Il figlio del Corsaro Rosso. Emilio Salgari

Il figlio del Corsaro Rosso - Emilio Salgari


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colpo.

      Scese da cavallo e s’avvicinò alla marchesa che lo guardava sorridendo, e le mise sulle ginocchia il volatile dicendo:

      – Lo conserverete per mio ricordo, signora; cosí quando io sarò partito vi ricorderete qualche volta di me.

      – Volete dunque partire? – chiese la bella vedova.

      – È probabile che questa sera io non sia piú a San Domingo – rispose il conte.

      – Allora voi accetterete di far colazione con me.

      – Non rifiuto mai la compagnia d’una signora, specialmente quando è bella e amabile come voi.

      – Ah, conte!…

      Si era alzata. Fece con la mano un gesto d’addio ai cavalieri che stavano allineati dinanzi al palco scoperto, e salí lestamente il magnifico scalone di pietra, mentre la folla si disperdeva.

      Il conte di Ventimiglia, l’aveva seguita insieme al maggiordomo e dalle donne di casa.

      La marchesa gli fece attraversare parecchie sale riccamente decorate ed elegantemente ammobiliate, e infine entrò in un salotto da pranzo, non molto vasto, con le pareti coperte di cuoio rosso di Cordova e il soffitto dorato.

      Nel mezzo una tavola era imbandita con posate e piatti d’oro e magnifici trionfi d’argento contenenti le piú svariate frutta dei climi tropicali.

      Non vi erano che due poltrone l’una accanto all’altra.

      – Signor conte, – disse la marchesa – vi avverto che oggi non ho invitati: cosí potremo parlare liberamente come due buoni amici.

      – Vi ringrazio, marchesa, di questa delicata attenzione.

      – E poi devo chiedervi qualche informazione.

      – A me! – esclamò il corsaro con stupore.

      – A voi! – rispose la marchesa di Montelimar, sulla cui bella fronte era apparsa una leggera ruga.

      – E se vi dicessi che io desideravo vivamente rivedervi, prima di spiegare le vele, per chiedervi anch’io un’informazione, che cosa direste?

      Questa volta fu la marchesa che fece un gesto di sorpresa.

      – A me! – esclamò. – Mi conoscevate voi, conte, prima di gettare le vostre âncore in questo porto?

      – No: avevo solamente udito parlare dei Montelimar.

      – Di mio marito?

      – No, d’un vostro cognato che molti anni or sono doveva coprire la carica di governatore di Maracaibo.

      – Infatti mio marito aveva un fratello governatore.

      – L’avete mai veduto quel Montelimar?

      – Sí, due anni or sono feci la sua conoscenza a Portorico.

      L’entrata di quattro servi negri, i quali portavano le vivande su dei larghi piatti d’argento cesellato e alcuni canestri contenenti polverose bottiglie, fece interrompere la conversazione.

      – Facciamo colazione ora – disse la marchesa al conte. – Gli uomini di mare devono esser dotati d’un buon appetito e spero, signor de Miranda, che farete onore ai miei cuochi.

      – Quando suona la campana del mezzodí i nostri stomachi sono sempre pronti, marchesa. Se vedeste i miei marinai che terribile assalto danno alle tavole!

      – Mi piacerebbe assistervi.

      – Se rimanessi ancora qualche giorno nel porto sarei onoratissimo di ricevervi sulla mia nave. Disgraziatamente dubito di essere ancora qui domani.

      – Ma voi mi diceste che vi avevano mandato per proteggere la città da un assalto combinato fra filibustieri e bucanieri.

      – Questo pericolo non c’è piú, ormai – rispose il conte con aria un po’ imbarazzata. – Mi avevano detto che parecchie navi sospette si erano vedute nelle acque di Jonaires, veleggianti verso il sud: stamane invece sono stato avvertito che si erano allontanate in direzione della Tortue. Andrò appunto a sorvegliare quei paraggi, per accertarmi della cosa.

      – E per calare a fondo quelle navi?

      – Sí, se mi sarà possibile.

      – Sono formidabili quei filibustieri!

      – Montano all’abbordaggio come diavoli, marchesa, e quando sparano una fucilata uccidono sempre.

      Prese una bottiglia, che i servi avevano già stappata, ed empí due bicchieri dicendo:

      – Alla vostra bellezza, marchesa!

      – Alla vostra nave, capitano! – rispose la signora di Montelimar.

      Il conte vuotò il suo bicchiere tutto d’un fiato, fece segno ai servi negri di uscire, poi, guardando fisso la marchesa, riprese:

      – Ed ora, signora, se non vi spiace, riprendiamo la nostra conversazione. Voi mi avete detto d’aver conosciuto vostro cognato a Portorico?

      – È vero, conte.

      – Quando?

      – Due anni or sono.

      – Sapreste dirmi dove si trova ora?

      – A Pueblo-Viejo, mi hanno detto. So che nei dintorni di quella città ha vastissime piantagioni di canna da zucchero.

      – Ah! – fece il conte corrugando la fronte. – Vostro marito vi ha mai parlato dell’esecuzione avvenuta per ordine di vostro cognato, di due famosi corsari che si facevano chiamare l’uno Corsaro Rosso e l’altro il Corsaro Verde, e che erano due gentiluomini italiani?

      La marchesa guardò il conte con una certa ansietà, poi disse:

      – Sí, mi ha parlato spesso di quei due corsari, ma ve n’era anche un altro, che poi scomparve con la figlia del duca Wan Guld.

      – Quello si chiamava il Corsaro Nero – disse il conte – e non fu impiccato come i suoi fratelli. Non sapreste dirmi chi furono quelli che decretarono e che applicarono a quei due gentiluomini la pena di morte?

      – No, ma ve lo potrebbe dire mio cognato. Io allora ero bambina e non abitavo a Maracaibo. Ora vorrei sapere perché v’interessate di quell’avvenimento. Avete conosciuto forse quei terribili filibustieri che fecero tremare per tanti anni le nostre colonie del golfo del Messico?

      – È un segreto che non vi posso svelare, marchesa, – rispose il figlio del Corsaro Rosso, il quale era diventato cupo. – Mi avete detto che vostro cognato deve trovarsi a Pueblo-Viejo; questo può bastarmi per ora. Qui vostro cognato deve possedere dei beni, quindi deve avere un amministratore ed un segretario.

      – Volete parlare del cavaliere Barquisimeto?

      – Precisamente, marchesa.

      – Si trova infatti qui – rispose la marchesa. – Ma deve partire da un momento all’altro sul galeone la Santa Maria che si reca al Messico. Porterà, io credo, le somme ricavate dalle piantagioni di mio cognato.

      – Sulla Santa Maria, avete detto! – esclamò il conte, mentre un lampo vivissimo illuminava i suoi occhi.

      – Me lo disse egli stesso tre giorni fa.

      – Ora ne so piú di quanto desideravo, marchesa; e vi ringrazio delle preziose informazioni che mi avete date.

      – Preziose?

      – Piú di quanto crediate – rispose il conte.

      – Allora me ne darete altrettante voi, spero.

      – È vero: mi avete detto che volevate sapere qualche cosa da me. Parlate, signora; io farò il possibile per accontentarvi.

      La marchesa stette un momento silenziosa, guardando a sua volta intensamente il conte; poi, indicando col dito la spada che il corsaro portava al fianco, gli disse: – Ieri sera, durante la festa, non avevate quella spada. L’impugnatura è diversa. Perché l’avete cambiata?

      – Perché l’altra la perdei mentre mi imbarcavo


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