Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo IV. Botta Carlo
e contro il mezzo dell'armata nemica, i quali con tutte le artiglierìe di poggia fulminando, ferocemente gli ributtarono, non senza aver loro recato danni gravissimi. In questo primo incontro le artiglierìe dell'isoletta ajutarono non poco l'opera delle navi. Tornarono gl'Inglesi all'urto un'altra volta, e sarebbe stata la battaglia più lunga e più pericolosa per loro, poichè Nelson si ostinava in voler dar dentro al petto dell'armata nemica, che se gli scopriva per poggia, se al capitano Foley del Golìa non fosse avvenuto l'audacissimo pensiero di ficcarsi, girando attorno alla punta dell'antiguardo Francese, tra il lido e l'armata nemica, donde ne avveniva, che i Francesi, perdendo il vantaggio di poter essere assaliti solamente da una parte, cioè da poggia, potevano, fra due tempeste di fuoco e di palle trovandosi, essere fulminati da ambe le parti, cioè da poggia, e da orza. Pensollo, e fecelo anche con ardire, e perizia inestimabile Foley. Consideratasi dagli altri l'importanza di questa mossa, che tanto vantaggiava le sorti degl'Inglesi, il Golìa fu prestamente seguitato dal Zelante, dall'Orione, dal Teseo, dall'Audace, e finalmente dalla Vanguardia, vascello almirante. Nè così tosto erano per tal modo trapassati a orza dei repubblicani, che, gettate le ancore, incominciavano a trarre con una furia incredibile.
Al tempo stesso le altre navi Inglesi, poichè non potevano esser molestate dalle navi del mezzo e del retroguardo nemico, che sull'ancore più dietro erano sorte, si arringavano a poggia delle Francesi, e con furiosi tiri le tempestavano. Così tutto l'antiguardo Francese, e parte della mezza fila, che erano il Guerriero, il Conquistatore, lo Spartano, e l'Aquilone, combattuti da ambi i lati travagliavano grandemente, quantunque sulle prime con molto valore si difendessero. Ma sopraffatti da quella prepotente forza, rotti, fracassati, disalberati, ed incapaci di muoversi a volontà, non che mareggiare con disegno, si arrenderono. Il vento in questo, che continuava a soffiare da maestro, sospingeva il fumo di tante artiglierìe sulla mezza schiera, e sul retroguardo Francese, e tutto, qual foltissima nebbia, l'ingombrava, nebbia, che solo era rotta dai foschi lumi delle tiranti artiglierìe. Era lo spettacolo orrendo; i Francesi, che si trovavano in terraferma, ansj del fine, che tanto grave era per la patria loro, ascesi sui luoghi più alti, prospettavano l'augurosa battaglia. Così la specola, e le torri d'Alessandria, così i terrazzi, e le logge di Rosetta, e la torre di Abul-Maradur, distante un tiro di cannone da questa città, erano piene di repubblicani, paventosi a quello che vedevano, ed a quello che udivano. Al tempo stesso gli Arabi si erano sparsi sul lido, condotti parte dalla contentezza di vedere i repubblicani, cui molto odiavano, in sì grave pericolo, parte dalla speranza di avergli a svaligiare, quando cercassero di ricoverarsi a terra. Pareva, che non si potesse aggiungere terrore ad uno spettacolo già tanto spaventevole pel rimbombo di tante e sì grosse artiglierìe. Eppure una nuova scena si scoverse piena ancora di maggiore spavento. S'era fatto notte; il Bellerofonte s'attaccava con l'Oriente. Ma questa enorme mole con un fracasso orribile lo teneva lontano, e tanto lo conquassava, che poco più sarebbe andato a fondo. Sopraggiungeva in questo mentre l'Alessandro, che trovatosi più vicino ad Alessandria aveva tardato ad arrivare, e si metteva tosto a bersagliare ancor esso l'Oriente. Il Leandro, che era stato compagno all'Alessandro, giuntosi col medesimo, assaltava il Popolo sovrano, ed il Franclino. Poi altre navi Inglesi si avvicinavano ai vascelli Francesi, che tuttavia combattevano, poichè, vinta la vanguardia, era fatto loro facoltà di girsene ad assaltare le navi della fila mezzana. Così l'Oriente, ed i suoi due vicini il Franclino ed il Tonante, si trovarono ad un tempo stesso bersagliati da tutte parti. L'ammiraglio Brueys, che in tanto estremo accidente aveva compito tutte le parti di esperto ed animoso capitano di mare, ferito prima nel capo e nella mano, fu finalmente da una palla diviso in due a mezzo il corpo. Casabianca, capitano dell'Oriente, ferito gravemente ancor egli, era stato costretto a lasciare l'ufficio. In mezzo a quel tumulto ecco gridarsi sull'Oriente, ch'egli ardeva. Nè v'era modo a spegnere; le trombe rotte, le secchie fracassate, gli uomini fuor di mente toglievano ogni speranza. La scheggia, e le palle Inglesi continuavano a tempestare. Ardeva l'Oriente, tanto bella e tanto potente nave, ed ardendo spargeva fra quelle tenebre tutto all'intorno un funesto chiarore. Davano opera gl'Inglesi ad allontanarsi, perchè nella finale ruina di quella mole smisurata temevano l'ultimo sterminio. Infatti verso le dieci della sera con un rimbombo, che parve più che di grossissimo tuono, e con un incendio, come quando il cielo di nottetempo pare tutto acceso da non interrotte folgori, scoppiò. Successe a tanto caso, per lo spavento e per lo stupore, per ben dieci minuti un subito ed alto silenzio. Le navi così vicine come lontane, ravviluppate da fumo, da tizzoni, da rottami d'ogni sorte, non si vedevano, nè senza fatica poterono preservarsi dalle circondanti fiamme. Poi le artiglierìe rincominciarono lo strazio, massime dal canto degl'Inglesi, che non volevano, che l'opera della distruzione della flotta Francese restasse imperfetta. Continuossi per tal modo a trarre sino alle tre del seguente giorno, momento, in cui fu forza far tregua, perchè la stanchezza prevalse al furore.
