Le due tigri. Emilio Salgari

Le due tigri - Emilio Salgari


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piú sottile e acuminato.

      – Sono legni sacri, – disse il manti, mostrandoli a Sandokan e a Yanez i quali seguivano con curiosità le mosse del vecchio.

      Piantò quella specie di punteruolo nel bastone piatto, poi servendosi d’una piccola correggia lo fece girare vertiginosamente.

      – Pare che accenda il fuoco, – disse Sandokan.

      – Il fuoco sacro per il sacrificio, – rispose Yanez, sorridendo. – Quante barocche superstizioni e credenze hanno questi indiani!

      Dopo mezzo minuto una fiamma scaturí dal buco e i due legni presero fuoco ardendo rapidamente.

      Il manti girò lentamente su se stesso curvandosi verso oriente, poi a occidente, quindi a mezzodí e finalmente a settentrione, dicendo con voce solenne:

      – Luci d’India, di Sourga e d’Agni, che illuminate la terra e il cielo, rischiarate il sangue dell’olocausto che io offro a Kalí-Ghât, e non quello degli uomini che qui vedono. – Incrociò i due pezzi di legno sacro lasciando che si carbonizzassero, poi li depose su una lastra di rame e versò su di essi un po’ di burro contenuto nel pentolino.

      Ravvivatasi la fiamma, il vecchio stregone prese il capretto, estrasse un coltello e con un rapido colpo lo decapitò, lasciando che il sangue colasse sui legni sacri.

      Quando il sangue cessò di uscire e il fuoco fu spento, raccolse le ceneri diventate rosse, si segnò la fronte e il mento, quindi avvicinatosi a Sandokan e a Yanez marcò la loro fronte, dicendo:

      – Ora potete partire e tornare al vostro lontano paese, senza temere le tempeste, perché lo spirito d’Agni e la forza di Kalí-Ghât sono con voi.

      – Hai finito? – chiese Sandokan, porgendogli alcune rupie.

      – Sí, sahib, – rispose il vecchio fissando sulla Tigre della Malesia i suoi occhi nerissimi, nei quali pareva splendesse un raggio soprannaturale. – Quando partirai?

      – È già la seconda volta che tu mi rivolgi questa domanda, – disse Sandokan. – Perché ti preme saperlo?

      – È una domanda che io faccio sempre a tutti gli equipaggi delle navi. Addio sahib e che Siva unisca la sua possente protezione a quella di Agni e di Kalí-Ghât.

      Prese il capretto e discese nel suo gonga, dove il policeman indigeno lo aspettava, seduto sulla panchina di prora, fumando una sigaretta di palma.

      Il piccolo battello si staccò dalla scala, ma invece di scendere il fiume dove vi erano altri moltissimi velieri, lo risalí passando sotto la poppa del praho.

      Sandokan e Yanez, che lo avevano seguito collo sguardo, videro con loro sorpresa il manti abbandonare per un istante i remi, volgersi vivamente a fissare gli occhi sul coronamento di poppa, dove in lettere d’oro spiccava il nome della nave, quindi riprenderli e allontanarsi velocemente, scomparendo in mezzo alla moltitudine di velieri che ingombravano il fiume.

      Sandokan e Yanez si erano guardati l’un l’altro, come se un medesimo pensiero fosse balenato nel loro cervello.

      – Che cosa ne pensi tu di quel vecchio? – chieso Sandokan.

      – Penso che quella barocca cerimonia è stata una scusa per salire a bordo e sapere chi noi siamo, – rispose il portoghese che appariva turbato.

      – Il tuo sospetto è identico al mio.

      – Sandokan, che siamo stati giuocati?

      – Non è possibile supporre che i Thugs sappiano già che noi siamo amici di Tremal-Naik e che siamo venuti qui per aiutarlo a ritrovare la piccola Darma. Che siano demoni quegli uomini, o stregoni?.

      – Non so che cosa dire, – rispose Yanez, che era diventato pensieroso. – Aspettiamo Kammamuri.

      – Mi sembri inquieto, Yanez.

      – E ne ho il motivo. Se i Thugs sanno ormai quali sono le nostre intenzioni e lo scopo del nostro viaggio, temo che avremo da fare con degli avversari formidabili.

