Ettore Fieramosca: ossia, La disfida di Barletta. Massimo d' Azeglio
io che era mal d'amore! – disse Azevedo. – Quando si vede un giovane pallido, di poche parole, che cerca la solitudine, non si sbaglia, è affare di gonnella. È vero però (disse sorridendo) che alle volte un pajo di partite alla zecchinetta che vadano a rovescio, vi metton l'amaro in bocca e vi fanno diventar pallido e malinconico per dieci gonnelle;… ma non importa: è un'altra cosa, e poi dura meno. E quanto a Fieramosca non c'è questo pericolo; non l'ho mai veduto con le carte in mano… Ora capisco il motivo de' suoi viaggi notturni. Sapete che le mie finestre guardano il molo. Più d'una volta l'ho visto sul tardi entrare in un battello solo, allontanarsi e girare dietro il castello. Buon viaggio, dicevo io mettendomi a letto, ognuno ha i suoi gusti: e pensavo che cercasse fortune d'amore; ma non mi sarei mai sognato si cacciasse in mare per piangere chi sta all'altro mondo. Pare impossibile; un soldato par suo lasciarsi vincere da questa pazzia!
– Ciò mostra – rispose Inigo con calore – che un cuore buono ed amorevole può star nel petto d'un uomo ardito in faccia al nemico; e, viva Dio! che in questo s'ha a render giustizia a Fieramosca, come a tutti gl'Italiani che i fratelli Colonna hanno sotto la loro bandiera: nessuno di quanti portano una spada accanto ed una lancia in pugno, può vantarsi di portarla più degnamente o d'esser da più di loro. —
A questa lode espressa col fuoco d'un animo schietto ed amante del vero, gli Spagnuoli diedero coi cenni e colle parole un'approvazione che non potevano negare essendo giornalmente testimoni del valore degli uomini d'arme Italiani. Ma i tre prigionieri caldi dalle parole e dal vino, e La Motta più degli altri, avendola con Inigo, che sempre durante la cena lo era andato pungendo, non potè mancare alla sua superba natura di stimar tutti nulla in paragone suo e de' suoi; onde alle parole dello Spagnuolo rispose con un riso studiato ed un guardo di compassione che fece montar la stizza fino ai capelli al giovine, e gli s'accrebbe la metà quando La Motta seguì dicendo:
– Quanto a questo, messer cavaliere, nè io nè i miei compagni non siamo del vostro avviso. Da molt'anni facciamo la guerra in Italia; e, come già v'ho detto, abbiamo molto più veduto adoprar pugnali e veleni che lance e spade, e vi prego di crederlo; un gendarme francese (e fece un viso grosso) si vergognerebbe d'aver per ragazzi di stalla uomini che non valessero meglio di questi poltroni d'Italiani: giudicate se si può immaginare di paragonarli con noi.
– Sentite, cavaliere, ed aprite bene gli orecchi – rispose Inigo che non potè più reggere alla passione di sentir costui dir tanta villania de' suoi amici, e non gli parve vero di sfogarsi contra chi gli avea storpiato il suo cavallo – se qualcuno de' nostri Italiani fosse qui, e Fieramosca il primo, e voi foste libero, come siete prigione di Diego Garcia, potreste imparare, prima d'andar a letto, che un uomo d'arme francese può aver a fare a due mani per difender la sua pelle contra un Italiano; ma poichè voi siete prigione, e qui non sono che Spagnuoli, io che sono amico di Fieramosca e degl'Italiani, dico in loro nome, che voi e chiunque dirà aver essi timore coll'armi in mano di chicchessia, ed esser, come dite, poltroni e traditori, mente per la gola, e son pronti a starne al paragone con tutto il mondo, a piedi, a cavallo, con tutte l'armi o con la sola spada, dove, e quando, e sempre che vi piacerà. —
La Motta ed i compagni, i quali al cominciar di quelle parole s'erano rivolti con atto superbo verso chi le diceva, mutandosi gradatamente in volto, fra l'adirato e l'attonito, ne stavano attendendo la fine. Come accade in una brigata, allorchè in mezzo allo schiamazzo e alle risa, si sente sorger una voce e dir parole di ferro e di sangue, che ognuno tace e si volge sospeso a chiarire il fatto, cessato il bisbiglio, ogni Spagnuolo stette ad orecchie tese, aspettando che cosa potesse nascere da questa prima rottura.
