L'Argentina vista come è. Luigi Barzini

L'Argentina vista come è - Luigi Barzini


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Governo italiano perchè intende d’occuparsi dell’emigrazione. « Tutte le nazioni d’Europa—dice—hanno dell’emigrazione, in scala maggiore o minore: ma l’Italia è l’unica nazione dove si parla continuamente di misure, di protezioni, di leggi, di colonie (che poi non sono tali) ». Se la prende col Governo « perchè insomma con tanto parlare di colonie e di protezioni non si fa che irritare suscettibilità attendibili e creare diffidenze e sospetti ».

      Sì, tutte le nazioni hanno degli emigranti: ma sopra 1,765,784 emigranti europei sbarcati nell’Argentina dal 1857 al ’98 1,093,112 erano italiani. Abbiamo diritto di occuparcene. E poi che cosa ha fatto il Governo italiano con la sua nuova legge per l’emigrazione e il relativo complicato, burocratico e fiscale regolamento? Ha reso più facile il viaggio, ha provveduto perchè gli emigranti abbiano a bordo tanta carne, tanto pane e tanti metri cubi d’aria respirabile durante il tragitto.

      Come se il complesso fenomeno dell’emigrazione consistesse in quei venti giorni di navigazione!...

       Indice

      [Dal Corriere della Sera del 24 dicembre 1901.]

      Buenos Aires, novembre.

      La più grande caratteristica di Buenos Aires è quella di non avere nessuna caratteristica. Buenos Aires è un po’ di tutto. Un Santos Dumont capitato qui, supponiamo, con la macchina per volare, si troverebbe estremamente imbarazzato a giudicare, dall’alto, in quale paese del mondo il vento, o il motore, lo avessero condotto.

      Sulla piana e sterminata distesa di case vedrebbe delle guglie tedesche ornate di trafori in ferro, come certi tetti della vecchia Norimberga, vicino a basse terrazze candide e disordinate ricordanti Cadice! Scorgerebbe le cinque cupolette tradizionali di una chiesa russa e più lontano due campanili spagnuoli: e cupole italiane gettanti la loro ombra sopra le mansardes di un casamento parigino: e palmizi come alla Favorita e platani come all’« Avenue des Champs-Elisées. » Volta a volta si crederebbe arrivato in tutti i paesi d’Europa, l’infelice aereonauta!

      Buenos Aires si può dire infatti una specie di campionario di capitali europee; nemmeno la più piccola sfumatura di colore locale. Vien quasi voglia di chiedere, come er re de Spagna portoghese dei sonetti di Pascarella:

       Ma st’America c’è? ne sete certo?

      Si esce da una brutta copia di « boulevard » parigino—chè tale è l’Avenida de Mayo, la principale via della città—e si trova nella « Plaza de la Victoria », un perfetto square londinese, ombroso e verde con la sua fontana che getta acqua nei giorni solenni, e il suo bravo monumento equestre, una specie di « cavallo di spade », rappresentante il generale Belgrano. Di fronte al generale biancheggia quel curioso obelisco celebre sotto il nome di « Piramide de Mayo », eretto per « perpetuar el glorioso pronunciamiento de independencia », funzione che esso, per quanto composto di stucco, compie coscienziosamente da novant’anni. È il capolavoro d’un povero mastro muratore italiano, un certo Podestà, divenuto architetto per bisogno. Si sa, l’italiano

       Er talentaccio suo se l’ariggira.

      L’opera dell’oscuro nostro compatriotta è ingabbiata da un’armatura costellata da lampadine elettriche che si accendono nelle sere di festa: una volta all’anno si dà al tutto una buona mano di vernice. Questo è il più antico e il più sacro monumento della Repubblica Argentina, intorno al quale si compiono le cerimonie patriottiche e le dimostrazioni; mèta dei corteggi e dei pellegrinaggi, tribuna dell’eloquenza commemorativa.

      La manìa d’ingombrare i monumenti con il permanente preparativo della luminaria è generale. L’illuminazione pare considerata qui come una cosa importante, indispensabile, che bisogna aver sempre pronta sotto mano per ogni circostanza. Oh! « sangre español! » Anche la cattedrale, per esempio, che sta nello stesso square incastonata fra un paio di Banche, ha i capitelli e le colonne del suo brutto portico corinzio percorsi da grossi tubi di gas neri che sembrano fasce di lutto.

