Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo V. Botta Carlo
delle turbe indisciplinate, e si sforzava, ancorchè fosse indarno, di frenarle. I rinforzi condotti da Micheroux, rendettero superiori i regj; anzi tanto s'avvantaggiarono, che non ostante che i repubblicani con frequenti e forti battaglie cercassero di arrestargli, arrivarono, conquistati i passi importanti d'Eboli e di Campistrina, sotto le mura di Salerno, e se ne impadronirono. Già tutte le province avendo obbedito o per amore o per forza alla fortuna del vincitore, la guerra si avvicinava a Napoli. Il cardinale, per istringerla, era venuto, calandosi da Ariano, a porsi a Nola, mentre Micheroux si era alloggiato a Cardinale. Eransi anche i regj fatti padroni della Torre del Greco. Da un'altra parte Aversa, rivoltatasi dalla repubblica, aveva chiamato il nome del re. Questo accidente interrompeva le strade da Napoli a Capua, in cui Macdonald partendo, aveva lasciato un presidio di duemila soldati. La medesima ubbidienza seguitava l'Abruzzo, perchè Proni, sollevato prima l'Abruzzo superiore, dove ad eccezione di Pescara, in cui si era rinchiuso il conte Ettore di Ruvo, ogni cosa veniva in poter suo, scendeva a far levare l'inferiore. Veramente tanto vi fece con la forza e con le persuasioni, che l'autorità regia vi fu rinstaurata sino prossimamente a Gaeta, munita di un presidio Francese. Per tale guisa furono tagliate tutte le strade tra Napoli e Roma. In questo mentre comparivano le navi Inglesi in cospetto, e mostrarono ai repubblicani, che la strada del mare era loro interdetta come quella di terra, e che nissun'altra speranza rimaneva loro, se non quella di un disperato valore, poichè nella clemenza del vincitore non potevano in modo alcuno fidare. Avevano innanzi agli occhi il prospetto di Procida isola, nido allora d'immanità più orribili, che non furono infami le libidini, che Capri posta in faccia a lei vide ai tempi antichi. Dominava in Procida sotto l'obbedienza del conte di Turn, uno Speciale, uomo crudele, il quale quanti repubblicani gli erano mandati prigionieri dal continente, tanti tormentava con supplizj, ed il più sovente con la morte. S'aggiungeva a spavento dei repubblicani, che in Napoli si era ordita una congiura in favor del re da due fratelli Bacher, Tedeschi, che vi avevano aperto un traffico. Scoperti da una gentildonna, amatrice dello stato nuovo, per nome San Felice, furono carcerati. Trovaronsi in casa loro nappe rosse, e bandiere reali. I repubblicani entrarono in gran sospetto, perchè temevano che vi fosse maggior inclinazione, e che una parte potente macchinasse congiure.
In estremo tanto pericoloso, in cui non si trattava più di vincere o di perdere, ma di vivere o di morire, il governo della repubblica ed i repubblicani facevano ora più, ora meno di quanto i tempi richiedessero. Già aveva qualche tempo prima, come abbiamo narrato, il governo decretato, che non solamente fossero e s'intendessero aboliti i diritti dei feudi, ma che i baroni mostrassero a quale titolo possedessero i boschi e le bandite, e chi non potesse mostrarne, fosse spodestato, ed i beni si spartissero fra coloro, a danno dei quali i medesimi diritti fossero stati usati. Toglieva il diritto di mulenda, voleva che si vendessero i beni nazionali, rimedj insufficienti, perchè usati all'estremo, e perchè la ragione, e nemmeno l'utile possono prevalere contro il furore. I sospetti intanto, anche fra gli uomini della stessa parte, come avviene nelle disgrazie, davano il tracollo allo stato già cadente. Questi sospetti accennavano agli uomini stessi che entravano nel governo, perchè vi erano stati chiamati dai Francesi, parendo ai più ardenti repubblicani, che in chi era stato dipendente dai forestieri, non si potesse aver fede sufficiente in quegli estremi della Partenopea repubblica. Erano sorti in Napoli, come abbiam detto più sopra, parecchi ritrovi politici, dove, secondo il solito chi manifestava opinioni più estreme, era più applaudito, e miglior cittadino creduto. Tanto montò la cosa, e tanta fu la potenza che questi ritrovi si arrogarono, che uno di essi domandò al governo, che tutti coloro che erano stati nominati dai Francesi, cessassero dal magistrato, ed in vece loro si surrogassero buoni, leali e independenti Napolitani. Perchè poi non potesse venir fatto inganno, misero in campo anche questa, che un magistrato di censura si creasse, che avesse diritto e carico di scrutinare i membri del direttorio, e quei del corpo legislativo, e chi fosse stimato sospetto cassasse, e proponesse in luogo loro cittadini puri ed incorrotti. Accettò il governo oggimai servo la proposta, e per essa divenne ancor più servo. Così scioglievasi la società per la intemperanza, già prima che si disfacesse per la forza; fu creato il magistrato, un canonico Luparelli d'Adriano fatto suo capo. Questi creavano, quelli cacciavano, il governo era in mano loro. Instituissi intanto