La legge Oppia : commedia togata in tre atti. Barrili Anton Giulio
pavoni di Giunone.
Eh, queste cose s'imparano presto ed ella si fa in breve agli usi delle gran dame. Tu la vedrai, Annia Luscina; tra poco ella sarà qui… A proposito, veniamo all'essenziale. Ci abbiamo di grandi cose… che sono in relazione colla nostra congiura. Abbiamo… sta attenta!.. abbiamo un grande arrivo dalla Grecia.
(facendo il viso scontento)
Ah, filosofi?
Meglio ancora.
Manco male; mi avevate già fatto paura. E chi dunque?
Una…
Una?
Te la darei alle cento, e non ti apporresti. Una mercantessa di mode.
Qui? colla legge Oppia?
Sì, e per merito della legge Oppia ne avremo noi le primizie. Figùrati; appena giunta, l'avean fatta carcerare. Ma Caio Atinio Labeone, nostro marito, non è pretore dei forastieri per nulla. Egli l'ha fatta chiamare a sè ed ha sequestrato la merce. E la greca e la merce, saranno qui, per opera mia, entrando dall'uscio sul vicolo. Tutto ciò per vedere, s'intende… e per toccare eziandio.
Ah, sia lode agli Dei immortali! La legge Oppia avrà fatto una cosa buona… l'unica da vent'anni in qua. Vediamo dunque; io spasimo dalla voglia.
Tosto che giunga. Chetati ora! Ma che è? Forse la greca?
(vedendo Birria comparso dalla fauce a destra)
No; è Marco Fundanio, tribuno.
Per te, figliuola, per te!
(volgendosi a Marzia)
Grazie, ed anche un pochino per te. Non sei tu sempre più bella di noi?
Adulatrice!
(Marco Fundanio indossa una tunica bianca, listata di porpora, che scende poco oltre il ginocchio. Calzari allacciati sul collo del piede con striscie di porpora. Toga portata con garbo sugli òmeri. Cappello di feltro a tesa stretta, che toglie nello entrare. Mazzetta nera tra mani).
Tra male gatte è capitato il sorcio!
(tra sè)
Salve, speranza e presidio delle matrone romane.
Meglio amerei esser desiderio di una tra esse; ma valgo troppo poco, lo so. Comunque sia, son cosa vostra.
(sotto voce a Claudia)
Senti, mamma, com'è carino? E' non par nemmeno uno di quelli che mettono il veto da per tutto.
(che ha udito le ultime parole di Volusia)
Bella fanciulla, io, se potessi, non metterei che un veto solo in mia vita.
E a che cosa?
Alle tue nozze con Claudio Pulcro. Ma, per ciò fare, oltre il tuo beneplacito, mi bisognerebbe esser nobile, come uno della gente Claudia, della nobilissima tra tutte.
(dopo un grazioso inchino)
Egli è pur vero che, di cotesti veto voi ne pronunziate troppo spesso, o tribuni.
Ma egli è vero altresì che se fossero consoli le matrone, il laticlavio ci avrebbe più ossequenti a gran pezza.
Oh, egli dee pur venire, il gran giorno! Dimmi, tribuno, non c'è' egli un'isola, dove le donne regnano sole, dopo aver messo gli uomini al bando?
Dicono, e invero, mi pare un po' troppo.
Ah, non dico già di mandarli via inesorabilmente…
Meno male!
Ma di tenerli in freno e di far le leggi un po' noi.
Dolcissime leggi! Esse hanno la mia tribunizia approvazione fin d'ora.
Or dunque, Marco Fundanio, poichè a queste giovani donne la è girata così, e tutta Roma femminile lo vuole, siedi e narraci come stanno le cose.
Ah, sentiamo!
(da sè, stropicciandosi le mani)
(avvedendosi della sua presenza)
Che fai tu qui? Va al tuo posto.
Alla porticina?
No, all'ingresso dell'atrio, al balcone che guarda sulla strada, e chiunque venga, corri a darcene avviso.
Che peccato! E' voleva esser gustoso, questo tribuno delle donne.
(esce)
Da dove comincierò? Che tutta Roma femminile vuole l'abrogazione della legge, tu l'hai detto, nobilissima Claudia. Io dirò che; nel Foro, alla Basilica, alle Botteghe vecchie, al tempio di Càstore, nel borgo de' Toscani, al Velabro, non si parla più d'altro. Il popolo, così in di grosso, non mi pare che veda di mal occhio la cosa. E lo si capisce; tutti hanno donne, cui andare a' versi. Ma i vecchi… i vecchi son duri. Basta; s'andrà ai comizi e là ci vedremo. I senatori, son nostri; già m'immagino che le belle matrone avranno fatto il poter loro, che è molto…
Di ciò non darti pensiero; sanno il debito loro.
Io, tra ier l'altro, ieri e stamane, ho già veduto sessanta mogli di senatori. E ho girato senza cocchio! Ecco qui le mie tavolette; vedi? la Pubblia, le Cornelie, la Bebia; e qui la Giunia, le Flaminie, le Claudie… insomma, ho detto sessanta. E tutte, ognuna dal canto suo, hanno fatto altrettanto. I mariti tentennano, ed è già molto che non ardiscano dire di no, come facevano prima.
In casa, sta bene; ma, nei comizi, come si diporteranno costoro? Ecco il guaio. Ma incominciamo dal meno. I comizi possono essere levati innanzi di conchiudere. Il rito dell'assemblea offre appigli e gretole agli avversarii, più che non vi pensiate.
O come?
Vedete, se già tutte le centurie fossero adunate e la discussione avviata, e ad un tratto sparisse lo stendardo inalberato sul Gianicolo, sarebbe sciolta l'assemblea senza fallo. Ciò si è veduto altre volte, chè non si fece buona custodia lassù.
Oh! ma si provvede. Una guardia di donne al Gianicolo!
E chi leverà lo stendardo sarà bravo, fosser pure gli apparitori di Marco Porcio Catone.
Oh, di questo non temo. Il console è uomo di virtù antica e non tenterà cose illegali. Egli, e ciò temo davvero, ci fulminerà colla sua maschia eloquenza. Un altro pericolo, e grave…
E quale?
E quale?
Mangieranno, i polli sacri?
Come? Bisognerà che i polli mangino?
I polli, sicuro. Tu sei giovinetta ancora e nol sai; ma nessuna cosa di rilievo può farsi nella repubblica, senza aver favorevoli gli auspicii. Anche una assemblea è valida, se sono propizii i segni del cielo; se no, no. Ora, dico io, mangieranno, come a bestie ben costumate si addice? Può importare ai padri il contrario, e Giove ed Esculapio, patrono dei galli, possono vedere la cosa