      – Forse ci siamo ingannati, Yanez, – disso Sandokan. – Quel manti può essere invece un povero diavolo che cerca di guadagnarsi qualche rupia coi suoi sacrifici piú o meno sciocchi.

      – Pure, quella domanda ripetuta e quello sguardo dato al nome della nostra nave, mi hanno profondamente impressionato.

      – Che abbia corbellato anche quel policeman?

      – Trovo anzi strana la presenza di quel poliziotto nel gonga del ciarlatano.

      Sandokan rimase alcuni istanti silenzioso, passeggiando sul cassero, poi avvicinandosi rapidamente al portoghese e prendendolo per un braccio, gli disse:

      – Yanez, ho un altro sospetto.

      – E quale?

      – Che fosse un thug truccato da poliziotto, per meglio ingannarci.

      Il portoghese guardò Sandokan con sgomento.

      – Lo credi? – chiese.

      – E scommetterei il mio narghilé contro una delle tue sigarette che sei anche tu convinto che quell’uomo non era un vero policeman, – disse Sandokan.

      – Sí, fratellino mio: noi dobbiamo essere stati mistificati da gente piú furba di noi. Mio caro Sandokan, la Tigre dell’India dà prova di essere, almeno finora, piú astuta di quella malese.

      – Sí, piú civilizzata questa indiana, mentre quella malese è ancora selvaggia, – disse Sandokan, sforzandosi a sorridere. – Bah! Prenderemo presto la nostra rivincita. D’altrondo quel briccone di manti, ammesso che fosse veramente una spia di Suyodhana, nulla ha appreso dalle nostre labbra e ignora ancora chi noi siamo, per quale motivo noi ci troviamo qui e…

      Si era bruscamente interrotto, accostandosi alle murate di tribordo. Pareva che seguisse qualche imbarcazione che scivolava fra le navi ancorate in mezzo al fiume.

      – Mi sembra d’aver veduto la scialuppa colla testa d’elefante che ieri ci venne incontro con Kammamuri, – disse. – È scomparsa dietro quel gruppo di pinasse e di grab, ma non tarderà a mostrarsi.

      – Dovrebbe essere già qui, – disse Yanez estraendo un magnifico cronometro d’oro.

      Salirono sul capo di banda tenendosi aggrappati alle griselle dell’albero maestro e scorsero infatti un fylt’ sciarra, somigliante a quello che la sera innanzi aveva condotto il maharatto a bordo, manovrare abilmente e anche velocemente fra le navi.

      Era montato da quattro remiganti e guidato da un uomo che pareva un mussulmano dell’India settentrionale, dal costume che indossava.

      – Che Kammamuri si sia camuffato? – chiese Sandokan. – Quella scialuppa si dirige verso di noi.

      Infatti il fylt’ sciarra uscito da quel caos di navigli, correva verso la Marianna, rimontando velocemento la corrente che in quel luogo si faceva sentire pochissimo, ostacolata da tutti quei galleggianti che ne rompevano la violenza.

      In pochi minuti giunse sotto il tribordo del praho, arrestandosi presso la scala.

      Il mussulmano che lo guidava dopo d’aver scambiate alcune parole coi remiganti, salí rapidamente a bordo, inchinandosi dinanzi a Yanez e a Sandokan che erano accorsi e che lo guardavano con sorpresa.

      – Non mi riconoscete piú, dunque? – chiese il nuovo arrivato, scoppiando in una risata. – Sono ben contento, perché allora potrò ingannare anche quei cani di Thugs.

      – Ti faccio le mie felicitazioni, mio caro Kammamuri, – disse Yanez. – Se non facevi udire la tua voce stavo per dare l’ordine di rimandarti nella tua scialuppa.

      – Una truccatura magnifica, – disse Sandokan. – Sei irriconoscibile, mio bravo maharatto.

      Il fedele servo di Tremal-Naik era diventato veramente irriconoscibile e chiunque lo avrebbe scambiato per un maomettano di Agra o di Delhi.

      Aveva lasciato il dootée e il dubgah pel kurty, costume che a prima vista rassomiglia a quello dei turchi e dei tartari, sebbene


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