Il diavolo nell'ampolla. Albertazzi Adolfo

Il diavolo nell'ampolla - Albertazzi Adolfo


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da ragazzo. Occhio sicuro, astuzia, parola di galantuomo; la frusta in mano, e il portafogli pieno di biglietti da cento.

      Così, sognando per arrivare a casa di buon animo, arrivò finalmente a casa.

      Il cane pareva impazzito; balzava contro e guaiva; correva a furia intorno e abbaiava; chiamava.

      Il fratello, che aveva già rifatto il letto alle bestie, uscì dalla stalla col lanternino acceso. Non si commosse.

      – Cos'hai di licenza?

      – Otto giorni.

      – Va bene. Mi aiuterai a potare.

      La madre, abbandonata la polenta al fuoco, spalancò le braccia.

      – Quanto aspettare, figliol mio!

      – Ehi, mamma!, non voglio pianti – ammonì il soldato entrando. – Pugni al cielo non se ne danno: dunque… E Giorgio?

      – L'ho messo a letto; stanco; addormentato. Non sta mai fermo in tutto il giorno!

      Il soldato si levò il rotolo del mantello, che aveva a tracolla, e lo depose sul cassone; appiccò la bisaccia a un chiodo; tolse di mano al fratello il lanternino, e dicendo: – Vuotate la polenta, che son morto di fame – salì, per la scala di legno, al piano di sopra. Ridiscese tosto.

      – Dorme. È bello. Son contento.

      Gli lucevano gli occhi, ma il fratello e la madre finsero di non accorgersene.

      Sedettero; i due uomini, alla tavola, la vecchia, sul focolare; e ingoiarono le fette fumanti.

      – Hai saputo di Michele Costa? – chiese il fratello.

      – Sì, me l'ha detto Carlino in treno.

      Allora la madre pigliò coraggio.

      – T'avrà detto anche, Carlino, che abbiam fatto quel che abbiam potuto?

      – Sì. Non ne discorriamo più.

      – E la guerra? – il fratello dimandò, dopo un poco.

      Saverio scosse le spalle. C'era ben altro da pensare, da dire! Parlò con voce ferma.

      – La mamma è vecchia; e d'una donna giovine in famiglia ne abbiam bisogno. Prendi moglie tu.

      – No – rispose il fratello, risoluto. – Tribolare piuttosto.

      – Ne prenderò un'altra io. Ma badate: una come quella non la trovo più in tutto il mondo.

      – È vero – confermò la madre. Soggiunse: – Sinchè io camperò, una matrigna non lo tratterà male, il bambino.

      – E dopo – esclamò torvo Saverio – non mi mancherebbe un randello da romperle su la schiena se non rispettasse il mio sangue!

      La vecchia si alzò in fretta; andò a deporre il piatto nel secchiaio; si asciugò gli occhi col dorso della mano, e Saverio finse di non accorgersene.

      – Adesso – il fratello disse riempiendo la pipa – ti mostro i conti. Li ha fatti Carlino iersera. Due volte è venuto per consolarci.

      E tornò con le carte. Saverio accostò a sè il lume a petrolio e cominciò a rintracciare e sommare rendite e spese. In fine, le spese del mortorio: tanto, nelle torce; tanto, nelle messe; tanto, nel resto.

      – Anche i preti non scherzano! – commentò.

      Ma le rendite del grano e dell'uva erano grandi.

      – Ti scaldo il letto? – propose la madre.

      – No, vado a dormir nella stalla.

      E riacceso il lanternino, i fratelli uscirono.

      Nella stalla Saverio guardò ai buoi giacenti. Fe' rialzare i manzoli nuovi; li palpò; li accarezzò.

      – Belli! Da guadagno.

      Poscia l'uno si gettò su la branda; l'altro – il soldato – nel mucchio di paglia: vi si immerse; se ne ricoperse con un piacere di ragazzo.

      E il russare degli uomini non tardò a confondersi col respirar fondo dei buoi.

      Allorchè, la mattina dopo, Saverio entrò in casa, nel camino fiammeggiava un bel fuoco.

