La tigre della Malesia. Emilio Salgari
Varauni non dimenticherò di raccomandarlo particolarmente al sultano. Lo faremo scomparire e io sarò della partita con tutti i miei prahos. La palla di moschetto l’ho sempre nel petto.
– Ecco ciò che io voleva, amico mio. Quando saremo a Varauni parleremo di più: là concerteremo il nostro attacco contro l’isola maledetta della Tigre Malese.
Il lord trasse l’orologio e guardò le ore, mentre Sandokan lo fissava con occhi di fuoco.
– Sono le quattro – disse il lord. – Devo recarmi presso alcuni amici onde concertare qualche bella partita di caccia per la domane. Voi che mi avete detto di essere forte come una colonna di ferro, potete fare un giro nel parco, dove sarà probabile che abbiate a trovare Marianna.
Sandokan sentì un fremito percorrergli le ossa. Una vampa gli salì in volto e sentì il cuore battere in maniera da credere che volesse spezzarsi. Era quello che aveva sognato, potersi trovare con lei, da solo a solo, per confessarle forse la gigantesca passione che lo divorava.
– Arrivederci, mio bravo amico – disse il lord uscendo.
Il pirata non aspettò nemmeno che la porta si chiudesse del tutto. In un balzo fu dinanzi ai vetri della fenestra percorrendo con un solo sguardo da cima al fondo l’intero parco.
Là, in mezzo ai fiori, all’ombra dei grandi alberi, accarezzata dal profumato soffio tropicale, vide lady Marianna seduta o meglio abbandonata su di un tronco di albero sradicato, muta, pensierosa, colle dita sulle corde della mandola.
Gli parve una celeste visione: tutto il sangue gli affluì in volto e rimase lì, immobile, come trasognato, cogli occhi fissi sulla giovanetta rattenendo persino il respiro. D’un tratto dette vivamente indietro come se un abisso si fosse aperto dinanzi.
Il suo volto s’oscurò improvvisamente prendendo una espressione truce, feroce. Un gran scoppio di riso satanico uscì dalle labbra: sentì per un istante che ridiventava la Tigre della Malesia.
– E che! – esclamò egli con una voce che più nulla aveva d’umano. – Non sarei forse più io il pirata di Mompracem? Sono cangiato adunque io, per sentirmi attratto verso una fanciulla? Io!… Io!… Che non ho mai provato che gli stimoli del guerriero e della belva!… Io, che porto il nome di Tigre della Malesia!… Dimentico forse che la mia selvaggia Mompracem e che tutti i miei tigrotti m’aspettano per ricominciare le leggendarie imprese di Sandokan? Io, dimenticherei forse che questa fanciulla che mi affascina, è figlia di quella schiatta maledetta alla quale ho giurato odio e odio? Dimentico io che le forze umane di Varauni e di Labuan si preparano per ischiacciarmi?… Via questa visione, via questi fremiti che non sono degni della Tigre. Spegniamo questo vulcano che arde nel mio cuore e facciamo sorgere cento e cento barriere insuperabili fra me e quella visione che mi mette il fuoco nelle vene, fra me e quella sirena che mi seduce, che mi affascina! Su, su, Tigre! fa udire il tuo ruggito, divora la riconoscenza che io devo a lei che ha alleviato i miei dolori e a lui che mi ha curato. Su, va, fuggi da questi luoghi, ritorna a quel mare che senza volerlo ti spinse su queste coste, ritorna ad essere Sandokan, il sanguinario e temuto pirata della terribile Mompracem!…
Sandokan così parlando si era rizzato dinanzi ai vetri coi pugni chiusi, tutto fremente, tutto fuoco. Gli parve essere diventato un gigante, gli parve vergogna d’aver un sol istante amato, e gli parve di udire le urla dei suoi tigrotti che lo chiamavano alla pugna e di fiutare odor di polvere. Volle dare indietro, volle fuggire, ma non fu capace di muovere un passo. Egli rimase là, inchiodato dinanzi la fenestra come che una forza sovrumana ve lo tenesse cogli occhi che parevano schizzare dalle orbite, fissi sulla giovanetta: il pirata, la Tigre, tornò a diventare uomo e per di più amante!
– Marianna! Marianna!… – esclamò egli e alla invocazione di quel nome tutta la sua ira per quella figlia d’Inghilterra svanì. Si era allontanato passo passo dalla fenestra nell’istante che era ridiventato l’antico pirata di Mompracem; egli tornò ad avvicinarsi cozzando il capo contro i vetri.
