La plebe, parte II. Bersezio Vittorio

La plebe, parte II - Bersezio Vittorio


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gridando:

      – Ferma, ferma!

      Il marchesino che dava le spalle al luogo onde venivano i carabinieri, si voltò, e viste le monture degli agenti della forza pubblica, la sua faccia espresse la più disgustosa meraviglia.

      – Oh, oh! esclamò egli con disdegno: c'è qualcuno che ha saputo informare per bene la polizia del nostro ritrovo e della cagione di esso.

      E gettò uno sguardo supremamente sprezzoso sopra Francesco e i suoi padrini che s'erano accostati a gruppo.

      – Signor sì: disse con isdegnosa insolenza Gian-Luigi. Tutto sta a vedere da qual parte debba cercarsi questo qualcheduno.

      Baldissero arrossì fin sulla fronte.

      – Per Dio! Ella oserebbe sospettare di noi?

      – Ella osa bene mostrare sospetto sul conto nostro.

      A quel punto comparve alla cantonata del muro un uomo studiosamente avviluppato in un mantello, avresti detto più ancora per nascondersi la faccia che per ripararsi dal freddo. Era messer Barnaba che veniva a sopravvegliare l'esecuzione degli ordini ricevuti.

      – Qua le armi: disse uno dei carabinieri, e lor signori ci dicano tosto il loro nome.

      Scrissero il nome di tutti un per uno sopra un loro taccuino.

      – È finita la commedia? Disse il marchesino con isprezzante ironia.

      – Finita o non finita; rimbeccò con vivacità Gian-Luigi, non fa punto onore al suo autore; e ciò posso affermare con sicurezza, che simile indegno personaggio non si trova fra noi tre.

      – Questa è quistione, rispose superbamente di Baldissero, la quale potrebbe venir sciolta altrove fra di noi, se il modo con cui ha avuto termine la presente non ci levasse del tutto il coraggio e la voglia di siffatte partite con simil gente.

      – Tregua agl'insulti! Gridò con imponente accento il dottor Quercia facendo un passo verso il marchesino; ma più innanzi verso codestui si fece Francesco Benda che schizzava fiamme dagli occhi.

      – Oh che crede Ella che in questo modo tutto abbia avuto termine fra noi? Non sarà così, per Dio! a niun conto.

      L'uomo dal mantello s'accostò d'un passo al gruppo de' nostri personaggi e col capo accennò ai carabinieri la persona di colui che aveva parlato per ultimo.

      – È dunque Lei l'avvocato Francesco Benda? Dissero i carabinieri, mettendosi innanzi al giovane e disgiungendolo così dal marchesino.

      – Sì.

      – Ella avrà la compiacenza di venire con noi sino dal signor Commissario di polizia che molto desidera parlarle.

      Tutti gli astanti fecero un moto di spiacevole meraviglia.

      – Io? Esclamò Benda. A qual fine?

      – Glie lo dirà il signor Commissario.

      – E se mi rifiutassi d'andarvi?

      – Saremmo costretti di condurvelo colla forza.

      – È dunque un arresto il mio?

      I carabinieri fecero un cenno affermativo.

      L'impressione fu in tutti viva e diversa: Gian-Luigi diede una rapida sguardata all'ingiro, come per vedere se vi fossero probabilità di fuga; Selva si avanzò quasi minaccioso come per opporre la resistenza a quell'atto prepotente; il marchesino ed i suoi compagni mostrarono un orgoglioso disdegno.

      – Ecchè? Disse superbamente Baldissero. Avete ordine di arrestarci?

      – Lei no, signor marchese, risposero i carabinieri, nè altri qui dall'avv. Benda in fuori.

      Selva e Francesco erano un po' impalliditi. La loro mente era corsa alla congiura che paventavano fosse scoperta. Quercia che osservava tutto, s'accorse come vi dovesse essere alcuna ragione da far temere ai due giovani più triste conseguenze da quell'arresto che non quelle cui avrebbe avuto il duello mancato: si rivolse al marchesino e gli disse vivamente:

      – Ella vede quanto fossero ingiusti i suoi sospetti. Il suo onore medesimo, signor marchese, non consente che lasci così arrestare il suo avversario.

