Tragedie dell'anima. Bracco Roberto
volta sola!
E lei?
Lei? (Ride amaramente) Eh eh eh! (Pausa. – Poi, a un tratto, prendendo il cappello) Be', buona notte, Ludovico.
No, non voglio che tu te ne vada, ora. Vieni qua… Fammi le tue confidenze… E non fumare tanto: mi sembri un fumaiuolo. Siedi. Parliamo tra noi.
(obbedendo di malavoglia, resta, senza sedere.) Mi secchi.
Ma come! Io ti dico ogni mio segreto, io ti metto a parte di tutto ciò che mi riguarda, io ti mostro ogni piega dell'animo mio, e tu, invece, sei così poco espansivo con me, così misterioso, così… autonomo…
(interrompendolo) Magnifica parola: «autonomo»!
(continuando) E io vedo che dentro di te c'è un altro mondo, e che questa aridità che t'imponi ti rende peggiore. È un grande conforto il poter rivelare a qualcuno le proprie angosce. Quando l'anima trova nella voce e nella parola l'espressione d'un suo dolore, tutto quel che c'è in esso di più acre se ne va, e ne resta quel tanto che può essere almeno sopportato con una certa rassegnazione. Non mi credi?
Sicuro! Ma ci sono degli uomini che provano una voluttà particolare appunto in ciò che il dolore ha di più acre. (Si eccita morbosamente.) Essi non ammettono la rassegnazione, ed è forse per questo che non vogliono crearne nemmeno la possibilità. Per essere espansivi, s'ha da essere buoni come sei tu. Io, per esempio, io sono cattivo, e mi compiaccio d'esserlo. Mi ci trovo bene. L'uomo buono, guarda, è un creditore dell'umanità; l'uomo cattivo ne è un debitore: e la parte del creditore non mi conviene nè punto nè poco, visto che l'umanità non paga mai i suoi debiti. (Eccitandosi sempre più) Insomma, se ti credessi tale da sapermi trasformare, io ti pregherei di non incomodarti e di lasciarmi essere tranquillamente una canaglia. Mi sono spiegato? Mi hai capito? No? No?.. E non ci capiremo mai, e non è proprio necessario di capirci. Tu stai al nord, io al sud. Tu ami, io invidio. Tu vedi tutto roseo, io tutto nero. Tu sei un fortunato, io un disgraziato. Tu sei un uomo sano, io un infermo. Tu sei uno sciocco che ha del genio, e io sono un uomo d'ingegno che non ha niente! Ed ora, mettiti a lavorare, e a rivederci domani.
SCENA IV
(riflettendo e scrollando il capo) È veramente un infelice, povero Francesco! (Si scuote, si alza, si decide a fare un po' di fuoco nel caminetto. Mette la legna, accende la carta e col soffietto ravviva le fiamme.)
(di dentro, canta fievolmente la ninna-nanna, che è una monotona e semplice cantilena:)
Ninna-nanna,
un vecchio canuto
ha trovato
il sonno perduto.
(resta in ascolto, quasi assorto, come se quella cantilena fosse per lui una carezza.)
(di dentro)
Ninna-nanna,
al bimbo egli viene
e gli porta
col sonno ogni bene.1
(vedendo la legna accesa, si frega le mani) Ottimamente: dove c'è fuoco, c'è vita!.. (Si accosta al primo uscio a destra e chiama:) Caterina!
(dietro l'uscio) Che c'è?
Si è addormentato?
Sta per addormentarsi.
Vengo a dargli un bacino?
Ma no! Se vieni tu, spalanca tanto d'occhi e siamo da capo.
Ci vengo?
(impaziente) Ti dico di no!
Ih!.. Hai paura che me lo mangi? (S'allontana e poi, sorridendo, pensa tra sè:) Però, questa volta ha ragione lei. (Siede presso la sua scrivania. Borbotta scherzosamente:) Laboremus! (Apre uno scartafaccio e si riconcentra nella riflessione.)
(di dentro)
Ninna-nanna,
un vecchio canuto
ha trovato
il sonno perduto.
Ninna-nanna,
al bimbo egli viene
e gli porta
col sonno ogni bene.
(guardando ciò che aveva scritto) Che volevo dire, qui? (Leggendo le ultime parole:) «Assodata la differenza essenziale tra il perdonare e il dimenticare, noi ci rivolgiamo una domanda dalla cui sottigliezza, a prima giunta, siamo turbati…» (Pensa) Ah, ecco, ci sono! (Scrive.)
(entra. – Ha l'aria preoccupata. Sta per chiudere la porta e dà ancora uno sguardo nella stanza donde è venuta, chiamando sottovoce:) Luisa! Luisa!
(si avvicina all'uscio e resta sulla soglia.)
Spegni il lume e accendi la lampada da notte.
Sì, signora. (Via.)
(chiude l'uscio con precauzione.)
(vedendola) Che onore!
Sei solo?
(scherzando) Crederei di sì.
Il tuo amico è andato via?
Non lo vedi?
(attraversa la stanza, va sino alla porta in fondo e guarda fuori.)
Oh, che ti salta in mente? Ch'egli si metta a spiare dietro gli usci?
Stai lavorando?
(lasciando la penna) Cominciavo appena…
(tossendo un po') Quanto fumo in questa camera! Si soffoca…
Abbi pazienza: è Francesco che ha divorato una decina di sigarette. Apri un po' la finestra. Fa rinnovare l'aria.
(eseguendo) Ma lèvati di là, tu: viene la corrente alle spalle.
Che che! Non ne ho paura, io. (Scrive di nuovo.)
(guardando la finestra) Nevica.
(in tono buono) Meglio. Il gelo della strada ci fa amare di più il tepore della casa.
Oh, come nevica!
Attenta che il freddo non s'insinui nelle stanze da letto.
Le porte sono ben chiuse.
E il tuo piccolo padrone che fa?
(serrando la finestra) Adesso sì che dorme.
(alzandosi giovialmente) E adesso sì che ci vado.
No, lascialo stare.
Neanche
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