Mater dolorosa. Gerolamo Rovetta
delle parole di sua figlia, dubitò della colpa di suo marito. Quelle parole – for ever – non avrebbero potuto, alle volte, essere inspirate da una simpatia vaga?… E se proprio sotto c’era un affetto, non poteva essere un affetto meritevole di perdono, scusabile forse?… Ma in questo modo, per quanto Maria lo desiderasse, non riuscì lungamente a ingannarsi. Messa in sull’avviso, non ebbe che ad osservare, attentamente osservare, per accertarsi della verità.
Maria non era innamorata di Prospero; ma quella scoperta non doveva perciò riuscire meno dolorosa. Il suo affetto di madre, la sua dignità di donna e di moglie, avevano ricevuto un grave oltraggio. Non era innamorata di Prospero, ma gli voleva bene; lo stimava, e aveva bisogno di stimarlo, perchè era il padre della sua creatura, e perchè l’onore di quest’uomo era pure il suo onore. Non era innamorata di Prospero; ma Prospero era suo marito… Ricordava che ieri, ieri ancora, egli l’aveva avuta fra le sue braccia… e pensando adesso che non vi era stata desiderata dall’amore, ma dai sensi, vedeva l’occhio di lui fissarla curioso, disamorato: lo vedeva cercar confronti, invocare altre orme, e il suo pudore, il suo orgoglio ne soffrivano amaramente.
Che cosa fare?…
Il primo pensiero fu quello di fuggire da suo marito, perchè le faceva orrore.
Fuggire?… E Lalla? Lalla la sua figliuola? Lalla piccina ancora? Avrebbe potuto dividerla dal padre? Avrebbe potuto dividerla dalla mamma sua? Avrebbe potuto lei abbandonarla? No; Maria era madre; madre sempre e prima d’ogni altra cosa, e con questo affetto si sentiva rialzar pura, quasi redenta dall’oltraggio patito.
Ma… che fare?… Vederlo ancora?… Continuare a star con lui?
La sua mente si perdeva, l’animo suo ondeggiava in mille dubbi. Ella da sè sola non riusciva a connettere le idee, e non sapeva nemmeno a chi ricorrere per consiglio. Nessuno avrebbe potuto o voluto aiutarla; e poi di nessuno ella stessa si sarebbe fidata.
– Di nessuno?… No, Giorgio mi consiglierà: di lui posso fidarmi. – Con questo pensiero Maria ritrovò un po’ di calma; il suo volto turbato si ricompose ed ebbe un sorriso di speranza e di sollievo.
– Giorgio?… sì, Giorgio! Ecco spiegato adesso il suo contegno, la sua freddezza con Prospero, – andava pensando fra sè. – Egli certo sapeva ogni cosa; e il suo carattere franco() e onesto soffriva nel vedermi offesa così vilmente. Ed io… che invece dubitavo di Giorgio e della sua amicizia! Ah! Ma ora gli dirò tutto, mi confiderò con lui interamente, e farò… farò tutto quello che egli mi consiglierà di fare.
Dopo una tale risoluzione, Maria scrisse sul momento al conte Della Valle, senza riflettere al passo gravissimo che stava per fare, il seguente biglietto:
«Venite subito da me: ho scoperto tutto e ho tanto tanto bisogno di consigliarmi con voi. – Maria.»
Piegata, suggellata la lettera, fatto l’indirizzo, suonò: poco dopo entrò la cameriera.
– Chi c’è in anticamera? – le chiese Maria, ancora colla voce malferma.
– Giacomo e Lorenzo.
– Mandami Lorenzo.
La cameriera uscì e ritornò quasi subito introducendo un servitorello dai quattordici ai sedici anni.
Era costui un figliuolo della nutrice di Lalla, che aveva ottenuto di entrare al servizio della duchessa, e le era fedele come un cagnolino.
– Sapete, Lorenzo, dove sta di casa il conte Della Valle?
Il ragazzo strinse gli occhi e chinò la testa, pensando, poi, dopo un momento, rispose:
– Sì, signora duchessa. Ora me ne ricordo. Sta in via dei Fiesolani, in quel palazzone vecchio, di faccia alla chiesa di San Filippo.
– Va bene. Gli porterete questa lettera. Se non è in casa, aspettate che ritorni; ma non dovete consegnarla che nelle sue mani.
Rimasta sola nuovamente. Maria raccolse le carte, le buste, le penne sparse sullo scrittoio, e le richiuse in una piccola scatoletta intarsiata.
