Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo IV. Botta Carlo
che se fu ignobile la resa per le sue cagioni, non fu meno brutta la capitolazione pei premj, che vi si stipularono. Rimettessero i cavalieri dell'ordine di San Giovanni Gerosolomitano ai Francesi la città ed i forti di Malta, rinunziando in favore della repubblica di Francia alla proprietà, ed alla sovranità ch'essi avevano su quell'isola, e su quelle di Gozo e di Comino; usasse la repubblica la sua autorità presso il congresso di Rastadt, perchè il gran maestro, sua vita durante, conseguisse un principato almeno uguale a quello ch'ei perdeva, e di più essa repubblica si obbligasse a dargli per sostentazione della sua vita, una pensione di trecentomila franchi annui, e due anni anticipati della pensione per compenso del suo mobile; avessero i cavalieri Francesi dalla repubblica una pensione di settecento franchi, i sessagenari di mille; facesse la repubblica ufficio presso la Ligure, la Cisalpina, la Romana, e l'Elvetica, perchè i cavalieri Liguri, Cisalpini, Romani, e Svizzeri ottenessero la medesima provvigione; conservassero i beni propri in Malta; procurasse la repubblica presso tutti i potentati d'Europa, che i beni dell'ordine fossero conservati ai cavalieri di ciascuna lingua; la religione si serbasse salva, ed intatta.
Il dì dodici giugno furono posti in poter dei Francesi i forti Emanuele, e Tigny, il castello Sant'Angelo, le opere della Bormola, della Cottonara, e della città vittoriosa. Il tredici, i nuovi signori presero possessione del forte Ricasoli, del castello Sant'Elmo, delle opere della Valetta, e di Floriano. Trovarono due navi da guerra, quattro galere, dodici centinaja di cannoni, munizioni in copia. Fecero il gran priorato di Malta, ed altri cavalieri dell'ordine adunati in Pietroburgo una solenne protesta contro la dedizione, tacciando Hompesch d'improvvidenza, di viltà, e di perfidia, e ritirandosi dall'obbrobrio, in cui affermavano essere meritamente incorsi Hompesch medesimo, Ransijat, San Tropez, ed altri dei loro compagni.
Venuto Buonaparte in possessione di un'isola tanto importante, vi creava un governo temporaneo, di cui fe' capo Bosredon di Ransijat. Poi veniva agli esilj ed alle espilazioni. Bandiva i cavalieri dall'isola, e fra di loro Hompesch, che se n'andò in Germania a vivere una vita ignorata, poichè onorata non la poteva più vivere. Ordinava Buonaparte, usando in questo l'opera del chimico Berthollet, che s'involassero gli ori, gli argenti, e le pietre preziose, che si trovavano nella chiesa di San Giovanni, ed in altri luoghi dipendenti dall'ordine di Malta, eccettuati solo quelli, che fossero necessari alla celebrazione dei riti, e così le argenterìe degli alberghi, e quella del gran maestro; gli ori, e gli argenti si convertissero in verghe, ed ogni cosa si serbasse pei servigi dell'esercito.
Quasi al tempo stesso l'isola di Gozo s'arrendeva al generale Reynier, mandatovi a posta da Buonaparte. Poscia il generalissimo, partendo dall'espilata isola con tutta l'armata, si avviava ai suoi destini d'Egitto. Lasciava Malta al governo di Vaubois, tanto onorato uomo, quanto valoroso soldato. Vi lasciava anche quel Regnault ambidestro, tanto favellatore egregio, quanto amministratore superbo. La più rara suppellettile, e fra questa la spada del gran mastro, e le bandiere dell'ordine, poste sulla fregata la Sensibile, s'incamminavano alla volta di Francia. Ma incontrata la nave dagl'Inglesi, fu presa, e le preziose conquiste condotte in Inghilterra. Erano sulla fregata Baraguey d'Hilliers, ed Arnault: accusò Arnault della perdita della nave la viltà dei forestieri. Nel che è da sapersi, che questi forestieri altro non erano, che galeotti napolitani liberati da Buonaparte dalle galere di Malta, e posti da lui, non so con qual decoro, a governar la Sensibile. La conquista di Malta, tanto conforme alle sorti fino allora continuate della repubblica di Francia e di Buonaparte, empiè di maraviglia l'Europa, di timore l'Austria, di spavento Napoli. Solo gl'Inglesi, che avevano il navilio intero, e d'invitta fama, non se ne sgomentarono; anzi dimostrando animo maggiore, quanto più grave era il pericolo, si preparavano al gran contrasto.
Giunto Buonaparte sui lidi Egiziani, e con tutta felicità sbarcatovi, s'impadroniva di Alessandria: poscia con pari felicità procedendo s'insignoriva dei luoghi più importanti e più forti di quella contrada. Non è disegno nostro il descrivere l'Egiziana guerra, siccome quella, che troppo è lontana dalle cose d'Italia. Solo ci piace raccontare, poichè per lei si cambiò lo stato d'Italia, e fu avvenimento tanto grave per tutta Europa, la battaglia navale di Aboukir.
