La favorita del Mahdi. Emilio Salgari

La favorita del Mahdi - Emilio Salgari


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Come lo sai tu?

       È una donna, io l’ho udito ancora questo tamburello, disse l’arabo con maggior animazione.

       Per Allàh! Andiamo a vedere, Abd-el-Kerim.

      L’arabo lo afferrò vigorosamente per le braccia e lo tenne fermo.

       Tu non sai di quale donna io intenda parlare, gli disse.

       Parla di quella che vuoi, io vado innanzi.

       Quella che suona è Fathma!....

      Il turco lasciò sfuggire una esclamazione di sorpresa.

       Hassarn, continuò Abd-el-Kerim, lasciami solo. Tu non puoi essere testimone a quello che io dirò all’almea.

       Tu sei pazzo. Io voglio vedere Fathma.

       Hassarn, tu non lo farai, disse recisamente l’arabo.

       Ma disgraziato, e non pensi che sei promesso a Elenka.

       Io spezzo il nodo e mi getto corpo e anima fra le braccia di Fathma. Ho il sangue che mi brucia le vene e il cuore che batte per l’almea. Lasciami solo.

      Il turco lo guardò con compassione.

       Tu ti perdi, Abd-el-Kerim, gli disse con dolce rimprovero. Fa come vuoi; io ti aspetterò ai piedi delle colline sabbiose.

      L’arabo chinò il capo sul petto; poi rialzandolo con gesto risoluto:

       Vo’ gettar la mia vita ai piedi di Fathma, disse e si allontanò a rapidi passi, dirigendosi verso il luogo ove risuonava il tamburello.

      Aveva la testa in fiamme e il cuore battevagli precipitosamente; parevagli di essere ubbriaco e camminava quasi senza volerlo, meccanicamente, attirato da quel suono come il serpente viene attirato dal flauto dell’incantatore.

      In breve tempo giunse in una vasta radura contornata da maestosi tamarindi sulle cui cime strillavano numerosi scimmiotti. Egli si fermò frenando a grande stento un grido di gioia.

      Là, sulle rive di un ampio stagno cosparso di grandi foglie di loto sacro, se ne stava ritta l’almea col tamburello in mano, i capelli neri sciolti sulle spalle e una bianca farda gettata pittorescamente su di un braccio. Vista così, sotto una pioggia di raggi solari che si riflettevano sui monili e sui braccialetti d’oro che le cingevano il collo e le nude braccia, la si sarebbe presa per una apparizione celeste, per una urì del paradiso di Mohammed il profeta.

      Abd-el-Kerim sentì mancarsi le forze. Esitò, volle fuggire, ma gli fu impossibile e si spinse macchinalmente innanzi, senza fare il menomo rumore. S’arrestò a pochi passi dall’almea che continuava a sbattere il tamburello con un ritmo cadenzato e malinconico. Egli tese le braccia avanti.

       Fathma!… Fathma! mormorò con voce tremante.

      L’almea si volse verso di lui.

      CAPITOLO V. Il Rapitore

      Nel vedersi dinanzi Abd-el-Kerim, immobile come una statua, coi lineamenti sconvolti e le mani tese con gesto supplichevole, Fathma non potè trattenere un movimento di sorpresa. Ella lo guardò fisso coi suoi grandi e neri occhioni, che magnetizzavano e che penetravano fino al fondo dei cuori, senza dir sillaba.

       Fathma, ripetè l’arabo, scuotendosi e dando alla sua voce un tono commosso.

      L’almea gli si avvicinò, guardandolo come con curiosità.

       Che fai tu qui? diss’ella di poi,

       Mi riconosci bella fanciulla?

       Non dimentico mai chi mi salvò con pericolo della propria vita. Non sei tu quell’arabo che mi raccolse nella pianura dopo aver ucciso il leone che mi assaliva?

       Quello stesso, Fathma.

      Fra loro due successe un breve silenzio, durante il quale si guardarono ancor più fissamente.

