Il trionfo: Dramma in quattro atti. Bracco Roberto
o
Il trionfo: Dramma in quattro atti
Questo dramma fu rappresentato per la prima volta in Italia, al teatro Alfieri di Torino, la sera del 10 gennaio 1895, dalla compagnia drammatica Zacconi-Pilotto.
PERSONAGGI:
Lucio Saffi
Nora
Don Paolo
Giovanni
Ziegler
Felsani
Rosa
Giustino
Un Contadino
Lucio Saffi – 28 anni: viso espressivo, mobilissimo, segnato dall'intensa sensibilità spirituale.
Nora – maestra di pianoforte: 24 anni; natura debole, impressionabile.
Giovanni – un bel giovane gagliardo, sulla trentina, pittore.
Ziegler – violinista: poco più di 30 anni; piuttosto brutto, capelli castani un po' a zazzera, disordinato negli abiti e nei gesti.
Felsani – medico celebre: 74 anni; spalle curve, barba fluente e capelli bianchissimi, modi assai signorili; incesso grave; voce monotona, sottile, insinuante; parla lentamente, sillabando le parole, con pacatezza eccessiva e aristocratica.
Don Paolo – prete molto disinvolto, spregiudicato e giovialissimo; faccia bonaria e ridanciana: 56 anni.
Rosa – giovanetta bella, fresca, piena di salute: 21 anni, vesti e maniere tra di contadina e di provincialotta ricca.
Giustino – benestante campagnuolo, giovanissimo, sano, arzillo, e, a modo suo, elegante.
ATTO PRIMO
Un salotto semplice, modesto, adibito provvisoriamente a camera da letto. Il letto, difatti, situato verso il lato sinistro, ha il capezzale un po' discosto dalla parete, quasi avanti a una porta chiusa. Alla parete opposta, una finestra. In fondo, la porta comune, dalla quale si vede un'altra piccola stanza. Presso il letto, una larga poltrona. Pendono ai muri alcuni quadri anatomici. Nell'angolo più lontano dal letto, un'ampia tavola, su cui sono, confusamente, fiale e scatole di medicinali, qualche bottiglia, qualche piatto, qualche asciugamano, qualche bicchiere, delle arance, una candela di cera, un paralume.
Qua e là, nella camera, altre suppellettili, in disordine. – È sera. – La candela è accesa, diffondendo poca luce. – L'ambiente è concentrato e triste.
SCENA I.
LUCIO, GIOVANNI, FELSANI
(è adagiato sul basso letto tutto bianco, ma dalla cintola in su è quasi ritto, con le spalle e il capo sorretti da una catasta di guanciali. Ha gli occhi infossati, lo sguardo debole e vagante, il volto pallidissimo e smunto, la barbettina incolta. Ha un braccio serrato al petto, tenendo sotto l'ascella un piccolo termometro.)
(è seduto sulla poltrona.)
(in piedi, presso la candela, ha in mano una lettera.)
(parlerà con voce fioca; ma quando, a poco a poco, o ad un tratto, egli si animerà, il suo accento avrà vibrazioni affannosamente vivaci.)
(guardando la lettera) Qui c'è una cancellatura. Si vede che gli era sfuggita qualche parola eccessivamente efficace…
Dottore, sono passati i dieci minuti?
(consultando il suo orologio) Non ancora.
Questi termometri! Che noia! (A Giovanni:) Continua, Giovanni. Vedi che bel tipo!
Lei permette, dottore? Tanto per ammazzare il tempo…
Ammazzi pure.
(a Giovanni:) Ma grida un po'…
Non l'avevi letta?
Me l'aveva appena leggiucchiata la signorina Nora.
(leggendo:)… «Sicchè, Sua Eminenza, che, standomi ad ascoltare, s'era grattata, con rispetto parlando, un poco dappertutto – segno evidente che non avevo saputo grattarla io – , all'ultimo, alquanto impacciata, così mi parlò: «Voi don Paolo, non ne dubito, di qui a cento anni sarete anche beatificato, visto che nel villaggio tutti dicono, ed io lo credo, che siete un curato esemplare e miracoloso; ma io sostengo che lassù sarete un santo come non ve ne sono stati mai». E il giorno dopo, nipote mio, Sua Eminenza se n'è partita, salutata, acclamata da tutto il paese, ma giurando in cuor suo, – te lo dico io – di non metterci mai più il piede.» (A Lucio:) Egli però non se ne mostra troppo afflitto. (Legge:) «Insomma, non le piacqui. Anzi, la infastidii, specie con le mie risate. Santa pazienza!.. Come si fa a fingere sempre? E poi, mascherare la faccia forse è possibile, ma la voce come si maschera? È quella che è. La mia ride; e a Sua Eminenza piacciono le voci che piangono. De gustibus, caro nipote! La vaccherella neonata sta come un pesce. Rosina fa all'amore con un giovinetto lavoratore e ricco. La semina del grano è terminata. E io me la godo. – Sperando di ricevere finalmente tue nuove, ti abbraccia e benedice il tuo affezionatissimo zio Paolo.»… Bel tipo davvero! (A Lucio:) Non sa che sei malato?
Non sa?.. Che cosa?
(alzando la voce) Dico: tuo zio non lo sa che sei malato?
No, no. – Dottore, sono passati i dieci minuti?
(dopo aver consultato il suo orologio) Ora sì. (Si alza lentamente, prende il termometro, si avvicina alla candela.)
Per conto mio, abolirei i termometri.
Benissimo, collega. In qualità di medico, lei può abolire anche la medicina. Ma in qualità di ammalato, non deve che subirla.
(a Lucio:) Hai capito?
(a Felsani, che osserva il termometro:) Quanti gradi, dottore?
Ah?.. Non così abolizionista come dice di essere! Trentanove meno qualche decimo.
Siamo in porto, perbacco!
E anche senza questa importante diminuzione non ci sarebbe più niente da temere. Il superare la crisi dell'altra notte, fu vittoria decisiva. Sono quarantotto ore che Lucio Saffi ha concluso e sottoscritto il suo trattato di pace con la Vita. Questa volta (si avvicina a Lucio) possiamo congratularci con la scienza.
Con la scienza? (Tentenna un poco il capo.)
(parlandogli assai dappresso) Con la nostra Scienza, collega.
Nostra, no. Io non saprei che farmene.
Ottimamente. Nondimeno, veda, lei è un medico come me.
Ho una laurea come lei.
Ottenuta, io lo ricordo, con esami onorevoli.
Ma non sono medico, e non potrò esserlo mai. Oh!.. La scienza!.. Io l'ho studiata con passione, anzi con avidità… Me ne sono abbeverato avidamente, come… come un viaggiatore del deserto si abbevera alla prima sorgente che trova; ma poi!.. Ma poi!..
Ma poi… io la prego di parlare poco e di pensare meno. Mi fa questa grazia?
(continuando senza