un tribunale, il cui ufficio fosse di giudicare il crimenlese, e di cui in nominato presidente Vincenzo Lupo. Entrarono con lui i repubblicani più vivi. Decretava il direttorio, che quando tirassero tre volte i cannoni dei castelli, chi a guardia nazionale, od a ritrovi politici non fosse ascritto incontanente si ritirasse alle sue case sotto pena di morte, e sotto la medesima pena serrasse le finestre; e chi nol facesse, e fosse trovato per Napoli dopo i tre tiri, quando non s'appartenesse a guardia nazionale, od a ritrovi politici, fosse disarmato, arrestato, ed incontanente, come nemico della patria, ammazzato. Ai tiri medesimi le guardie nazionali, o chi fosse addetto ai ritrovi, tostamente accorresse al quartier generale: i quinqueviri, i legislatori, i ministri andassero ai seggi loro, e chi nol facesse, fosse ammazzato. Queste cose si facevano con terrore infinito della città. Ma i repubblicani più vivi, e quelli che avevano in odio ed in sospetto ogni freno ed ogni governo, viemaggiormente si infierivano. Si era formato con consentimento del governo, nella casa dell'accademia dei nobili, un ritrovo, in cui convenivano repubblicani più moderati per discorrere fra di loro intorno alla salute della patria, e propria. Il loro fine principale, vedendo il precipizio delle cose, era di accordarsi, acciocchè nell'ultimo caso trovassero modo di salvar se, e quelli che sentivano con loro. I capi di quest'adunanza erano uomini assennati, e le loro intenzioni volte al bene. Ma vennero a congiungersi con loro, ed essi il consentirono per quell'intento di salvare quanti repubblicani potessero, gli altri ritrovi sparsi per la città, e composti di patriotti più ardenti e più immoderati. Ne nacque, che costoro acquistarono il predominio, e spinsero l'adunanza della casa dei nobili ad eccessi condannabili.
Sul bel principio mandarono dicendo al corpo legislativo, che Pignatelli di Monteleone, e Bruno di Foggia, entrambi di esso corpo, erano aristocrati, perchè avevano reso partito contro la legge dei feudi; perciò volevano, che, chiesta licenza, se n'andassero, e non guardassero indietro; quando no, gli avrebbero ammazzati. Deputati a portar quest'insolente imbasciata furono Luigi Serio, e Gaetano Rossi. Gli accompagnavano cinquecento arrabbiati con le coltella in mano, intuonando che venivano per ammazzar Pignatelli e Bruno, se colle buone non se n'andassero. Fuvvi dentro un gran contrasto, perchè chi voleva cedere, chi resistere, nè potendo accordarsi se ne volevano riparar alle case. Ma gli uomini con le coltella intimavano loro, badassero a far l'ufficio. Poi non contenti al Pignatelli e al Bruno, rintuonarono, che il Doria ministro di marina, come vile per avere domandato i passaporti, avesse congedo ancor esso; quando no, l'ammazzerebbero. Non vi era luogo ad elezione: e però i tre accusati presero congedo da loro medesimi. Altri magistrati accusavano, e quanti ne accusavano, tanti erano esclusi, l'adunanza dell'accademia dei nobili dominava: regnava un'orribile anarchìa. Poi per far vedere, che se atterrivano gli altri, non avevano paura essi, immaginarono un registro, dove tutti, come membri dell'adunanza, avessero a scrivere i nomi loro. Scrissergli in effetto. I più savi consentirono, perchè avendo i nomi di tutti, speravano di potergli avvertire, quando fosse venuta la necessità del doversi salvare, per non cadere nelle mani dei regj. Questo registro divenne poscia, quando i regj si fecero padroni di Napoli, un libro di morte, perchè, trovato, furono giudicati senza remissione tutti coloro, che l'avevano segnato coi loro nomi.
In questo mentre niuna cosa lasciavano intentata per infiammare il popolo. Tutti che portavano il nome di Ferdinando, si sbattezzavano con dire, che non volevano avere in se cosa, che gli assomigliasse ad un tiranno. Cassio, Bruto, Timoleone, Armodio, Catone, ed altri simili nomi andavano per le bocche di tutti. Chi invocava Masaniello, chi il gigante di palazzo: il Sebeto negl'innumerevoli versi parlava, e prediceva gran destino alla Partenopea repubblica. Le tragedie di Alfieri, e le più forti, si recitavano in presenza di un concorso infinito di uditori, e tratto tratto ecco alzarsi un predicatore: quest'era spesso una persona civile, e spesso ancora un idiota, o un prete, o un frate, o un laico. Badate, diceva costui, rivoltandosegli in un momento tutte le genti intente ad udirlo, badate, diceva, o cittadini, che questo caso è caso nostro, o fosse di Bruto, o fosse di Virginia, o fosse di Timoleone. Tutti applaudivano; poi si continuava a recitar la tragedia. Ed ecco un altro predicatore sorgere, e dire, che bisognava ammazzar tutti i tiranni: le Napolitane grida andavano al cielo: così tra il predicare e il recitare si arrivava allo spegnere dei lumi. Fuori poi i discorsi erano ancor più strani, che nel teatro: le novelle che si spargevano, sentivano anch'esse dello stravagante. Gli accidenti favorevoli