Ettore Fieramosca: ossia, La disfida di Barletta. Massimo d' Azeglio

Ettore Fieramosca: ossia, La disfida di Barletta - Massimo d' Azeglio


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narrando e rispondendo, e Boscherino seguiva tutto inteso a ciò ch'egli sapeva dire; quando si sentì tirare per la cappa, e volgendosi vide nell'ombra un uomo, che riconobbe per uno di que' due che avea lasciati cenando nell'osteria.

      – Boscherino – gli disse sottovoce fermandolo, mentre gli altri seguivano la loro via – il duca ti vuol parlare: non ti sbigottire, chè non vuol farti un male al mondo. Però sta sull'avviso, e sii accorto. Andiamo. —

      A Boscherino si mise la febbre addosso udendo queste parole, e disse che appena si poteva udire: – Siete voi D. Michele?

      – Sì, son io: taci, e portati da quel valent'uomo che sei. —

      Boscherino era stato caposquadra del signor Gio. Pagolo Baglioni, e di altri signori italiani, e nelle guerre del tempo s'era sempre portato da valoroso; nè v'era uomo che curasse meno di lui mettersi ad ogni sbaraglio, tanto che facendosi la compagnia di 500 fanti e 100 archibusieri per ordine del signor Prospero, onde condursi in ajuto di Consalvo, era stato fermato con soldo ragguardevole, e si faceva di lui grandissimo conto.

      Ma l'animo suo, quantunque sicuro, nol potè regger tanto che le parole udite da D. Michele, e 'l dover ritornare, sapendo a chi fra momenti si sarebbe trovato innanzi, non gli facesse tremar le ginocchia; e se avesse potuto scegliere, avrebbe tolto di scagliarsi piuttosto contra dieci spade che andare dov'egli andava. Ripensando alle cose passate poco prima, ben s'appose al vero, e disse fra se:

      – Troppo son certo ch'egli m'ha udito quando dissi il duca… Il diavolo dell'inferno mi mosse la lingua… eppure era discosto, e non mi pare d'aver alzato tanto la voce. Ma dove non giungerebbe quell'anima dannata… Ed ora che malanno sarà venuto a far qui? —

      Con questi pensieri furono all'osteria. La sola gente di casa era in cucina. Il duca s'era fatto condurre nella camera ove dovea dormire, che era sopra il camerone della cena; e le tavole del soffitto essendo mal connesse, lasciavano tanto di spazio che si poteva vedere ed udire ogni cosa di sotto.

      All'oste era bensì passato un sospetto pel capo che costui non fosse quello che si mostrava; ma stretti dal nemico soltanto dalla banda di terra, capitavano quivi per via di mare ogni qualità d'uomini; nè si faceva gran caso d'un viso che non fosse appuntino degli ordinarj.

      Salirono la scala D. Michele e Boscherino, e vennero alla camera dov'era il duca. Un letto ricoperto di sargia bigia, un piccol desco, e pochi sgabelli erano il solo mobile della stanza. La lucerna, che si veniva smorzando, col vento che fece la porta aprendosi, si spense; e Boscherino, mentre D. Michele andò per altro lume, si trovò quivi allo scuro col duca. Rimase immobile dov'era, rannicchiandosi al muro, non osando far parola e nemmeno quasi fiatare, e stupiva di ritrovarsi così dappoco, egli che non stimava persona al mondo. Ma il sapere d'essere alla presenza di quel maraviglioso e terribile uomo, il sentirselo tanto vicino, che, nel silenzio in cui stavano amendue, poteva udirne il respiro frequente, tutto ciò suo malgrado gli metteva tal brivido, ch'egli si dolea d'esser vivo. Tornò D. Michele col lume e fu visto il duca seduto sulla sponda del letto. La sua presenza era d'uomo che non ha saputo mai che cosa sia riposo nè di mente nè di corpo. Ben complesso ed asciutto di membra, di statura poco più dell'ordinaria, aveva in ogni sua mossa un non so che di tremolo che non si potrebbe descrivere. Vestiva una cappa scura con maniche a larghe strisce ed a riprese. Una daga sottile in cintura, e la spada era sulla tavola con un cappello adorno d'una sola penna nera. Teneva i guanti alle mani, ed alle gambe stivali grossi da viaggio. Volse ai due venuti un viso pallido, colle guance infossate e sparse di macchie livide, con baffi e barba rossetta, piuttosto lunga, che scendeva sul petto in due liste. Al suo sguardo poi sarebbe impossibile trovare al mondo nulla di somigliante. A voglia sua, ora più saettante di quello d'una vipera, ora dolce come l'occhio d'un bambino, ora terribile come la pupilla sanguigna della jena.

      Guardò Boscherino che s'era fatto la metà, e stava sempre nello stesso luogo, come se avesse aspettato la sentenza del capo; e lo guardò in modo da torgli ogni timore: ma Boscherino sapeva chi egli era, nè si rassicurò punto.

