Il trionfo: Dramma in quattro atti. Bracco Roberto
dottore!», io ebbi la coscienza di essere un ignorante…
Mi fa la grazia di chetarsi?
(animandosi) …E tutte le ricerche febbrili tendenti a scoprire il segreto dell'esistenza, non lasciarono in me che un gran disprezzo per l'inanità della scienza, dei cui simboli grotteschi – guardi dottore, guardi – ho voluto ornare i muri in segno di scherno, e un gran desiderio, anche, mi rimase, un gran bisogno di cercare… di cercare… di cercare altrove! (Si abbatte.)
(dopo una lunga pausa, si accosta a Lucio) Ecco, lo vede? È stanco. Avrà tanto tempo – glielo prometto io – per dire alla scienza ed agli scienziati tutto il male che ne pensa; ma per ora, signor Lucio, (con severità paterna) io non la prego più, bensì le ordino di fare a modo mio. (Pausa. Poi, andando verso Giovanni e abbassando la voce) Senta. Sino alle due della notte, desidero che lo si lasci tranquillo. Alle due, o un po' più tardi, l'infermo ricomincerà a prendere la cartina consueta. E durante la notte, se avrà sete, potrà bere abbondantemente la sua aranciata. Ha niente da obiettare il signor pittore?
Si figuri! Niente.
Non mi riesce di udire nemmeno una parola. Le sue droghe, dottore, mi hanno fatto diventar sordo.
Benissimo! Potremo così sparlare di lei senza domandargliene il permesso.
(a Felsani:) Appunto, dottore, volevo dirle…
(socchiude gli occhi in una specie di dormiveglia.)
(a Giovanni:) Dica.
Egli si lamenta della residenza precaria in questa stanza, e non sogna che di ritornarsene lì, nella sua cameruccia abituale.
Quella cameruccia sembra una tomba, e noi gliene vieteremo l'ingresso, perchè, suo malgrado, lo vogliamo vivo. Qui, caro signor Giovanni, c'è un poco più di luce.
Ed egli odia la luce.
Una stravaganza che nasconde Dio sa quale dei suoi attorcigliamenti d'idee.
Lo so, ma, purtroppo!.. guai a contraddirlo.
Contraddirlo no; secondarlo sempre, neppure. È necessario distoglierlo, distrarlo dai suoi sofismi, dai suoi cavilli, da quel ragionare eccessivo in cui il suo pensiero si contorce. Ahimè! Ragionar troppo significa correre il pericolo di non ragionar più. Con la febbre a quarantuno, delirava. Questo era naturalissimo. Ma il male è che, passato delirio, egli ricorda la visione e i fantasmi del delirio e qualche volta ne parla come d'un fatto veramente accaduto, come di una persona veramente vista. Proclive a crearsi un altro mondo, determina, in sè stesso, una specie di sovrapposizione. Da che cosa è prodotto tutto questo? Io credo da una sproporzione, da uno squilibrio. Egli consuma, cioè, del suo cervello più di quanto possa consumare. Non ha notato lei che dopo uno dei suoi sforzi riflessivi egli, accasciato, si assopisce nel riposo? La natura medesima, dunque, gli chiede un risarcimento. Ed ecco perchè bisogna evitargli l'eccesso della riflessione. È del mio parere il signor pittore?
Ma… naturale!..
E sarà utile che del mio parere siano gli altri amici che assistono l'infermo.
Avvertirò Ziegler.
Avverta, prima d'ogni altro, la signorina Nora…
(a questo nome si desta.)
Quella donna, se non vado errato, ha un certo ascendente su lui…
In verità, non lo conosce che da quando è venuta ad abitare qui accanto; ma, senza dubbio, per lui, è una vicina eccellente.
Una vicina eccellente! Ben detto! Ben detto! Ed è ciò che si può desiderare di meglio.
Giovanni, è illuminata la sua finestra?
Ah! Lei ascoltava? Cosicchè l'effetto delle mie malefiche droghe non è completo?
M'è parso dì udir pronunziare il nome di Nora. Mi sono, forse, ingannato?
Ingannato? Punto. E solamente questo nome ha udito?..
Questo nome, dottore.
Benissimo… Benissimo…
È illuminata la sua finestra, Giovanni?
(guardando la finestra) No. Ella non deve essere ancora tornata dal concerto. Già, sarebbe venuta direttamente qui. Ma non potrà tardare. I pezzi che doveva suonare con Ziegler erano segnati al principio della seconda parte del programma.
(a Lucio, fissandogli addosso gli occhietti scrutatori:)È una pianista valorosa?
È una incomparabile infermiera.
Simpatica, anche…
Assai mite.
Quasi bella…
(breve pausa) Peccato!
(ha un lieve moto di stupore. Indi, rivolgendosi pianissimo a Giovanni:) Che ne dice lei, signor pittore, di tutto ciò?
Non è un innamorato.
Molto ben detto. Senonchè, io non sono della sua opinione.
(chiamando:) Giovanni! Giovanni! Va, ti prego, va ad aprire la porta. La signorina Nora è su per le scale. Non ne hai udita la risatina?
Io, no; ma non monta… (Esce dalla comune.)
(accostandosi a Lucio) Non le pare d'aver udita quella risatina più col pensiero che con gli orecchi?
(dilatando istantaneamente le pupille) Perchè lo vuol sapere?
SCENA II.
LUCIO, GIOVANNI, FELSANI, ZIEGLER, NORA
(porta in mano un mazzo di fiori. Ha un'elegante e semplicissima veste bianca dallo strascico molto lungo. La ciarpa che le covre i capelli, e un po' il viso, e il mantello in cui si avvolge, mettono nell'ambiente caldo l'impressione dell'aria fredda della strada.)
(indossa, sbottonato e col bavero alzato, un largo e vecchio paltò svolazzante, sotto il quale il frak inelegante e il nitido cravattone bianco completano il carattere della figura alquanto bizzarra. Ha in mano il violino chiuso nella cassetta e alcune carte di musica avvoltolate.)
(entrando) Buone notizie, nevvero?
Sempre buone quando un medico tiene a darle egli stesso.
(a Felsani:) Lei qui a quest'ora? Giù, non avevo riconosciuta la sua carrozza.
(andando premuroso verso Lucio) Si va bene, eh? (Mette in un angolo la cassetta, il cappello, le carte.)
(a Nora) Io qui a quest'ora. Ma non tema, signorina, non usurpo il suo posto d'infermiera. Glielo abbandono tutto intero il nostro ex ammalato. (Prende di su una seggiola la sua pelliccia. – Giovanni lo aiuta a indossarla.)
Oh, garbata questa infermiera che entra munita di fiori nella camera dell'infermo! Ziegler, abbiate pazienza, buttateli via. (Glieli dà.)
Lusinghiero