Della scienza militare. BLANCHY
condottieri del decimoquarto e decimoquinto secolo, troviamo la serie di queste regole non interrotta. La campagna del gran capitano Gonsalvo sul Garigliano, quelle di tutta la scuola dei capitani spagnuoli sotto Carlo quinto, le sue imprese di Affrica, ove era indispensabile la cooperazione della marina militare che si personificava in Andrea Doria, tutto pruova il progresso in cui erano le combinazioni militari, giacché uno de' suoi segni piú evidenti è quello della combinazione degli eserciti con le armate di mare. Le guerre di Solimano e quelle dei capitani francesi del tempo sono pruove novelle che vengono ad avvalorare la nostra assertiva. Maurizio elettore di Sassonia era un generale pieno del vigoroso istinto della gran guerra, di cui vediamo indicato il carattere in tutti gli Stati belligeranti di allora. Ciò doveva essere, mentre il combattimento si era ingrandito, le guerre civili della feudalitá finite, le nazioni combattevano tra esse per mezzo di eserciti permanenti, con vasti spazi da percorrere, da conquistare, da difendere, e le campagne dovevano avere una durata corrispondente allo scopo della guerra. Tutte queste circostanze forzavano l'ingegno umano a svilupparsi nella direzione delle sue necessitá, per la qual cosa, come dicemmo, la strategia fu sentita, presentita e praticata, benché non composta ed elevata a grado di scienza. Queste istesse circostanze resero indispensabile un sistema di amministrazione militare, essendo divenuti gli eserciti colonie operanti. Ma l'imperfezione dell'amministrazione degli Stati faceva sentirsi nell'esercito, per cui la guerra era funesta alle contrade che n'erano il teatro; e basta la presa di Roma del contestabile Borbone, cosí per la cagione come per gli effetti, a far comprendere che cosa fosse l'amministrazione di un esercito del piú potente sovrano di que' tempi. Può dirsi per la tattica che le stesse enunciate circostanze che aveano fatto giungere gli spiriti elevati alle combinazioni della parte trascendente dell'arte, dovevano produrre lo stesso risultamento per muovere le masse che si urtavano tra esse, per ordinarne e sottometterne a calcolo i movimenti ed i loro effetti. Ma benché sembri piú naturale e piú ragionevole che la tattica, meno sublime nei suoi metodi, dovesse progredire prima della strategia, pur nondimeno il contrario è provato dall'istoria militare. Ed acuta quanto profonda troviamo l'osservazione di un uffiziale sapiente, vogliam dire del general Pelet, cioè non essere anche oggidí la tattica in armonia con la strategia, anzi dover fare assai progressi per livellarsi con quelli da questa fatti.
Con estrema diffidenza osiam proporre una spiegazione di questo fenomeno, e diremo, se cosí possiamo esprimerci, che la strategia, come tutto ciò ch'è generale nello scibile, si rivela piú facilmente al genio, qualunque sia lo stato della societá, mentre che la tattica, piú metodica e piú artistica, ha bisogno di piú condizioni prese nello stato generale della societá per fissarsi. Osiam ancor dire che in un'epoca poco inoltrata in civiltá si ritrovano uomini superiori che giungono con la forza del loro genio a penetrare le grandi leggi della natura, ma non a ridurle a metodo. I filosofi sono piú antichi della filosofia, i gran poeti della poetica ed i legislatori dei giureconsulti, come i capitani degl'ispettori. Del resto abbiamo veduto dall'incertezza degli ordini che produceva quella delle armi, che tattica non ve n'era, e non ostante accurate ricerche, noi non possiamo citare nelle battaglie di quell'epoca nessuna di quelle finezze dell'arte che restano modelli in tutt'i tempi per gl'imitatori illuminati3, come osservammo per le operazioni generali tra le quali citammo la guerra del gran capitano Gonsalvo di Cordova sulle rive del Garigliano.
Per la fortificazione e la guerra di assedio noi facemmo notare nel precedente discorso che l'Italia, essendo molto innanzi nella civiltá e coltivando tutte le scienze esatte, base della civile architettura e dell'idraulica, doveva naturalmente essere la prima ad applicarla all'arte militare. Infatti il Tartaglia di Brescia, il Lanteri, il Zanca, il Cataneo ed il Castrioto, e tutta la scuola celebre d'ingegneri militari che si riassume nel De Marchi, avevano esposto in teoriche chiare e positive la scienza della fortificazione e ne praticavano l'arte da per tutto, con Solimano come con Carlo quinto. Gli assedi di Rodi, di Malta, d'Algieri e di Granata confermano questo nostro detto, giacché si trovano ingegneri italiani che ne diriggono l'attacco o la difesa. Non solo a quei tempi alle torri venivano sostituiti i bastioni, ma Pietro di Navarra inventava la guerra sotterranea in Napoli e ne faceva la prima pruova; ed il Darçon osserva che la difesa esterna da lui e dal Carnot tanto raccomandata ai nostri tempi, era in quell'epoca praticata talmente che all'assedio di Granata di Ferdinando il cattolico vi fu un'opera esterna presa e ripresa trentasei volte.
