Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo VI. Botta Carlo

Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo VI - Botta Carlo


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la repubblica propria, e quelle d'altrui, sì perchè gli avevano anche perseguitati. Non potevano costoro pazientemente tollerare, che in cospetto loro, non che di Ferdinando, di Giovacchino, non che di Giovacchino, di regno si favellasse. Così tra aspri dirupi e nascoste valli vivendosi, gli odj loro contro i re e contro i Francesi fra immense solitudini continuamente infiammavano. Ma sulle prime isolati, ed alla spartita vivendo, nissun comune vincolo gli congiungeva, intenti piuttosto ad arrabbiarsi, che a vendicarsi. Gl'Inglesi, che custodivano la Sicilia, ebbero notizia di quest'umore, ed avvisarono che fosse buono per turbare il regno contro i Francesi. Pertanto gli animarono a collegarsi fra di loro, affinchè con menti unite concorressero ai medesimi disegni, e creassero nuovi seguaci. Per accendergli promettevano gl'Inglesi qualche forma di constituzione. Sorse allora la setta dei carbonari, la quale acquistò questo nome, perchè ebbe la sua origine, e si mostrò la prima volta nelle montagne dell'Abruzzo e delle Calabrie, dove si fa una grande quantità di carbone. Molti ancora fra questi settarj sapevano, ed esercevano veramente l'arte del carbonajo. Siccome poi non ignoravano, che a voler tirar gli uomini, niuna cosa è più efficace che le apparenze astruse e mirabili, così statuirono pratiche e riti maravigliosi. Principal capo ed instigatore era un uomo dotato di sorprendente facoltà persuasiva, che per nome si chiamava Capobianco. Avevano i carbonari quest'ordine comune coi liberi muratori, che gli ammessi passavano successivamente per varj gradi fino al quarto; che celavano i riti loro con grande segretezza; che a certi statuiti segni si conoscevano fra di loro; ma in altri particolari assai erano diversi i carbonari dai liberi muratori; conciossiachè, siccome il fine di questi è il beneficare altrui, e di banchettar se stessi, così il fine di quelli era l'ordine politico degli stati. Avevano i carbonari nel loro procedere assai maggior severità dei liberi muratori, perchè non mai facevano banchetti, nè mai fra canti e suoni si rallegravano. Il loro principal rito in ciò consisteva, che facessero vendetta, come dicevano, dell'agnello stato ucciso dal lupo, e per agnello intendevano Gesù Cristo, e pel lupo i re, che con niun altro nome chiamavano, se non con quello di tiranni. Se stessi poi nel gergo loro chiamavano col vocabolo di pecore, ed il lupo credevano essere il monarca, sotto il quale vivevano. Opinavano altresì che Gesù Cristo sia stato la prima e la più illustre vittima della tirannide, e protestavano volerlo vendicare con la morte dei tiranni. Così come adunque i liberi muratori intendono a vendicar la morte del loro Iramo, i carbonari intendevano a vendicare la morte di Cristo. In questa setta entravano principalmente uomini del volgo, sulla immaginazione dei quali gagliardissimamente operavano, con vivi colori rappresentando la passione, e la morte di Cristo, e quando nelle loro congreghe i riti loro adempivano, avevano presente un cadavere tutto sanguinoso, che dicevano essere il corpo di Gesù Cristo. Quale effetto in quelle Napolitane fantasie sì terribili forme partorissero, ciascuno sel può considerare. Erano i segni loro per conoscersi vicendevolmente, quando s'incontravano, oltre alcuni altri, il toccarsi la mano ed in tale atto col pollice segnavano una croce nella palma della mano l'uno dell'altro. Quello, che i liberi muratori chiamano loggia, essi baracca chiamavano, e le assemblee loro col nome di vendite distinguevano, ai carbonari veri alludendo, i quali scendendo dalle montagne andavano a vendere il carbone loro pei mercati in pianura. Sentivano, come abbiamo detto, molto fortemente di repubblica: niun altro modo di reggimento volevano, che il repubblicano, ed in repubblica già si erano ordinati apertamente nelle parti di Catanzaro sotto la condotta di quel Capobianco, che abbiamo sopra nominato. Odiavano acerbamente i Francesi, acerbissimamente Murat per essere Francese e re, ma non per questo erano amici di Ferdinando, perchè piuttosto non volevano re. Nati prima nell'Abruzzo e nelle Calabrie, si erano propagati nelle altre parti del regno, e perfino nella Romagna avevano introdotto le pratiche loro, e creato consettarj. In Napoli stessa pullulavano: non pochi fra i lazzaroni della secreta lega erano consapevoli e partecipi.