      – Mamma, preparatemi i vestiti, da mutarmi.

      – E alzerò Giorgio – disse la vecchia sorridendo. – Sgambetta per tempo.

      Il soldato rimase solo. La cucina gli sembrava più ampia e più nera nel contrasto delle due luci: la fiamma rossa e riverberante, e l'albore, che entrava per la finestra appannata.

      E d'improvviso, in quello schiarire incerto, ebbe dinanzi a sè l'immagine della morta: così evidente da chiamarla. Volse il capo; e ugualmente improvviso gli tornò un ricordo. Il dì che si sposarono, in municipio, uno di coloro che scrivevano esclamò, serio: – Bella coppia di sposi!

      Un brivido gli corse per la vita; sentì una colpa nel ripensare a lei bella senza pensare a lei buona. E cominciò a parlare, a mezza voce, quasi ci fosse qualcuno ad ascoltar la lezione della sua esperienza.

      – Alla passione non si comanda. È nel cuore? E anche se non ci date mente, anche se discorrete d'altro, anche se scherzate e ridete, anche se non ve ne accorgete, a poco a poco, la passione, dentro, cresce cresce…

      Si rivide nel tragitto a piedi sino al deposito, nel tragitto in camion sino a Verona, nel viaggio da Verona a Bologna, e da Bologna a San Niccolò, in piacevole compagnia.

      Chi avrebbe mai detto che il cuore, intanto, gli si riempiva in questa maniera? E lungo la strada da San Niccolò a casa non s'era divagato facendo castelli in aria? E nell'incontro col fratello e con la madre, e durante la cena non aveva provato come l'alleggerimento d'un peso? Non aveva dormito tutta la notte, di gusto, senza sogni? Ma intanto, a poco a poco, la passione cresceva, seguitava a riempirgli il cuore. E quando è pieno, basta un niente perchè trabocchi.

      No! Si contenne. Il bambino, di sopra, chiamava: – Babbo! babbo! – ; scendeva.

      Gli mosse incontro; lo prese per mano gridando: – Vieni a vedere, Giorgio, cosa ti ho portato!

      E con lui andò a staccar dal chiodo la bisaccia; si sedè, con lui accanto, alla tavola, presso alla finestra; introdusse la mano nel tascapane, adagio, per aumentar l'aspettazione gioiosa.

      Ma – addio pastorino di terracotta! – : la mano ne toccò due, tre pezzi.

      Forse aveva sbattuta la bisaccia salendo in treno, o scendendo? Non importava saper il come e il perchè; era rotta, ecco!

      Ne ritrasse i pezzi, li osservò, e allora – basta un niente quando il cuore è troppo pieno – allora stringendo di più a sè il figliuolo col braccio destro, distese il braccio sinistro su la tavola, vi appoggiò la fronte e ruppe in singhiozzi.

      Il bambino taceva. Stupito, considerava la figurina infranta e il padre piangente. Ma si divincolò.

      – Aspetta, babbo! Lasciami andare! Lasciami andare!

      Sfuggì, salì a gran passi la scala. Tornò che lo sfogo non era cessato.

      – Guarda, babbo! Guarda! Questa è più bella della tua! Me la portò la mamma da Bologna, prima di morire. Non piangere! te la dò a te. Prendila.

      Il padre sollevò il capo; sorrise tra le grosse lagrime; scorse negli occhi del figliuolo, mentre gli offriva la figurina, gli occhi della sua donna; e prese a tempestarlo di baci.

      E il bambino si mise a piangere anche lui.

      IL CAMICIOTTO ROSSO

      Un discorde mugliare: richiami angusti di vitelli, come impediti da un soffocamento; aperte, disperate invocazioni di madri; risposte lunghe, come estratte dal torace profondo, di buoi. E uno strepito di campanacci e un romore di voci umane.

      Sotto l'ombria dei tigli e delle acacie arboree l'agitazione delle bestie e degli uomini da lontano appariva confusa di bianco e di scuro; lenta, folta. Ma a penetrarvi si scorgeva un comporsi e uno scomporsi di gruppi nelle vicende


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