      – M'hai riconosciuto Boscherino – gli disse – e l'ho caro; sempre ti tenni per uomo di fede e dabbene; e se non mi venivi innanzi t'avrei cerco. Ben sapevo che eri qui. Non far parola con persona che m'abbi veduto. Sai che posso rimunerarti de' tuoi servigi; nè il farmi dispiacere ti gioverebbe gran fatto. —

      Il caposquadra troppo sapeva ch'egli diceva il vero, onde rispose:

      – V. E. Illustrissima può far di me ogni sua voglia, e le sarò come le fui sempre fedel servitore. Nè la mia vita passata credo le possa dare indizio contrario. Solo prego l'E. V. mi faccia degno di dirle due parole con libertà. —

      Avendogli il duca accennato che dicesse, riprese:

      – Voi aveste la mia fede, glorioso signore, nè vi verrà meno mai in eterno. Ma qualcuno può avervi veduto. Se la cosa si divulgasse, ed io uscissi di qua, potrebbe venirmene dato carico, senza ch'io ci abbia una colpa al mondo. Ond'è che non vedo strada d'uscirne coll'onor mio.

      – Va – rispose il duca – sta di buona voglia, ed attendi ad esser uomo dabbene, nè ti darò carico che non meriti. Al fatto mio accade lo star nascosto soltanto per poche ore; passate queste, sappia ognuno e dica ciò che vuole, però non esca mai dalla tua bocca, per quanto stimi la grazia mia. —

      Boscherino non rispose a queste parole; soltanto abbassò il capo in atto riverente, facendo il viso di chi si vuol mostrar pronto ad obbedire, e non ha altro timore che di non esser creduto obbediente abbastanza. Tolse licenza, e camminando all'indietro con molti inchini, uscì della camera, e gli parve mille anni d'essere in istrada. Dopo alcuni minuti venne fuori anche D. Michele; trovò la camera che gli era destinata, vi si chiuse; ed il piano superiore dell'osteria per quella sera rimase tranquillo come se fosse disabitato.

      CAPITOLO SECONDO.

      –

      La brigata per la quale era allestita la cena, giunse a casa di Veleno verso le due ore di notte, ed empiè in un momento lo stanzone terreno ov'era apparecchiato. L'oste per farsi onore s'era ingegnato d'imbandir con tovaglie di bucato la tavola, sulla quale oltre i piattelli e le posate di stagno e d'ottone che spiccavano meglio del solito per essere state strofinate[Pg 13] con maggior diligenza, v'erano qua e là foglie di vite sparse ad uso di piattini per porvi su i boccali ed i bicchieri, sui quali scintillavano al chiarore di molti lumi, infinite goccie d'acqua, rendendo testimonianza ch'eran stati risciacquati di fresco. Diego Garcia di Paredes entrò il primo e dietro lui i baroni francesi prigioni. Jacques de Guignes, Giraut de Forses, e La Motta. Lo Spagnuolo, l'uomo più audace e di maggiori forze di tutto l'esercito, e forse di tutta Europa, pareva formato apposta dalla natura pel mestiere dell'arme, pel quale tanto meglio si poteva riuscire quanto maggiore era la robustezza e la forza muscolare. La sua statura superava di non poco quella de' suoi compagni, e l'affaticarsi di continuo in un temperamento qual'era il suo, togliendo alle membra la pinguedine, avea dato tal grossezza ad ogni muscolo, che appariva nel petto, nelle spalle, e nell'altre parti somigliante ai colossi dell'antica scultura, di forme atletiche e bellissime nell'istesso tempo. Il collo grosso come quello del toro reggeva una testa piccoletta, ricciuta, coi capelli piantati alti nella collottola, ed un volto virile e sicuro, senz'ombra però d'arroganza. L'aspetto di Don Garcia non mancava d'una certa grazia; e gli si leggeva in viso l'animo semplice, leale e pieno d'onore. Avea già deposta l'armatura, ed era rimasto in giustacore e brache di pelle strette alla carne, in guisa che ad ogni suo moto si vedevano i muscoli sorgere e guizzare come fossero scoperti: un mantello corto alla foggia spagnuola gettato su una spalla compiva tale schietto vestire.

      – Signori baroni – disse mettendo dentro con cavalleresca cortesia i prigionieri – noi Spagnuoli diciamo: —Duelos con pan son menos4. La fortuna oggi v'ha trattati male; domani forse toccherà a noi: in tanto qui siamo amici: ceniamo, che por Dios Santo, credo in questo saremo tutti d'accordo: più d'una lancia è andata in pezzi, e per oggi basta: non ci potranno rimproverar certamente di lasciar rodere le armature dalla ruggine. State di buon animo, e domani si ragionerà della taglia, e vedrete che D. Garcia sa come si trattano cavalieri pari vostri. —

      Il contegno di La Motta a queste parole era quello di chi avendo la stizza non la vuol mostrare. Valoroso, buon


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<p>4</p>

I guai, con pane, son più soffribili.