La montanara. Barrili Anton Giulio
testo originale.
Questa fu la gran maraviglia di Gino, e gli strappò un grido dal labbro.
– Poca cosa! – disse il signor Aminta, accostandosi. – Non siamo abbastanza provveduti, in materia di libri.
– Come? – gridò il forastiero. – Ci hanno… – E qui voleva dire: – Ci hanno assai più di noi, ad onta dei quattromila volumi che ingombrano la nostra biblioteca. —
Infatti, la libreria dei conti Malatesti era stata messa insieme da un prozio vescovo; archeologia sacra e teologia, in gran parte, e non era stata più accresciuta nè completata. Là, invece, nella libreria dei Guerri, c'era in quattro cinquecento volumi il fiore di quattro letterature.
Perciò il conte Gino terminò la sua frase, dicendo:
– Ci hanno tutta roba moderna, e mostrano di aver familiari le lingue estere.
– Ah sì! – disse il signor Aminta. – Ma non creda che le abbia familiari io, queste lingue. Faccio molto a sapere il mio italiano, e un po' di francese, che non ho mai occasione di parlare. —
Gino voleva chiedere chi fosse, in famiglia, che sapeva, oltre il francese, il tedesco e l'inglese. Ma, da persona bene educata, si astenne dal domandare quello che il suo interlocutore non aveva creduto opportuno di dirgli.
Frattanto, nel voltarsi a guardare intorno, ebbe un altro argomento di maraviglia; un pianoforte, niente di meno, un pianoforte a coda, ed anche della fabbrica di Erard, se non vi dispiace di saperlo. Al conte Gino, che si era avvicinato per dare un'occhiata alla scritta, non dispiacque davvero.
Come avrete veduto da questo scampoletto di descrizione, la sala era da pranzo e serviva di salotto e di biblioteca ad un tempo. La sua ampiezza giustificava benissimo quella moltiplicità di destinazioni.
Gino, dopo aver guardata la scritta, si era arrisicato a sollevare il coperchio, e stava arpeggiando con le dita sulla tastiera, quando un uscio si aperse ed entrò nella sala il signor Francesco, il padre di Aminta, il vero re della montagna, bel vecchio dalla barba bianca, dall'aspetto grave e buono, per consuetudine malinconico, ma che sapeva sorridere d'un sorriso dolce e tranquillo come il suo occhio azzurro e come la sua voce di tenore baritonato. Eravamo davanti al pianoforte, e questo accenno al registro vocale non vi parrà fuori di luogo.
Anche il signor Francesco Guerri fu molto cortese con l'ospite, anch'egli sfuggì l'occasione di sapere chi fosse. Evidentemente, quello era un uso di lassù: forma di galateo montanaro che non è senza grazia, sebbene non vada esente da qualche piccolo guaio. Sapere chi si accoglie, lo riconosco ancor io, non salva sempre il padrone di casa dal pericolo di farsi portar via le posate; ma è chiaro che dove c'è l'uso di accoglier tutti con eguale cordialità, senza domandare il suo nome a nessuno, il pericolo che la gente abusi della vostra ospitalità non sarà punto scemato. Nè un padrone di casa può essere così certo del suo occhio, da riconoscere a prima vista la gente di cui debba fidarsi, poichè le apparenze ingannano. I carabinieri, a buon conto, in certi luoghi ed occasioni, usano la precauzione lodevolissima di domandarvi le carte.
Il signor Francesco, dopo i complimenti consueti, introdusse l'ospite nella camera a lui assegnata. Era piccola, o, per dir meglio, appariva piccola a chi veniva allora da quella gran sala, ma c'era tutto il necessario per viverci bene. Il letto era a baldacchino, con le sue brave cortine di damasco, e il conte Gino osservò che aveva sul copertoio un grosso e soffice cuscino di piume.
– Le notti son fredde, tra questi monti; – disse il signor Francesco. – Ma speriamo che Ella non ci si ritroverà troppo male. —
Gino si era maravigliato nella sala, e si maravigliò ancora nella camera da letto, vedendo quel lusso, antico ma sodo, ed anche certi graziosi nonnulla, come lavori di lana e ricami all'uncinetto, che facevano pensare al Journal des Demoiselles ed ai suoi esemplari d'opere femminili, tanto preziose nell'arredamento di una casa.
– Ah, ah! – diss'egli tra sè. – Qui c'è la mano di una donna. —
E quella camera, da prima, e tutta la casa di poi, e i luoghi circostanti s'illuminavano, agli occhi della sua mente, d'una poetica luce.