Ma, in questo punto, un pensiero che le giunse improvviso le fece prima corrugare la fronte; poi le sue guance, quasi sempre pallidissime, diventarono rosse, di bragia, e corse ella stessa in cerca di Giacomo, fin nell’anticamera.
– Lorenzo è già andato?… – domandò al servo affannata.
– Sì, signora duchessa.
– Correte presto! fermatelo! Ch’egli ritorni qui sul momento!
Non aveva terminato di parlare, che già il servitore, fatta a salti la scala, usciva di casa, e dopo pochi minuti, che a Maria, la quale stava ansiosa ad aspettare dietro i vetri della finestra, sembrarono eterni, ritornava indietro con Lorenzo, il quale teneva ancora tra le mani la lettera per il conte Della Valle. Maria, vedendola, respirò liberamente.
– Devo aspettare? – domandò Lorenzo, quando ebbe ebbe restituita la lettera alla duchessa.
– No, non occorre, andate pure.
Era assai forte il turbamento ch’ella provava allora, con quel bigliettino fra le mani; perchè era esso appunto la causa di tanta agitazione.
Sapeva di averlo scritto in un momento di febbre, senza pesarne le parole; e però Lorenzo non era ancor uscito dal palazzo, ch’ella già cominciando a riflettere, sentì subito il timore di aver commessa un’imprudenza. Quanto più ci pensava, tanto meno sapeva rendersi ragione di tutta quella fretta di scrivere al conte Della Valle di quel partito preso così sui due piedi. – Guai, guai, se Giacomo non fosse arrivato in tempo a fermar la lettera!… – A mano a mano la sua inquietudine diventava sgomento, e la imprudenza commessa diventava sempre più grande nella sua mente… – Guai, guai, se Giacomo non fosse arrivato in tempo!… – Pure, anche quando finalmente la lettera le fu restituita intatta, Maria non riebbe la calma.
Era angustiata dal timore e oppressa da una soggezione strana: guardava la lettera, che teneva sempre chiusa in mano, voleva aprirla e non sapeva risolversi, non osava. Finalmente, si fe’ coraggio, stracciò la busta:
– Venite subito da me: ho scoperto tutto e ho tanto tanto bisogno di consigliarmi con voi. – Ma s’egli non sapesse nulla, pensava, ho io il diritto di metterlo a parte di un segreto che è il segreto di mio marito? – Ho bisogno di consigliarmi con voi! – Consigliarmi con lui?… No. Io sola devo difendere il mio onore, e poi, non ho forse lo zio a cui rivolgermi, lo zio che mi fu padre e che ho dimenticato!… Il dolore dunque rende ingrati; perchè sono stata ingrata col mio unico parente, e mi sono rivolta per aiuto, per consiglio, a chi?… ad un estraneo!… Un estraneo?… Eppure… scrivendo a Giorgio, ho provato un grande conforto. Ho sentito nel mio cuore che potrei ancora perdonare, che potrei ancora essere felice… Felice?… per lui dunque?!… Ah! mio Dio! mio Dio! sarebbe possibile?!…
Maria, atterrita, interrogò il suo cuore, e il cuore, duramente, tanto era inesorabile quella risposta, tanto era angosciosa per la poveretta che ormai non poteva più dubitarne, il cuore duramente rispose che ella amava.
– Sono perduta! è più forte di me! sono perduta! – esclamò piangendo disperata; e allora sentì che nessuno al mondo, nemmeno le carezze di Lalla, avrebbero potuto farle dimenticare quel nuovo affetto che, scorto appena nella improvvisa vicenda dei suoi dolori, già cresciuto gigante, la padroneggiava.
– Ed io, io che non voleva perdonare…
In questo punto, ricordando la colpa di suo marito, le sembrò quasi che una mano vigorosa le stringesse il cuore, così da soffocarne ogni palpito. Quella colpa le sembrò odiosa, e la sua virtù, il suo orgoglio, la sua fierezza si ribellarono contro la sua propria passione.
Fu una lotta accanita, crudele; ma ne uscì vittoriosa. Piangendo sempre, perchè quel sacrificio era enorme, era uno di quei sacrifici che uccidono: non consolata ma sicura; colla fede, che tante volte è l’unica difesa della donna, pregò Dio, invocò sua madre per sè, per la propria creatura…
Mentre Maria pregava e piangeva, senza ch’ella se ne accorgesse, si aprì lentamente l’uscio della sua camera, e Lalla, che da due ore non riusciva a spiegarsi quel mistero d’ordini e di contro