I minatori dell' Alaska. Emilio Salgari
– disse Bennie, – il signor Harris deve averci fornito degli antisettici, se non m’inganno.
– Sì, del cotone fenicato – rispose il giovane cow-boy.
– Presto, dammelo. Hai anche una spugna?
– Deve esserci.
– Portamela dopo averla imbevuta d’acqua. Cercheremo di calmare l’infiammazione.
Il giovane cow-boy, in pochi istanti, portò tutto quello che gli era stato chiesto e parecchi pezzi di tela. Bennie passò delicatamente la spugna su quel povero cranio denudato, levando il sangue già coagulato che lo copriva e ripetendo più volte l’operazione. Alla quarta, lo scotennato mandò un lungo sospiro e provò un forte tremito, prodotto forse dallo spasimo.
– Bene – disse Bennie. – Il nostro uomo torna in sè.
Pulito il cranio, lo avviluppò con del cotone fenicato, poi lo fasciò. Non avendo a portata di mano rimedi migliori, non poteva fare di più. Coricò, sempre con grandi precauzioni, lo scotennato, procurando che la sua testa rimanesse un po’ alta, poi attese che rinvenisse. Non erano trascorsi due minuti, che il ferito emise un secondo sospiro, facendo contemporaneamente un gesto con le mani, come se avesse voluto allontanare qualcuno.
– Ritorna in sè, – disse Bennie, che lo osservava attentamente.
– Disgraziato!… Chissà quali atroci dolori soffrirà.
– Lo credo, ma guarirà. Back, te lo assicuro.
In quel momento, dalle labbra del ferito uscì un sordo brontolio.
Pareva tentasse di far agire la lingua per pronunciare qualche parola.
– Volete bere?… – gli chiese Bennie, curvandosi su di lui.
Il ferito, udendo quelle parole, dopo qualche sforzo aprì gli occhi due bellissimi occhi neri, vividi, e li fissò, con stupore, sul cow-boy. Lo guardò per alcuni istanti in silenzio, poi aprì le labbra mormorando con voce rotta:
– Da… bere!…
Bennie prese una fiaschetta che Back gli porgeva, contenente dell’acqua mista a whisky e gliela introdusse fra le labbra. Il ferito bevette avidamente parecchi sorsi, poi sorrise ai due cow-boys, facendo con una mano un gesto come per ringraziarli.
– Potete parlare?… – gli chiese Bennie.
Lo scotennano fece un cenno affermativo.
– Sono stati gli indiani ad assalirvi?…
– Sì – rispose il ferito.
– Eravate in molti?…
– Cinque.
– Sono stati uccisi gli altri? Il ferito fece con una mano un gesto negativo molto energico, poi pronunciò un nome:
– Armando.
– Chi?… – chiese Bennie. – Uno straniero forse?…
– Sì, – confermò il ferito.
– È stato ucciso?…
– No!… No!… – ripeté il ferito con suprema energia.
– Forse fatto prigioniero dagl’indiani?…
– Sì!… Sì!…
– Corna di bisonte… – esclamò Bennie, aggrottando la fronte. – È un uomo questo Armando?…
– Un ragazzo.
– E gli indiani ve l’hanno rapito?…
– Sì.
– Furfanti!… Era stato ferito?…
– No.
– E gli altri vostri compagni, sono stati tutti uccisi?
– Lo credo.
– Back, – disse il canadese. – bisogna che facciamo un’altra corsa sulle rive del lago. Forse ci sono altri feriti.
– Sono pronto a seguirti, Bennie.
Il canadese si curvò sul ferito, dicendogli:
– Noi andremo nel bosco a vedere che cosa è accaduto dei vostri compagni. Non temete nulla; gli indiani, almeno per ora, non verranno qui, siatene certo. D’altronde la nostra assenza sarà breve.
Il ferito fece un cenno d’assenso, poi mormorò con un tono di voce nel quale si sentiva vibrare una profonda angoscia:
– Armando!…
– Sì, vi comprendo, voi siete preoccupato per lui, ma non lo abbandoneremo, ve lo prometto. Nube Rossa mi conosce e forse mi teme.
– Grazie – rispose il ferito.
– Vieni, Back, – disse il canadese. – Vedremo come finirà questa triste avventura.
III – CODA SCREZIATA
I due cow-boys, lasciato il carro, salirono sui due mustani, spinsero il bestiame, che s’era già sparso per la prateria, verso l’accampamento, affinché qualche capo non venisse assalito dai lupi, poi ripartirono al galoppo in direzione del bosco, volendo accertarsi sulla sorte dei compagni dello scotennato. Bastarono quindici minuti a quei veloci cavalli per trasportare i loro cavalieri presso il carro, che giaceva ancora allo stesso posto, il che indicava come gli indiani non fossero più tornati. I due cow-boy; batterono le erbe per un largo tratto sperando di trovare qualche altro ferito, e non vedendone alcuno, si cacciarono sotto il bosco formato da macchie di querce nere, di amelanci del Canada, di pioppi e di ontani. S’arrestarono un momento sul margine, per timore di cadere in qualche imboscata, poi rassicurati dal profondo silenzio, si spinsero lentamente innanzi, con gli occhi vigili, e le dita sul grilletto dei fucili. Si erano appena inoltrati di trenta o quaranta passi, quando scopersero le tracce della lotta. Dapprima fu il cadavere di un indiano, il cui viso era stato già divorato dai lupi della prateria, poi alcune casse sventrate, quindi delle lance spezzate, poi un cavallo morto.
– Si sono battuti anche nel bosco, – disse Bennie, che guardava attentamente a destra e a manca. – Temo però che i lupi abbiano completato l’opera degli indiani.
– Cerchiamo, – disse Back. – Talvolta i lupi non osano gettarsi su un uomo ferito.
– È vero, però non sento alcuna chiamata.
– Se provassimo a chiamare noi?…
– Sarebbe forse un’imprudenza. Chi mi assicura che non vi sia qualche indiano nascosto?…
– Lo credi?…
– Lo sospetto. Ehm!…
– Che cos’hai?…
– Il cadavere di un uomo bianco.
– Dove?…
– Presso quel cespuglio di rose canine.
Back era prontamente balzato di sella e si era avvicinato rapidamente al cadavere scoperto dal canadese. Era un uomo ancora giovane, grosso, robusto. Giaceva addossato al cespuglio di rose, con le mani raggrinzate attorno al viso. Come il suo compagno salvato dai cow-boys, era stato scotennato, e per di più aveva ricevuto due colpi di lancia in pieno petto e una palla di fucile in viso.
– Morto?… – chiese Bennie.
– Freddo – rispose Back. – Di questo povero corpo gli indiani hanno fatto un vero macello.
– Rimonta in sella e andiamo a cercare gli altri.
– E lo lasceremo ai lupi?…
– Se avremo tempo, torneremo a sotterrarlo, tuttavia temo di non poterlo sottrarre ai lupi.
– E perché, Bennie?…
– Hai dimenticato il ragazzo?…
– Quello che gli indiani hanno fatto prigioniero?…
– Sì, Back.
– Vuoi