Questo fenomeno occorse la prima volta nel settimo giorno della creazione. Almeno, così dicono i poeti, che sono stati da per tutto, anche a latere del Padre Eterno, nel periodo delle grandi novità. Gli alberi frondeggiarono ad occhi veggenti, gli uccelli fecero il verso d'amore nel bosco, i fiorellini sbocciarono dal prato; Adamo, poi, si svegliò in soprassalto, e disse… Che cosa disse Adamo? Sicuramente egli deve avere incominciato da una esclamazione, da una invocazione all'Altissimo; verbigrazia da un: «Dio… misericordioso!» invocazione che fu il principio e l'esempio di tutte le altre, venute poi, nell'ordine progressivo dei tempi.
Ah, donne gentili, siete voi il tormento e la consolazione. Con voi si può vedere la luna in pien meriggio, ma senza di voi c'è buio a tutte le ore del giorno. La vostra presenza, a buon conto, reca la grazia nella conversazione degli uomini, o quanto meno l'obbligo di evitare certe locuzioni improprie con cui l'uomo dimostra ed afferma la sua indipendenza nel consorzio incivile. Dove voi siete, egli si studia di parer più garbato, e qualche volta ci riesce; ad ogni modo, bisogna tenergli conto dell'intenzione, vedendolo star sulla vita, ravviarsi i capegli, arricciarsi i baffi, tirar fuori dalle maniche e mettere in mostra i polsini della camicia, fare insomma tutti quegli atti, leggermente e graziosamente scimmieschi, per cui egli accenna il desiderio di piacere.
M'è occorso ieri (scusate la parentesi) di fare un piccolo viaggio. Eravamo tre uomini, nella carrozza dei fumatori, e ne capitò all'ultim'ora un quarto, un giovinotto bello come il Fauno di Prassitele, che appena entrato s'impossessò del suo sedile e dei due posti che c'erano, accomodandovi le membra per dormire, e puntando i suoi delicatissimi piedi contro il bracciuolo di mezzo. Mezz'ora dopo non gli bastavano più i due posti; alzò una gamba e sconfinò sul mio territorio, posandomi sulle ginocchia una scarpa, che fui costretto a prendere con due delicatissime dita, per ricondurla ne' suoi legittimi confini. Avrebbe egli fatto così, se io fossi stato una graziosa signora? Si sarebbe egli pure accomodato a dormire? Dèi immortali, mi parrebbe già di vederlo, ritto sulla vita, tirarsi su i baffettini, aggiustarsi il nodo della cravatta, lanciarmi occhiate assassine, spiando l'occasione di entrare in discorso, e fors'anco entrandoci senza aspettar l'occasione. Certamente, sarebbe diventato molesto, ma ad un altro modo; perchè proprio è così, noi siamo una razza noiosa come le mosche, e il senso della misura ci manca, così nel bene come nel male.
Come io tengo a bada voi con le mie chiacchiere, così il signor Francesco, il re della montagna, aveva tenuto a bada il suo ospite, descrivendogli per sommi capi la vita che si faceva tra quelle gole alpestri, e dandogli di passata un'idea dei lavori a cui si può attendere utilmente, nel taglio ragionevole dei boschi e nell'ingegnosa combinazione delle serre. Gino s'innamorò delle serre, e promise a sè stesso di andare un giorno a vederle, quelle poetiche chiuse di lastroni e di legna, che fanno pescaia alle acque e ricettacolo ai tronchi galleggianti, per lasciarli poi, a cateratta dischiusa, precipitare affollati in un serbatoio inferiore, e così via, di pescaia in pescaia, fino ai grandi depositi della pianura. Il nostro giovanotto non conosceva quelle industrie montanare; ignorava che lassù ci fossero costumanze e fatiche così selvaggiamente poetiche come quelle dei pioneers americani. Ma gl'Italiani ignorano molto, in Italia, e non è colpa loro, perchè l'ignoranza incomincia dalla scuola.
A un certo punto della conversazione, apparve il signor Aminta sull'uscio e fece un gesto a suo padre. Allora il signor Francesco disse al suo ospite:
– Signor mio, le abbiamo fatto aspettare un po' troppo il suo pranzo. Ma Ella ci scuserà, perchè non era la nostra ora, così che siamo stati colti alla sprovveduta.
– E mi rincresce del loro incomodo; – disse Gino.
– No, nessun incomodo; – ripigliò prontamente il vecchio, non lasciandogli il tempo di proseguire. – Per noi questa è la cena. L'anticipiamo un pochino, quest'oggi, come Ella ha dovuto ritardare il pranzo. Gli uomini, – soggiunse il signor Francesco, – debbono trovar sempre il modo di andare d'accordo, e non ci riusciranno, io credo, senza qualche concessione scambievole. Non le par meglio così, che star fitti nel proprio uso e nella propria opinione? —
Gino