      Baldissero lo interruppe con un gesto vibrato che voleva dire: – Ho capito e so ben io che cosa mi tocca di fare; poi con quell'accento di supremazia che dà la coscienza del proprio grado, disse agli agenti della forza pubblica:

      – Io sono il figliuolo del marchese di Baldissero ministro di Stato. Rispondo io per l'avv. Benda.

      – Do la mia parola, esclamò vivamente Francesco, che mi presenterò io stesso questa mattina medesima dal signor Commissario: ma prima lasciatemi andare a riabbracciare la mia famiglia.

      – Siamo dunque intesi: soggiunse il marchesino con quel tono d'autorità; andate pure, e dite ai vostri superiori che io mi sono reso cauzione di lui.

      I carabinieri parvero esitare; ma l'uomo dal mantello fece un altro passo ed un altro cenno.

      – Ci rincresce davvero: disse allora uno dei carabinieri; ma non possiamo assecondare il suo desiderio. I nostri ordini sono precisi e formali.

      Gian-Luigi, fin dal primo momento che Barnaba era comparso, lo era venuto esaminando con occhio acutamente investigatore.

      Hai bel coprirti la faccia, diceva a se stesso, ti riconoscerò quel medesimo ad ogni volta che mi avvenga di vederti.

      – Se la è così, disse Francesco, è inutile ogni altro indugio. Andiamo pure, o signori: e tu Giovanni, soggiunse volgendosi a Selva, non tardare a recar di mie notizie a casa mia.

      Camminarono verso il luogo dove avevano lasciato le carrozze. Il cocchiere del dottor Quercia aveva gli occhi fissi sul suo pseudo-padrone che si accostava, e questi aveva lo sguardo intento sul suo cocchiere. Fu un cenno leggerissimo di Gian-Luigi, colto a volo da quella faccia furba di cocchiere, o fu veramente che il vivace cavallo attaccato al legno del dottore si spaventasse d'alcuna cosa? Il fatto è che quella stupenda bestia fece un balzo, e, come se avesse tolto la mano al guidatore, prese a correre giù della strada del Parco. Non ci fu più che la carrozza del marchesino di cui si potessero servire i carabinieri per condurre l'arrestato. Vi salirono i militari con Francesco; l'uomo dal mantello salì a cassetta presso il cocchiere e la carrozza partì di trotto serrato.

      – Signor marchese; disse Gian-Luigi a Baldissero, il quale si vedeva essere turbato e spiacentissimo di questo fatto: Ella non abbandonerà, ne son persuaso, l'avv. Benda.

      – No certo: rispose vivamente il marchesino. Qui è avvenuto non so qual disgradevole equivoco, che mi affretterò a far dileguare. Quanto a difendermi dal sospetto che io possa in alcun modo aver contribuito a questo spiacevole incidente, credo non averne bisogno.

      Quercia e Selva s'inchinarono leggermente.

      In quella la carrozza del dottore tornava a quel luogo col cavallo affatto ammansato.

      – Mi rincresce, disse Gian-Luigi al marchesino ed ai suoi compagni, non poter offrir loro un posto nel mio legnetto. Lo lascierei anzi del tutto a loro servizio, se noi non avessimo il dovere di correre il più sollecitamente possibile in casa Benda.

      I nobili avversarii non risposero che con un saluto. Selva si precipitò nella carrozza, e Quercia, salendovi esso pure, diede al cocchiere l'indirizzo dell'officina e soggiunse:

      – Di galoppo.

      La carrozza partì come una saetta sprigionata dalla cocca.

      – Benda avrebbe qualche motivo da temere una perquisizione? Domandò Gian-Luigi al suo compagno, mentre la carrozza andava colla rapidità del vento.

      – Pur troppo!

      – Bene. Può darsi che arriviamo prima di quelli che verranno a farla. Ella ha tutta la fiducia di Benda e della sua famiglia?

      – Sì.

      – Ella dunque si affretterà a fare scomparire ciò che possa compromettere il suo amico.

      – È quello appunto che pensavo di fare.

      Abbiamo veduto come


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