Le due tigri. Emilio Salgari
noi rimetterci alla vela, s’affrettano ad imitarci. E poi guardate quanti uomini hanno a bordo! Mi sembra che siano aumentati.
– Fra tutte e due hanno almeno il doppio dei nostri; se sperano però di darci delle noie, s’ingannano.
Se vorranno seguirci fino alle Sunderbunds, faremo giuocare le nostre artiglierie e vedremo a chi toccherà la peggio. Alla ribolla, Sambigliong e bada a non urtare qualche nave.
Le immense vele erano già state alzate con due mani di terzaruoli per diminuire di qualche po’ la loro superficie e le ancore di prora e di poppa apparivano allora a fior d’acqua. La Marianna, presa dalla corrente e spinta dalla brezza mattutina, cominciava a muoversi.
Una delle due grab si era messa già in marcia, scivolando fra le numerose navi che ingombravano il fiume e l’altra si preparava a seguirla.
Sandokan, dal cassero, le osservava attentamente, senza dare alcun segno d’inquietudine. Non era uomo da preoccuparsi anche se quelle due navi avevano equipaggi piú numerosi ed erano armate di cannoncini.
Si era misurato con altri avversari ben piú poderosi e formidabili per avere qualche timore.
Una mano che gli si posò sulla spalla, lo fece volgere.
Yanez e Tremal-Naik erano saliti sul ponte, seguiti da Kammamuri.
– Che tu abbia ragione? – gli chiese il portoghese. – O che si tratti d’un puro caso?
– Un caso molto sospetto, – rispose Sandokan. – Sono certo che ci seguono, per vedere se noi andiamo a gettare le ancore in qualche canale delle Sunderbunds.
– Che vogliano assalirci?…
– Nel fiume, non credo; in mare forse. Ciò però mi seccherebbe, quantunque abbia piena fiducia in Sambigliong.
– Dobbiamo sbarcare prima di giungere alla foce del fiume, – disse Tremal-Naik. – Khari dista dal mare molte leghe.
– Se potessi liberarmi di quei due spioni! – mormorò Sandokan. – Passeremo la notte a bordo e non sbarcheremo prima di domani mattina, cosí potremo meglio accertarci delle intenzioni di quei due velieri.
Sono risoluto a chiedere ai loro equipaggi delle spiegazioni, se questa sera si ancoreranno ancora presso di noi.
Fingiamo per ora di non occuparci di essi onde non metterli in sospetto e andiamo a prendere il thè. Ah! E la vedova?
– La lasceremo nel mio bungalow di Khari, – rispose Tremal-Naik. – Farà compagnia a Surama.
– La bajadera può esserci necessaria nelle Sunderbunds, – disse Yanez. – Preferisco condurla con noi.
Sandokan guardò il portoghese in certo modo, che questi arrossí come una fanciulla.
– Oh! Yanez, – disse ridendo. – Il tuo cuore avrebbe perdute le sue corazze?
– Invecchio, – rispose il portoghese, con aria imbarazzata.
– Eppure io credo che gli occhi di Surama ti faranno ritornare giovane.
– Bada, – disse Tremal-Naik. – Le donne indiane sono pericolose piú di quelle bianche. Sai con che cosa sono state create, secondo le nostre leggende?
– Io so che sono generalmente bellissime e che hanno degli occhi che bruciano il cuore, – rispose Yanez.
– Narrano le vecchie istorie che quando Twashtri creò il mondo, rimase molto perplesso nel creare la donna e dovette pensare a lungo, prima di scegliere gli elementi necessari per formarla. Ti avverto che parlo della donna indiana e non di quella bianca o gialla o malese.
– Udiamo, – disse Sandokan.
– Prese le rotondità della luna e la flessuosità del serpente, lo slancio della pianta rampicante e il tremolio della zolla erbosa, il fascino del rosaio, il colore vellutato della rosa e la leggerezza delle foglie; lo sguardo del capriuolo e la gaiezza folle del raggio di sole; il pianto delle nuvole, la timidezza della lepre e la vanità del pavone; la dolcezza del miele e la durezza del diamante; la crudeltà della tigre e la freddezza della neve; il cicaleccio della gazza e il tubare della tordella.
– Per Giove! – esclamò Yanez. – Che cosa ha preso ancora quel dio indiano?
– Mi pare che abbia fuso sufficienti materie ed elementi, – disse Sandokan. – Mio caro Yanez, le donne indiane hanno perfino un po’ della crudeltà delle tigri!…
– Noi siamo le tigri di Mompracem, – rispose il portoghese, ridendo. – Perché dovremmo o almeno dovrei io aver paura d’una fanciulla che ha… un po’ di pelle di tigre indiana?
Scoppiò in un’allegra risata, poi diventando improvvisamente serio, disse:
– Ci seguono sempre, Sandokan.
– Le grab? Le scorgo: ma vedremo se domani galleggeranno ancora.
– Che cosa vuoi fare?
– Lo saprai questa sera, – rispose Sandokan con accento minaccioso. – Lascia che ci seguano per ora.
Il praho era uscito dal caos di navi e di barcacce che ingombravano il fiume, e veleggiava con sufficiente rapidità verso il basso corso.
Le due grab lo seguivano sempre, a una distanza di tre o quattrocento passi l’una dall’altra, tenendosi verso la riva opposta.
Verso il tramonto, dopo esser passata dinanzi alla stazione dei piloti di Diamond-Harbour, la Marianna entrava in un ampio canale formato dalla riva e da un isolotto boscoso lungo qualche miglio.
Era il posto scelto da Tremal-Naik per sbarcare, trovandosi di fronte alla via che doveva condurli a Khari.
L’equipaggio aveva appena gettato le ancore, quando, verso l’estremità settentrionale del canale, si videro improvvisamente apparire le due grab.
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