      Eppure—chi lo direbbe?—questa chiesa, e i suoi tubi, formano l’orgoglio dei bonearensi. Un ex-ministro argentino, grande uomo, celebre per aver mangiato molti milioni sulle opere di salubrità durante l’indimenticabile presidenza di Juarez Celman, davanti al Pantheon a Roma, esclamò: « Muy bonito, si, però, nuestra catedral es mas bella y grandiosa! » Egli di tali sue impressioni geniali ha composto dapprima delle corrispondenze europee al più diffuso giornale di qui, la Prensa, e poi anche un libro, dove ha trovato modo di dichiarare che San Pietro e i Palazzi vaticani con le relative loggie e musei non valgono la Galleria delle Macchine dell’Esposizione di Parigi. Davanti alle Pinacoteche fiorentine ha avuto questa meditazione: Quanti milioni gettati via, mentre oggi la fotografia rende così bene la verità della vita!

      Sembrano scherzi, ma no, si tratta di cose scritte, e soprattutto lette, sul serio. L’ottimo ex-ministro rispecchia abbastanza fedelmente l’opinione dei suoi concittadini. Qui si pensa così della nostra arte, delle nostre grandezze, delle nostre glorie!

       * * *

      Lasciato lo square dall’obelisco patriottico per entrare in certe vie laterali, pare trovarsi nella City, parlo della City londinese, col suo asfalto, le sue Banche, le sue agenzie e la sua folla. Calle Reconquista somiglia a Lombard Street. Banco di Londra e Rio della Plata, Banco di Londra e Brasile, Banco britannico dell’America del Sud, poi Banco Anglo-Argentino, e lì presso il « River Plate Trust », la « Loan y Agency Comp. », e la « New Zealand and River Plate Lond Mortgage Comp. », e la Società Ipotecaria Inglese, una quantità d’istituti finanziarî inglesi fra i quali le altre Banche francesi, spagnuole, tedesche, argentine e italiane, stentano a formare la maggioranza numerica. Biondi commessi in soprabito e cilindro, con le cartelle dei valori sotto il braccio, vi vengono addosso, vi urtano e si allontanano gettandovi un frettoloso: « I beg your pardon! »—Si odono dei rapidi: « Good morning! »—« Good bye! »—« Come è l’apertura del London Exchange? »—« All right! »

      Qui le mani inglesi manipolano le finanze della Repubblica. Gl’inglesi sono i veri padroni dell’Argentina; essi hanno tutte le ferrovie, il porto, le opere colossali dell’acqua potabile, i trams, tutte le principali imprese; un investimento di un seicentocinquanta milioni di franchi, senza contare i prestiti allo Stato. La capitale finanziaria dell’Argentina è Londra. Dal London Exchange viene tutti i giorni la parola d’ordine. Nei nebbiosi dintorni della Mansion House può decretarsi la sorte di questo Stato, che esiste solo in grazia dei capitali inglesi e delle braccia italiane.

      Gl’inglesi a Buenos Aires formano proprio l’« imperium in impero », anzi direi meglio l’« imperium in... repubblica. » Essi formano una potenza a loro. Vivono completamente separati. Chiusi gli ufficî, alla sera, essi corrono alla stazione del « Retiro », e i « dinner trains », pronti per loro, li portano a Belgrano e a Flores, ameni quartieri pieni di giardini e di villette inglesi, che rammentano vivamente i gentili e melanconici sobborghi aristocratici di Londra. A traverso le cancellate dei parchi, profumati da superbe magnolie fiorite, i passanti possono seguire le partite di lawn-tennis, di cricket, di foot-ball che si svolgono sull’erba dei prati; e alla sera, dalle verande aperte, intravvedono il pranzo di famiglia, silenzioso e cerimonioso come in pieno West-End; un’eletta raccolta di gentlemen in abito da società e di ladies in décolletée. Oh! Quell’abito! Vi sono degli inglesi che vivono all’interno, in estancie lontane dal consorzio umano, soli, nella pampa, e che si mettono in frack per andare a tavola!

      Quando gl’inglesi hanno voglia d’un po’ di spettacolo, si fanno concedere il Teatro dell’Opera, vi mettono in scena una produzione inglese, e loro se la recitano, se la cantano, se la ballano e se l’applaudiscono, infischiandosene del mondo intero. Giusto adesso essi danno all’Opera un’operetta popolare inglese, il « San Toy », nella quale si possono ammirare delle rispettabili ladies


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