Le due tigri. Emilio Salgari

Le due tigri - Emilio Salgari


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bajadera e accostando la torcia per meglio osservarla. – Noi non uccidiamo le donne. Dove sei ferita?

      – Qua… al petto… sahib… Una… palla…

      – Vediamo: ce ne intendiamo noi di ferite e all’occorrenza sappiamo anche curarle e forse meglio dei vostri medici.

      Una palla aveva colpito la giovane al fianco sinistro. Fortunatamente invece di penetrare in cavità, era solamente strisciata sopra una costola, producendo come uno strappo piú doloroso che pericoloso.

      – Fra otto giorni potrai essere guarita, fanciulla mia, – disse Sandokan. – Non si tratta che di arrestare il sangue che fugge in gran copia.

      Trasse di tasca un fazzoletto di finissima tela e lo legò strettamente al petto della danzatrice, poi le riallacciò il busto, dicendo:

      – Per ora basterà. Dove vuoi che ti riconduciamo? Non siamo amici dei Thugs e credo che essi non torneranno certo a raccoglierti.

      La giovane non rispose. Guardava ora Sandokan e ora Yanez, coi suoi begli occhi nerissimi e pieni di splendore, probabilmente stupita che quei due uomini che aveva cercato di perdere, invece di finirla la curassero.

      – Rispondi, – disse Sandokan. – Avrai una casa, una famiglia, qualcuno infine che si occuperà di te.

      – Portami con te, sahib, – disse finalmente la bajadera con voce tremula. – Non ricondurmi dai Thugs. Quegli uomini mi fanno paura.

      – Sandokan, – disse Yanez, che non aveva mai staccato nemmeno per un solo istante, gli occhi dalla danzatrice. – Questa fanciulla può esserci utile e darci delle informazioni preziose. Portiamola a bordo della Marianna.

      – Hai ragione: Sambigliong!.

      – Eccomi, capitano, – rispose il malese, accorrendo.

      – Prendi questa fanciulla e seguici. Bada che è ferita al petto.

      Il malese prese fra le robuste braccia la danzatrice, facendole posare sul proprio petto la testa.

      – Andiamo, – disse Sandokan, riprendendo la torcia. – In mano le pistole e aprite bene gli occhi.

      Attraversarono parecchie vie e viuzze, senza incontrare nessun essere vivente, e verso l’una del mattino giungevano sulla riva del fiume.

      La baleniera era a pochi passi, guardata dai malesi.

      Sandokan fece collocare a poppa la bajadera dalle cui labbra non era piú uscito alcun lamento, piantò la torcia sulla prora e diede il segnale della partenza.

      Yanez si era seduto sull’ultima panca, di fronte alla giovane e la osservava attentamente, ammirando, involontariamente forse, la bellezza di quel viso e la luce profonda di quegli occhi nerissimi, scintillanti come carboncini.

      – Per Giove! – mormorava fra sé. – Non ho mai veduto una fanciulla cosí bella. Come si trovava fra le mani di quei sanguinari settari?

      Sandokan quasi avesse indovinato il pensiero del suo amico, si era rivolto alla fanciulla che gli sedeva presso.

      – Sei anche tu una seguace di Kalí? – le chiese.

      La bajadera scosse il capo, sorridendo tristemente.

      – Come mai ti trovavi allora assieme con quei bricconi?

      – Mi hanno comperata dopo la distruzione della mia famiglia, – rispose la danzatrice.

      – Per fare di te una bajadera?

      – Le danzatrici sono necessarie nelle cerimonie religiose.

      – Dove abitavi?

      – Nella pagoda, sahib.

      – Ci stavi volentieri?

      – No, e come hai veduto ho preferito seguirti piuttosto che tornare nella pagoda dove si compiono dei misteri atroci per soddisfare l’insaziabile sete di sangue della dea.

      – A quale scopo avevano mandato te e le tue compagne contro di noi?

      – Per impedirvi di seguire il manti.

      – Ah! Tu conosci quello stregone? – chiese Sandokan.

      – Sí, sahib.

      – È un capo dei Thugs?

      La fanciulla lo guardò senza rispondere. Una profonda angoscia si era diffusa sul suo bel viso.

      – Parla, – comandò Sandokan.

      – I Thugs uccidono chi tradisce i loro segreti, sahib, – rispose la fanciulla con voce tremante.

      – Sei fra persone che sapranno difenderti contro tutti i Thugs dell’India. Parla: voglio sapere chi è quell’uomo che noi abbiamo invano inseguito e che pur ci è tanto necessario.

      – Siete nemici degli strangolatori, voi?

      – Siamo venuti in India per muovere loro guerra, – disse Sandokan, – e punirli dei loro misfatti.

      – Sono cattivi, è vero, – rispose la fanciulla. – Non sono che degli assassini.

      – Dimmi dunque chi è quel manti.

      – L’anima dannata del capo dei Thugs.

      – Di Suyodhana! – esclamarono ad una voce Yanez e Sandokan.

      – Voi lo conoscete?

      – No, speriamo di conoscerlo e molto presto, – disse Sandokan. – Yanez, quell’uomo ci è piú che mai necessario e non andremo nelle Sunderbunds senza averlo prima catturato.

      Parlerà il vecchio, te lo assicuro, dovessi strappargli le confessioni coi piú atroci tormenti.

      La bajadera guardava la Tigre della Malesia con spavento, misto a una profonda ammirazione e certo si chiedeva in cuor suo chi poteva essere quell’uomo cosí audace da sfidare la potenza dei formidabili settari di Kalí.

      – Sí, – disse Yanez. – Quell’uomo ci è necessario. Ma tu, fanciulla, non sai dirci dove hanno il loro covo i Thugs? Si dice che siano tornati nei sotterranei di Rajmangal. È vero?

      – Lo ignoro sahib bianco, – rispose la bajadera. – Ho udito a parlare del ritorno del «padre delle sacre acque del Gange», ma non so dove egli possa trovarsi, se nella jungla delle Sunderbunds o altrove.

      – Sei mai stata tu in quei sotterranei? – chiese Sandokan.

      – Vi ho compiuta là dentro la mia educazione di bajadera, – rispose la giovane, – poi mi hanno destinata alla pagoda di Kalí e di Darma-Ragia.

      – Non sai dove potremmo trovare il manti? Abita nella pagoda o in qualche altro luogo?

      – Nella pagoda non l’ho veduto che poche volte… Ah! Sí, voi potreste rivederlo e presto.

      – Dove? – chiesero Yanez e Sandokan a un tempo.

      – Fra tre giorni si compirà, sulle rive del Gange, un oni-gomon a cui devono prendere parte le bajadere e le nartachi della pagoda di Kalí ed il manti certo non vi mancherà.

      – Che cos’è questo oni-gomon? – chiese Sandokan.

      – Si brucerà la vedova di Rangi-Nin sul cadavere del marito, il quale era uno dei capi dei Thugs.

      – Viva?

      – Viva, sahib.

      – E la polizia anglo-indiana lo permetterà?

      – Nessuno andrà ad informarla.

      – Credevo che quegli orribili sacrifici non si compissero piú.

      – Il numero è ancora assai grande, non ostante la proibizione degli inglesi. Se ne bruciano ancora molte delle vedove, sulle rive del Gange.

      – Conosci il luogo ove verrà arso il cadavere e la donna?

      – Si trova all’estremità d’una jungla, presso una vecchia pagoda rovinata, e che era anticamente dedicata a Kalí.

      – E


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