– Siamo prigioni – rispose La Motta con orgogliosa modestia – e non potremmo accettare disfide; però, coll'approvazione degli uomini d'arme che hanno avute le nostre spade, e che, ben inteso, avranno da noi un giusto riscatto, a nome mio, de' miei compagni e di tutta la gente d'arme francese, rispondo e ripeto quello che ho già detto una volta, e che dirò sempre, gl'Italiani valer solo ad ordir tradimenti e non alla guerra, ed esser la più trista gente d'arme che abbia mai tenuto piede in istaffa e vestita corazza. E chi dice che io abbia mentito, mente, e glielo manterrò coll'armi in mano. —
Poi cercatosi in petto ne trasse una croce d'oro, e dopo averla baciata la depose sulla tavola. – E possa io non avere speranza in questo segno della nostra salute quando sarà la mia ultim'ora, esser tenuto cavalier disleale, ed indegno di calzar speroni d'oro, se non rispondo io ed i miei compagni alla disfida che gl'Italiani mi mandano per bocca vostra, e colla grazia di Dio, di nostra Signora e di san Dionigi, che ajuteranno la nostra ragione, mostreremo a tutto il mondo qual differenza vi sia fra la gente d'arme francese e questa canaglia italiana che voi proteggete.
– E sia col nome di Dio – rispose Inigo: quindi esso pure apertosi davanti il giubbone si trasse dal collo un'immagine della Madonna di Monserrato, colla quale si fece il segno di croce e la depose vicino alla croce d'oro di La Motta: e quantunque provasse un leggier senso d'umiliazione di non potere per la sua povertà offrire un pegno di battaglia di valore eguale a quello di La Motta, pure scossa quella vergogna, disse francamente:
– Ecco il mio pegno. Diego Garcia li prenda ambedue in nome di Consalvo, che non ricuserà campo franco ai nostri nobili amici, nè ai cavalieri francesi che verranno a combatterli.
– Non per certo – rispose Garcia, prendendo i pegni della sfida – Consalvo non impedirà mai questa brava gente di misurarsi le spade e fare il dovere di buoni cavalieri. Ma voi, messer barone (parlando a La Motta) avrete sotto i denti un osso da rodere più duro che non pensate.
– C'est notre affaire– rispose il Francese scuotendo il capo e sorridendo. – Nè io nè i miei compagni terremo per il più pericoloso e per il più splendido fatto della nostra vita, quello nel quale potremo mostrare a questo bravo Spagnuolo il suo errore, facendo votar la sella a quattro Italiani. —
Diego Garcia, che non si sentiva veramente vivo se non quando stava o nel calor d'una mischia o parlando di menar le mani, non capiva in sè dall'allegrezza nel sentir questi preliminari d'una sfida, che sarebbe senza dubbio stata combattuta e contrastata con tutto l'accanimento che può inspirare l'onor nazionale; ed alzando il capo e la voce, e battendo insieme due mani che sarebbero state bene al braccio di Sansone, gridò:
– Le vostre parole, cavalieri, sono degne d'uomini d'onore, e di soldati pari vostri, e son sicuro che i fatti non saranno inferiori. Vivano sempre i bravi di tutte le nazioni! Ed in così dire, imitato dagli altri, alzò il bicchiere, e tutti con grande allegrezza lo votarono più d'una volta in onore de' futuri vincitori. Calmato un poco il romore, Inigo soggiunse:
– L'ingiuria che voi fate al valore italiano, messer cavaliere, non è cosa che i miei amici vorranno passar così di leggieri, nè terminar col rompere d'una lancia, come se si trattasse di aver il pregio d'una giostra. Non parlo per ora del numero de' combattenti: questo si fisserà d'accordo fra le due parti; ma qualunque sia per essere, offro a voi ed ai vostri battaglia a tutte armi ed a tutto sangue, finchè ogni uomo sia morto, o preso, o costretto ad uscir del campo. Accettate voi questi patti?
– Gli accetto. —
Fermato così l'accordo, nè rimanendo per allora altro da aggiungere, le fatiche del giorno e l'ora tarda consigliarono ad ognuno il riposo. La brigata si alzò da tavola di comune consenso; ed uscita dall'osteria, s'andò sciogliendo a mano a mano, riducendosi ciascuno al proprio alloggiamento. I baroni francesi furono onorevolmente trattati, ed ebbero stanza dagli uomini d'arme che gli avean fatti prigioni. Crediamo di poter asserire, che malgrado le bravate colle quali aveano mostrato tener gli Italiani in sì poco conto, un intimo senso, ed in molti l'esperienza gli avvertiva, che a voler uscir ad onore da quest'impegno, bisognavano però più fatti che parole. Inigo anch'egli, benchè fosse più che certo del valore de' suoi amici, e che per la gloria delle armi italiane sarebbero venuti a paragone con tutto il mondo, riflettendo che gli avversarj erano pur gente da guerra di grandissimo conto, e le migliori spade dell'esercito francese, non poteva non istare in pensiero del fine che avrebbe avuta quest'importante faccenda. Infatti La Motta ed i suoi compagni erano uomini da star a fronte di chicchessia. Le loro prodezze nell'armi erano conosciute da tutte le soldatesche d'allora; e nelle squadre francesi v'erano moltissimi altri non inferiori nè in coraggio nè in perizia, ed il famoso Bajardo, per dirne uno, bastava solo ad aggiungere