Le due tigri. Emilio Salgari
stregone, il quale tentava di estrarre un pugnale che portava nella fascia.
Sandokan l’aveva già afferrato per le spalle e l’aveva costretto a cadere in ginocchio.
– Chi siete voi e che cosa volete da me? – gridò il manti, tentando, ma inutilmente di sottrarsi alla stretta poderosa della Tigre. – Voi non siete policeman, né cipayes per arrestarmi.
– Chi sono? Vecchio stregone, saresti per caso diventato cieco? – chiese Sandokan, lasciandolo rialzare. – Non mi conosci piú dunque?
– Io non ti ho mai veduto.
– Eppure tre sere or sono hai tentato di farmi strangolare dai tuoi amici, presso la pagoda di Kalí, subito dopo la festa del fuoco.
Non te ne ricordi?
– Tu menti! – gridò lo stregone con suprema energia.
– Dunque non sei tu quello che hai scannato il capretto e acceso il fuoco sacro a bordo del mio praho? – chiese Sandokan ironicamente.
– Io non ho mai scannato capre. Tu mi prendi per qualche altro personaggio.
– Vieni con noi manti…
– Manti hai detto? Io non lo sono mai stato.
– Troverai nella pagoda una persona che ti darà una solenne smentita.
– Infine che cosa volete da me? – gridò il vecchio, digrignando i denti.
– Vederti il petto, innanzi a tutto, – disse Tremal-Naik, rovesciandolo improvvisamente a terra e premendogli il ventre con un ginocchio.
– Fa’ portare una torcia, Sandokan.
Quella domanda era inutile. Yanez, dopo un simulato inseguimento per allontanare i sacrificatori tornava verso Sandokan assieme a Sambigliong, che si era munito d’una delle torce abbandonate dai mussalchi.
– È preso? – gridò il portoghese.
– E non ci sfuggirà neanche piú, – rispose Sandokan. – E la vedova?
– L’abbiamo salvata a tempo e pare che sia anche assai lieta di essere ancora viva. L’abbiamo portata nella pagoda.
– Accosta la torcia, Sambigliong, – disse Tremal-Naik lacerando d’un colpo solo la casacca di tela che copriva il petto del prigioniero.
Il manti aveva mandato un urlo di rabbia e aveva tentato di ricoprirsi, ma Sandokan fu lesto ad afferrargli le braccia, dicendogli:
– Lascia che vediamo dunque se sei un vero thug, innanzi a tutto.
– Lo vedi? – disse Tremal-Naik.
Sul petto dell’indiano vi era un tatuaggio di color azzurro, raffigurante un serpente colla testa di donna, circondato da alcuni segni misteriosi.
– È l’emblema degli strangolatori, – disse Tremal-Naik. – Tutti gli affigliati a quella setta di assassini l’hanno.
– Ebbene, – gridò il manti, – se sono un thug che v’importa? Io non ho ucciso nessuno.
– Alzati e seguici, – disse Sandokan.
Il vecchio non se lo fece ripetere due volte. Appariva assai abbattuto e preoccupato, pur lanciando sguardi feroci contro gli uomini che lo circondavano.
Fu condotto verso la pira su cui terminava d’incenerirsi il cadavere e dove si erano radunati i marinai del praho, dopo d’aver disposte qua e là delle sentinelle.
– Surama, – disse Yanez alla giovane bajadera che era uscita dalla pagoda. – Conosci quest’uomo?
– Sí, – rispose la fanciulla. – È il manti dei Thugs, il luogotenente del «figlio delle sacre acque del Gange».
– Vile danzatrice! – gridò il vecchio, dardeggiando sulla bajadera uno sguardo carico d’odio. – Tu tradisci la nostra setta.
– Io non sono mai stata un’adoratrice della dea della morte e delle stragi, – rispose Surama.
– Ora che non puoi negare di essere l’anima dannata di Suyodhana, – disse Tremal-Naik, – mi dirai dove si sono raccolti i Thugs che un tempo abitavano i sotterranei di Rajmangal.
Il manti guardò il bengalese per alcuni istanti, poi gli disse:
– Se tu credi che io ti dica dove hanno nascosta tua figlia, t’inganni. Puoi uccidermi, ma io non parlerò.
– È la tua ultima parola?.
– Sí.
– Sta bene: vedremo se saprai resistere a lungo.
Il manti udendo quelle parole era diventato pallidissimo, e la sua fronte si era coperta d’un freddo sudore.
– Che cosa vuoi fare di me? – chiese con voce strozzata.
– Ora lo saprai.
Si volse verso Sandokan e scambiò sotto-voce alcune parole.
– Lo credi? – chiese la Tigre della Malesia, facendo un gesto di dubbio.
– Vedrai che non resisterà molto.
– Proviamo.
Capitolo IX. LE CONFESSIONI DEL MANTI
A un gesto di Sandokan, il malese Sambigliong che doveva aver già ricevute precedentemente delle istruzioni, si era diretto verso un grosso tamarindo che si innalzava a trenta o quaranta passi dal rogo fra le rovine della cinta della vecchia pagoda.
Teneva in mano una lunga corda, un po’ piú grossa dei gherlini e che aveva già annodata a laccio.
La gettò destramente attraverso uno dei piú grossi rami e lasciò scorrere il nodo scorsoio fino a terra.
Intanto alcuni marinai avevano legate strettamente le braccia al manti e passate sotto le ascelle due corde sottili e resistentissime.
Il vecchio non aveva opposta alcuna resistenza, tuttavia si capiva, dall’espressione del suo viso, che un indicibile terrore l’aveva improvvisamente preso.
Grosse gocce di sudore gli colavano dalla rugosa fronte e un forte tremito scuoteva il suo magro corpo. Doveva aver già compreso quale atroce supplizio stava per provare.
Quando lo vide ben legato, Tremal-Naik gli si accostò, dicendogli:
– Vuoi dunque parlare, manti?
Il vecchio gli lanciò uno sguardo feroce, poi disse con voce strangolata.
– No… no…
– Ti dico che non resisterai e che finirai per dirmi quanto noi desideriamo sapere.
– Mi lascerò piuttosto morire.
– Allora ti faremo dondolare.
– Qualcuno vendicherà la mia morte.
– I vendicatori sono troppo lontani per occuparsi di te in questo momento.
– Un giorno Suyodhana lo saprà e proverai le delizie del laccio.
– Noi non temiamo i Thugs, e ce ne ridiamo di Kalí, dei suoi settari e anche dei loro lacci. Per l’ultima volta vuoi confessarci dove si trova ora Suyodhana o dove hanno nascosta mia figlia?
– Va’ a chiederlo al «padre delle sacre acque del Gange», – rispose il manti con voce ironica.
– Va bene: avanti voialtri.
I quattro malesi spinsero il vecchio verso l’albero.
Sambigliong gli passò il laccio attraverso il corpo stringendolo un po’ sotto le costole, in modo che la funicella gli comprimesse il ventre e quindi gl’intestini, poi gridò:
– Ohe! Issa!
I malesi afferrarono l’altra estremità della fune che era passata sopra il ramo e il manti fu sollevato per un paio di metri.
Il disgraziato aveva mandato un urlo d’angoscia. Il nodo sotto il peso del corpo,