Quando poi incominciò a raggiornare, quanto si scoperse diverso l'aspetto delle cose da quello, ch'era stato prima che la battaglia incominciasse! Due flotte per lo innanzi fioritissime, acconce, preste, piene di gente allegra ed intera, risuonanti di grida liete, e festose, ora rotte, lacere, tarde, sanguinose, arse, piene di morti, di moribondi, di gemiti spaventosi e compassionevoli. Nissuna reliquia dell'arso Oriente; la fregata la Seria gita a fondo mostrava solo la cima degl'infranti alberi; le navi Francesi, il Guerriero, il Conquistatore, lo Spartano, l'Aquilone, il Popolo sovrano, ed il Franclino disalberate, ed in poter d'Inghilterra; il Felice, ed il Mercurio dato di fianco negli scogli; il Tonante privo di tutti i suoi alberi, l'Artemisia in fiamme, il Timoleone gito di traverso. Solo intere si osservavano le due navi del retroguardo il Guglielmo Tell ed il Generoso, con le due fregate la Diana e la Giustizia. Degl'Inglesi il Bellerofonte casso di tutti i suoi alberi, un altro in pari stato, uno col solo artimone, tutti laceri e fracassati, ma non tanto che non potessero ed armeggiare, e mareggiare. Si scagliavano contro il Felice, il Mercurio, il Tonante, ed il Timoleone naufraghi, e se gli prendevano. Poi facevano forza d'impadronirsi del Guglielmo Tell, del Generoso, e delle due fregate superstiti; ma tutte queste navi, spiegate prestamente le vele, e preso dell'alto, andarono a salvamento, la prima governata da Villeneuve, capitano che era stato della fregata la Giustizia, a Malta, la seconda a Corfù. Quest'ultima, strada facendo, si prese il Cavallo marino, grossa nave d'Inghilterra, e lo condusse con se nel porto dell'isola. Era il Generoso al governo di la Joailles, capitano, se mai alcuno fu al mondo, di estremo valore, e le cose che fece con quel suo Generoso sono piuttosto incredibili, che maravigliose. Pure era di cortese tratto, e di facile e mansuetissima natura. La Giustizia, fregata la più veloce corridora di tutto il navilio Francese e forse del mondo, si salvò facilmente; la Diana, più tarda, difficilmente. Non poterono gl'Inglesi seguitare le fuggenti navi, perchè avevano le proprie rotte, e sdruscite dalla battaglia. Dei Francesi, chi fu raccolto dagl'Inglesi, chi fuggì verso Alessandria sui leggieri palischermi. Ma quelli che si gittarono al lido, venuti in mano degli Arabi, furono con ogni strazio condotti a morte: quegli scogli strani grondavano Francese sangue. Dei Francesi mancarono in questa battaglia tra morti, feriti e prigionieri circa ottomila, fra i quali i morti sommarono a quindici centinaja. Furono i feriti e i prigionieri dall'ammiraglio Inglese, sotto fede di non guerreggiare contro l'Inghilterra fino agli scambi, liberati, e mandati in Alessandria. Perdettero gl'Inglesi fra feriti ed uccisi circa novecento soldati, fra i quali molto desiderarono un Wescott, capitano del Maestoso. Fu accagionato Brueys, come si usa nelle disgrazie, anche da Buonaparte, dello avere stanziato troppo più lungamente che si convenisse su per quelle spiagge infedeli. Scrisse anzi il generalissimo, che questo soprastamento aveva fatto l'ammiraglio contro i suoi ordini, poichè, come allegò, gli aveva comandato, che si ritirasse tosto a Corfù. Altri al contrario scrivono, avere voluto Brueys, che conosceva il pericolo, partirsene per Corfù, ed essere stato impedito da Buonaparte, che gl'impose di restare, perchè non voleva privarsi del sussidio della trasportatrice armata innanzi che avesse fermato con vittorie di momento il piede in Egitto. Ciò non mi ardirò di affermare, non avendone alcuna testimonianza certa. Bene non si può scusare Brueys dello aver lasciato l'adito aperto, perchè gl'Inglesi si potessero recare a ridosso della sua armata; poichè, quando a lui si scoperse il nemico, o doveva, salpando tostamente, e dando le vele al vento, condursi a combattere in alto mare, o se fermo sull'ancore voleva combattere, esplorar bene le acque frammesse tra la sua vanguardia e il lido, e trovatele profonde a dar passo a navi grosse da guerra, mettersi in altro sito, o serrarle con altri avvisamenti; poichè si vede, che l'esser passati per quello stretto ad orza dell'armata Francese, diè del tutto agl'Inglesi vinta una battaglia, che altrimenti sarebbe stata per loro assai