Avevano gl'Inglesi, come abbiam narrato, notizia anticipata della spedizione d'Egitto, ed avuto anche presto avviso della partenza dell'armata da Tolone, siccome quelli che stavano molto all'erta, con tanta celerità la seguitarono, che arrivarono alle bocche del Nilo prima dei Francesi; nè avendogli trovati, si erano andati aggirando pel Mediterraneo con isperanza d'incontrargli, e di combattergli. Nè ciò venendo loro fatto, tanto sicura notizia avevano dell'intento dei Francesi, di nuovo voltavano le vele verso le egiziane spiaggie. Correva il giorno primo d'agosto destinato dai cieli ad una delle più aspre, e più terminative battaglie, che il furore degli uomini abbia mai fatto commettere, e di cui vi sia memoria nei ricordi delle storie, pieni per altro di tanti spaventevoli accidenti. Viaggiava con l'armata Britannica il vice ammiraglio Nelson, al quale dall'ammiraglio San Vincenzo era stato commesso il carico di cercare, e di combattere l'armata Francese, ed a piene vele solcava il mare verso Alessandria d'Egitto, quando tra le una e mezzo, e le due ore meriggiane del sopraddetto giorno scopriva l'armata di Francia sorta in sull'ancore nella cala d'Aboukir, ed ordinata alla battaglia. Scoversero al tempo medesimo i Francesi la vegnente armata nemica, e questa e quella sollevando gli animi all'importanza del fatto, che stavano per commettere a difesa e gloria delle patrie loro, si preparavano al cimento. Noveravansi nell'armata Inglese tredici navi, ciascuna di settantaquattro cannoni, ed erano quest'esse: la Vanguardia, nave capitana, su cui sorgeva Nelson, l'Orione, il Culloden, il Bellerofonte, il Golia, il Zelante, il Minotauro, la Difesa, l'Audace, il Maestoso, il Presto, ed il Teseo. A questi si trovavano congiunti il Leandro di cinquanta cannoni, e la fregata la Mutina di trentasei: insomma mila e quarantotto cannoni. Tutto questo navilio governavano meglio di ottomila eletti marinari.
Erano nell'armata di Francia una nave grossissima, stanza dell'almirante, nominata l'Oriente, tre di ottantaquattro, il Franclino, il Tonante, il Guglielmo Tell, nove di settantaquattro, il Guerriero, il Conquistatore, lo Spartano, l'Aquilone, il Popolo sovrano, il Felice, il Timoleone, il Mercurio, il Generoso, con la Diana, fregata di quarantotto, la Giustizia, fregata di quarantaquattro, l'Artemisia, e la Seria, ambedue di trentasei: insomma mila e novanta cannoni per armi, circa diecimila e novecento marinari per governo; imperciocchè i Francesi sono sempre soliti ad empiere le loro navi di maggior numero di gente. Aveva il supremo governo di tutto questo fiorito navilio l'ammiraglio Brueys, capitano delle faccende navali espertissimo, e d'animo non minore della sua perizia. Si era egli, dopo di avere svernato con parte delle suddette navi nel porto di Corfù, condotto a Tolone per alla fazione d'Egitto, avendo Buonaparte in lui preso somma confidenza. Ma la condizione delle due armate era l'una dall'altra molto diversa. Veleggiava per l'alto mare la Inglese, mentre la Francese sorta sull'ancore sprolungava il lido da maestro a scirocco. Accresceva la sua sicurezza l'isoletta di Aboukir, ma però un po' troppo lontana, per potere con molta efficacia difendere il passo; era posta a capo della fila, e munita di artiglierìe. Alcune più piccole navi provvedute di bombarde, e che fra le altre erano fatte stanziare, davano maggior nervo all'armata. Questo modo di combattere aveva eletto l'ammiraglio della repubblica per non privarsi del tutto degli ajuti di terra, e perchè prevaleva per la grossezza delle navi, e pel numero dei combattenti. Le quali condizioni essendo per lui migliori, non voleva esporsi al pericolo, che in una battaglia a vele, ed in tutto navale, nel qual modo di combattere tra armata ed armata sogliono gl'Inglesi, per la precisione e prestezza delle mosse, avere il vantaggio, si pareggiassero. Poi, usando i Francesi di trarre con le artiglierìe loro nel corpo delle navi nemiche, era manifesto che i tiri meglio sarebbero aggiustati, e maggior colpo farebbero, scagliati da navi sull'ancore, che da navi sulle vele. Così egli si prometteva una probabile vittoria, poichè i suoi soldati essendo animosissimi, non aveva, in tale modo combattendo, cagione di temere che il coraggio loro venisse sopraffatto dalla maggior perizia degl'Inglesi. Spirava il vento da maestro, volgendosi un poco verso tramontana-maestro. Non così tosto l'ammiraglio Inglese scoverse l'armata Francese, che diè il segnale della battaglia, ordinando alle navi, che s'accostassero tutte al nemico, chi più presto, il meglio. Dalla parte sua Brueys fe' salire incontanente i marinari delle navi minori sulle maggiori, e sprofondava un'ancora di più, acciocchè le sue navi fossero più ferme, e i suoi si persuadessero, che quello era il luogo, in cui per loro abbisognava o vincere o morire. Egli poscia si pose co' suoi migliori ufficiali a velettare sulla gabbia dell'Oriente, sito pericolosissimo, perchè gl'Inglesi usano di tirare in alto nelle vele, e nel sartiame. Si