trovasse a sì mal partito per sua propria elezione.

      Sull'imbrunire, la Gilda prese sonno, e vi fu un po' di tregua. Il riposo del corpo ridonò la serenità anche all'espressione del viso della fanciulla. Il demonio era cambiato in cherubino.

      — Ma se è un angiolo... Basta guardarla — disse con voce commossa una signora sentimentale, rivolgendosi al marito.

      — A rivederci quando si sveglia.

      — Che?... Coi bimbi è questione di tatto... Me ne intendo, io...

       — Quel signore deve intendersene pochino...

      — Quello non è un uomo, è un orso... È bella davvero la bimba, sai... Che capelli! Con quei ricciolini intorno alla fronte.... E quella manina che le penzola da un lato... Cara... Se ci fosse uno scultore... Oh! Ma tira del vento... Signore, dico... signore!

      Il Grolli stentò molto ad accorgersi che questo appello era indirizzato a lui.

      Quando ne fu sicuro, volse gli occhi da quella parte, ripose in tasca frettolosamente un fazzoletto turchino col quale si era asciugato la fronte, e stette immobile ad attendere i responsi della nuova interlocutrice.

      — Scusi, sa, non potrebbe chiuder la finestra? La bimba è tutta sudata... Si fa così presto a buscarsi un malanno!

      E il professore, arrossendo di non averci pensato lui, si affrettò a seguire il consiglio della persona prudente.

      Certo, se il professore fosse stato espansivo, se avesse spiegato la vera condizione delle cose, e come si trovasse lì in quel momento con quella bambina al fianco, egli avrebbe disarmato in parte i giudizi sfavorevoli sul conto suo. Ma il Grolli non era uomo da perdersi in chiacchiere, e aveva già fatto uno sforzo superiore ai suoi mezzi rispondendo con monosillabi alle domande che gli erano rivolte. Estenuato dalla fatica, egli non si curava punto di modificare l'opinione pubblica a suo riguardo; pensassero ciò che loro piaceva, in quanto a lui desiderava una cosa sola: che la sua tumultuosa nipote dormisse almeno ventiquattr'ore, tanto da permettergli di riprender fiato. In verità, pel momento, egli non sapeva se augurarsi o temere la fine del viaggio. Egli avrebbe ben volentieri portata di peso la Gilda sulle sue braccia dal vagone fino ad un fiacre, pur ch'ella non si fosse destata, ma era sperabile ch'ella avesse un sonno così profondo? E chi sa che strepito allo svegliarsi!... All'idea di attraversare la stazione in compagnia di una bimba strillante, gli venivano i brividi della febbre.

      Prima che finisse il viaggio, la Gilda si risentì più volte mostrando chiaramente che il riposo poteva ristorare le sue membra, ma non acquetava punto i suoi umori ribelli. Al momento di scendere, per buona ventura ella dormiva. Il professore, con un impeto disperato, la prese in collo, saltò già dalla carrozza, e tenendo i biglietti della ferrovia fra i denti, l'ombrello nella posizione d'un fucila a spall'arm, e la sacchetta infilata all'ombrello in modo che venisse a battergli sulla schiena, si avviò di corsa verso l'uscita della stazione.

      Pure il suo eroismo poco gli valse; chè la piccina aperse gli occhi mentre ch'egli era ancora sotto la tettoia, e si mise a strillare e ad agitare braccia e gambe come un'ossessa. E quasi lo facesse apposta, strillò e si dimenò più che mai davanti a due studenti dell'Università, i quali erano venuti lì ad aspettare qualcheduno, e senza questo strepito non si sarebbero forse nemmeno accorti del passaggio del dottor Romualdo.

      — Guarda — gridarono i giovinetti ad una voce. — Il professor Grolli!

      — Santo cielo! — soggiunse l'uno dei due. — Pare abbia rubato una bimba... Come corre!

      — E l'altra, come strilla!

      — Buona sera, signor professore — gridò il primo, ch'era anche il più birichino.

      Il signor professore si lasciò scappare un grugnito e tirò innanzi nella sua via. Appena fuori della stazione, entrò in una carrozza ch'era già occupata e dovette scenderne; poi salì in un'altra, ne chiuse lo sportello, ne abbassò le cortine, e ordinò al cocchiere di condurlo quanto più presto potesse alla sua abitazione.

      Il cocchiere frustò il cavallo; le grida della fanciulla si dileguarono in lontananza.

      Gli studenti si guardarono in faccia e proruppero in un riso sgangherato.

      — Il ratto di Proserpina — osservò uno d'essi. E declamò il famoso sonetto:

      Diè un alto strido, gittò i fiori, e volta, ecc., ecc., ecc.

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