Le sue mani si portarono involontariamente sul bottone: esitò un momento senza fiatare, senza staccare gli occhi dalla giovanetta che non sospettava nemmeno di essere spiata, poi con rapido gesto, ma senza far rumore, aprì la fenestra e si sporse all’infuori.
Un buffo d’aria tiepida e profumata penetrò nella stanza. Respirando quegli effluvi provenienti dai fiori di lei, sentì inebbriarsi, sentì ridestarsi più forte che mai quella passione un momento prima soffocata, si sentì suo malgrado vinto.
Le sue labbra lanciarono avidamente un bacio nell’immensità dello spazio e i suoi occhi cercarono scorgere il bel volto di Marianna semi-nascosto fra le ombre dei grandi alberi.
Il pirata l’ammirò in silenzio, fremente, anelante, trasognato. La febbre lo assaliva, si sentiva il fuoco scorrere per le vene e guizzare in tutte le parti del corpo e fiammeggiare nel cuore; gli pareva che nubi di fuoco scorressero dinanzi ai suoi occhi, in mezzo alle quali brillava la divina figura di Marianna.
Una pazza idea s’impadronì di lui. Misurò l’altezza che lo separava dal giardino, come la tigre misura lo slancio per avventarsi sulla preda, e quantunque superasse i dodici piedi, guadagnò il davanzale e saltò fra le aiuole.
– Bisogna che la veda ancora una volta, una sola – mormorò egli quasi fuori di sé. – Voglio godere ancora quella felicità che io provavo presso di lei… vederla ancora, poi me ne andrò. Fuggirò senza dirle una parola, come un ladro che ha paura di essere preso… me ne ritornerò al luogo donde sono partito, alla mia Mompracem… nella mia isola fra i miei pirati. Se rimanessi la febbre mi abbrucierebbe… non sarei più io la Tigre, non sarei più libero… Orsù, ancora una volta, poi seppellirò quel nome a me tanto caro e quei ricordi, e ritornerò Sandokan.
Il pirata, senza fare più rumore di un serpente si mise a strisciare verso lei che volgeva il capo. Si avanzava con gli occhi infuocati fissi su lei, aspirava colla voluttà di un orientale le emanazioni dei fiori che parevano l’alito di lei, si inebbriava in mezzo a quelle piante, in mezzo a quelle aiuole.
Era allora a dieci passi dalla giovanetta, nascosto dietro a un albero, quando la vide muoversi, agitarsi, alzare il volto verso il cielo, poi nascondersi il volto fra le mani.
Ella rimase per qualche tempo così, come assorta in dolorosi pensieri, poi le sue mani si portarono sulle corde della mandola, e la sua voce vibrante, dolce, carezzevole, improntata di una viva tristezza risuonò sotto le grandi volte di verzura destando gli echi delle foreste, aleggiando al disopra dei fiori che parevan piegare gli steli.
Il pirata, nell’udirla, credette essere in preda a un sogno. Tutti i suoi progetti di fuga sfumarono come per incanto, e rimase come inchiodato dietro l’albero, spiando i più lievi movimenti, porgendo attento ascolto a quella voce che scuoteva le sue fibre, che lo trasportava in un nuovo mondo.
– Resterò! – esclamò egli. – Resterò! Dovessi sacrificare il mio nome e la mia potenza!…
Poi, senza aspettar altro, delirante, si mise a fuggire attraverso i viali con passo rapido.
Giunse sotto la fenestra e con un balzo guadagnò il davanzale. Aveva paura di non sapersi più padroneggiare, aveva paura di fuggire abbandonando quei luoghi che cominciava ad amare.
Era appena entrato che lord James capitò. Era più sorridente del solito.
– Amico mio, sapete cacciare la tigre? – domandò egli al pirata.
– La tigre! – esclamò Sandokan come non comprendesse il significato di quella domanda.
– E che, non usate cacciare la tigre voi, nella Malacca?
– Sì… sì, è la mia passione – rispose il pirata.
– Benone, amico mio. Domani caccieremo la tigre!
CAPITOLO IX. La caccia alla tigre
Durante tutta la sera Sandokan non si era fatto vedere, né da lei, né dal lord, accusando di provare un po’ di sfinimento e una violenta emicrania, il che non gli avrebbe impedito alla domani di trovarsi fra i primi a cacciare la tigre. Non era che una scusa per trovarsi solo; non vi erano emicranie di sorta per lui che non le aveva mai provate, né sfinimenti; sentivasi