      Vedendo Ferdinando, che la potenza dei carbonari era cosa d'importanza, si deliberava, a ciò massimamente stimolato da Carolina sua moglie e dagl'Inglesi, di fare qualche pratica acciocchè se possibil fosse, concorressero co' suoi proprj aderenti al medesimo fine, che era quello di cacciar i Francesi, e di restituirgli il regno. Principale mezzano di queste pratiche era il principe di Moliterno, che, tornato d'Inghilterra, dove si era condotto per proporre a quel governo, che dichiarasse l'unione e l'independenza di tutta Italia, se vi voleva far frutto contro i Francesi, le quali proposte non volle l'Inghilterra udire, non fidandosi del principe, per essere stato repubblicano, si era in Calabria fatto capo di tutti gli antichi seguaci del cardinal Ruffo, e vi teneva le cose molto turbate contro Giovacchino. Parlava efficacemente dell'unione e independenza dell'Italia, ed in queste dimostrazioni era ardentemente secondato dalla regina, che si persuadeva di potere con questo allettativo, non solamente ricuperare il regno, ma ancora acquistare qualche altra parte importante. Pareva Moliterno personaggio atto a questi maneggi coi carbonari, perchè ai tempi di Championnet era stato aderente della repubblica, ed anzi per questa sua opinione proscritto dalla corte di Napoli. I carbonari, sì perchè erano aspramente perseguitati dai soldati di Murat, sì perchè Moliterno sentiva di repubblica, e sì perchè finalmente molto si soddisfacevano di quella unione e independenza d'Italia, prestavano favorevoli orecchie alle proposte del principe e della regina. Ciò non ostante stavano di mala voglia, e ripugnavano al venire ad un accordo con gli agenti regj. Per vincere una tale ostinazione, il governo regio di Palermo dava speranza ai carbonari, che avrebbe loro dato una constituzione libera a seconda dei desiderj loro. Per questi motivi, e massimamente per questa promessa, consentirono ad unirsi con gli aderenti del re a liberazione del regno dai Francesi. A queste risoluzioni vennero la maggior parte dei carbonari; ma i più austeri, siccome quelli che abborrivano da ogni qualunque lega con coloro che stavano ad un servizio regio, continuarono a dissentire, e questa parte discordante fu quella, che ordinò quella repubblica di Catanzaro, che abbiamo sopra nominato.

      L'unione dei carbonari coi regj diede maggior forza alla parte di Ferdinando in Calabria; ma dal canto suo Giovacchino, in cui non era la medesima mollezza che in Giuseppe, validamente resisteva, massime nelle terre murate, cooperando alla difesa i soldati Francesi guidati da Partonneaux, i soldati Napolitani, e le legioni provinciali. Ogni cosa in iscompiglio: la Calabria non era nè del re Ferdinando nè del re Giovacchino; le soldatesche ed i sollevati ne avevano in questa parte ed in quella il dominio. Seguitavano tutti gli effetti della guerra disordinata e civile, incendj, ruine, saccheggi, stupri, e non che uccisioni, assassinj. I fatti orribili tanto più si moltiplicavano, quanto più per l'occasione della guerra fatta nel paese, uomini di mal affare di ogni sorta, banditi, ladri, assassini, a cui nulla importava nè di repubblica, nè di regno, nè di Ferdinando, nè di Giovacchino, nè di Francesi, nè d'Inglesi, nè di papa, nè di Turco, ma solo al sacco ed al sangue intenti, dai più segreti ripostigli loro uscendo, commettevano di quei fatti, dai quali più la umanità abborrisce, e cui la storia più ha ribrezzo a raccontare. Così le Calabrie furono da questo momento in poi, e per due anni continui fatte rosse da sangue disordinatamente sparso, finchè lo spavento cagionato da sangue ordinatamente sparso le ridusse a più tollerabile condizione.

      Le ruine si moltiplicavano; la Spagna ardeva, l'Italia, e la meridional parte della Germania sotto l'imperio diretto di Napoleone, l'Austria spaventata, la Prussia serva, la Russia divota, la Turchìa aderente, la terraferma Europea tutta obbediente a Napoleone o per forza, o per condiscendenza. Un solo principe vivente nel cuore d'Italia, debole per soldati, forte per coscienza, resisteva alla sovrana volontà. Napoleone spinto dall'ambizione, ed acciecato dalla prosperità aveva messo fuori certe parole sull'imperio di Carlomagno, suo successore nei dritti e nei fatti intitolandosi, come se gl'impiegati di Francia, che da lui traevano gli stipendj, avessero potuto, imperatore dei Francesi chiamandolo, dargli il supremo dominio e l'effettiva possessione, non che della Francia, di tutta l'Italia, di tutta la Spagna, di tutta la Germania, di quanto insomma componeva l'impero d'Occidente ai tempi di quel glorioso imperatore.

      Adunque con quell'insegna di Carlomagno in fronte s'avventava contro il papa. Non poteva pazientemente tollerare che Roma, il cui nome tant'alto suona, non fosse ridotta in sua potestà. Gli pesava, che ancora in Italia una piccola parte fosse, che a lui non obbedisse. Dal canto suo il papa si mostrava renitente al consentire di mettersi in quella condizione servile, nella quale erano caduti chi per debolezza e chi per necessità quasi tutti i principi d'Europa. Così chi aveva armi cedeva, chi non ne aveva resisteva. Pio settimo, non che resistesse, fortemente rimostrava al signore della Francia acerbamente dolendosi, che per gli articoli organici, e pel decreto di Melzi fossero stati i due concordati guasti a pregiudizio della sedia apostolica,


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