       Che vuoi da me? chiese alfin l’almea, rompendo quel silenzio che diventava imbarazzante.

       Sai dove ti trovi?

       Nelle foreste del Bahr-el-Abiad. E che vuol dir ciò?

       Sai che vi sono dei ribelli nascosti in questi dintorni?

      Fathma sorrise sdegnosamente e mostrandogli un pugnaletto che teneva infisso nella sua râhad (cintura) dorata:

       Non ho paura, gli disse con fierezza.

       Ti potrebbero rapire.

       E che male ci sarebbe? Rapirebbero una povera almea.

       Ma io piangerei la tua perdita, disse l’arabo con iscoppio appassionato.

       I grandi occhi di Fathma si dilatarono e le sue labbra s’apersero ad un sorriso indefinibile. Ella si avvicinò vieppiù all’arabo, tanto che l’ardente suo alito gli sfiorò il volto. Abd-el-Kerim tese le braccia innanzi come per afferrarla, ma si frenò e senza volerlo fece un passo indietro.

       Ah! diss’ella, quasi ironicamente, ti dorrebbe il non vedermi più?

       Sì, Fathma, te lo giuro!.... Proverei del dolore e più di quello che tu credi!…

       E perchè? chiese l’almea freddamente.

       L’arabo ammutolì e la sua fronte s’abbuiò. Non seppe cosa rispondere.

       Che t’importa se io avessi a scomparire? continuò Fathma. E poi, credi tu che io rimanga sempre in Hossanieh? Mi libro come l’aquila e mi poso or qua or là a seconda che mi spinge o il capriccio o la follìa.

       Ma tu non puoi lasciare così Hossanieh, dopo esserti fatta vedere.

       E chi me lo impedirebbe?…

       Fathma!… Fathma! esclamò Abd-el-Kerim. Tu sei bella, più bella di El....

      L’imprudente rattenne a tempo il nome di Elenka che stava per uscirgli dalle labbra. L’almea aggrottò la fronte e le sue mani si contrassero, chiudendosi: un lampo cupo balenò nei suoi occhi, un vero lampo d’ira.

       Di chi?… chiese ella vivamente. Di chi?…

       Di tutte le donne che io vidi in vita mia, si affrettò a soggiungere l’arabo. Sì, tu sei bella Fathma, e tanto bella che mi riesce impossibile cancellarti dal mio cuore, tanto bella che ne sono affascinato.

       Follie, amico mio, follie.

       Fathma, ti giuro su Allàh che tu mi hai toccato il cuore, continuò Abd-el-Kerim con crescente passione. Io ti ho veduta e mi sono sentito scuotere tutte le fibre dell’anima; ti ho sostenuta fra le mie braccia, e ho sentito il sangue accendersi nelle mie vene. Ovunque volga lo sguardo non vedo che i tuoi occhi più fulgidi delle stelle e il tuo volto più bello delle urì del paradiso del Profeta; ovunque tenda l’orecchio non odo che la tua voce incantevole, quella che udii laggiù, a Machmudiech, la prima volta che ebbi la fortuna d’incontrarti! Fathma, tu sei bella, tu sei sublime e io ti amo!… ti amo!… sono tuo schiavo!…

      Abd-el-Kerim era caduto in ginocchio e la guardava con due occhi che mandavano fiamme. Un urlo strozzato, furioso, partito fra gli alberi, lo fece saltar in piedi. Un freddo sudore gli bagnò la fronte.

       Chi è la? domandò egli con voce rotta. Fathma che aveva ascoltata la confessione dell’arabo senza battere ciglio, nell’udire quell’urlo erasi voltata come una iena, col pugnale in mano.

       Chi ci spia? chiese ella rivolgendosi all’arabo.

       L’ignoro, rispose Abd-el-Kerim, armando la carabina.

      Fra i cespugli si operò un movimento brusco, un corpo nerastro si slanciò dai rami di un gran tamarindo e cadde in mezzo alle erbe allontanandosi con rapidità fulminea.


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