Ora ci resta per seguire il nostro ragionamento a determinare l'ultima parte del problema, cioè lo stato delle scienze e della societá, per metterlo in comparazione di quello dell'arte militare che abbiamo giá esposto ed indicarne gli storici risultamenti.
La tendenza del secolo che abbiamo fatto osservare era doppia: aveva per oggetto di ristabilire la civiltá degli antichi e di entrare in quella che corrispondeva agli elementi ed ai destini delle moderne societá. Una combinazione comune legava queste due disposizioni, cioè quella di combattere il medio evo nelle sue massime e nelle sue istituzioni. Ma queste, forti del loro dominio e della loro durata, reagivano contra tutte le contrarie tendenze. Nello stato dello scibile si vede chiaramente questa lotta ed i suoi caratteri. L'amore dei classici dell'antichitá spinto fino alla superstizione faceva entrare la filosofia antica, la giurisprudenza ed il dritto romano negli studi dell'epoca, i quali dovevano combattere la filosofia scolastica ed il dritto canonico, che si difendevano e si amalgamavano a vicenda con questi nuovi elementi. La letteratura e le lingue della classica antichitá si trovavano nella stessa posizione in presenza delle nuove lingue europee e della letteratura che ne derivava nelle diverse nazioni formate sulla rovina dell'impero romano. Le scienze esatte contavano giá egregi cultori come Regio Montano, Liva Poggioli, Lucio di Borgo celebre nel calcolo algebraico, e Copernico che aveva applicato le matematiche ed il calcolo all'astronomia. La bussola ritrovata nel decimoquarto secolo, i nomi di Gioia, di Lullo e di Musa, l'invenzione della stampa circa il 1440, tutte sono pruove del progresso delle scienze in quel periodo. Le naturali non potevano fare gran passi, giacché le esatte non erano giunte ad un grado da renderne l'applicazione compiuta. Ma il carattere generale della coltura può riassumersi dicendo che la scienza era piú considerata come una serie di veritá la cui cognizione doveva soddisfare la intelligenza umana, che come una utile applicazione ai bisogni generali della societá; disposizione naturale a tutte l'epoche di creazione e di risorgimento, mentre vi sono degli sforzi che l'uomo fa per l'amore del bello e del vero piú che non farebbe per quello dell'utile.
Da quanto dicemmo possiamo dedurre che la separazione degli eruditi dagli uomini pratici, come delle scienze dalla loro utilitá pratica, fece sí che l'arte militare non trovasse in esse quei mezzi e quei metodi che corrispondevano al loro stato; il che aggiunge veritá al citato passo del Foscolo.
Ed invero non si vedono ancora né collegi militari né grandi arsenali di fabbricazione di armi, nel mentre che le universitá eran in gran progresso e le istituzioni di questa natura si stabilivano per le altre carriere pubbliche, quali la medicina ed il fòro.
Indicando brevemente lo stato dell'Europa al principio di questo discorso, abbiamo dato le idee preliminari che necessarie erano per far ben concepire lo stato sociale del periodo che ci occupa.
La prima considerazione che dee aversi presente per ben giudicare dello stato sociale nel decimoquinto secolo l'abbiamo indicata nel nostro secondo discorso, ove comparando e mostrando le differenze dell'arte militare delle nazioni antiche da quelle delle moderne, facemmo osservare che ciò che caratterizzava le nazioni antiche si era la loro differenza tra esse, la loro intiera ed originale individualitá; l'opposto di ciò che vedesi tra i moderni, presso i quali le differenze sono le eccezioni e le somiglianze la regola. Questo principio sussiste tanto per lo stato scientifico quanto per lo sociale. Ciò premesso, possiamo dire che ciò che caratterizza questi secoli si è che le nazioni cominciavano a ricreare l'unitá nazionale; la feudalitá decaduta dal grado di assoluta dominatrice pare aver servito d'istrumento a questa metempsicosi politica, che aveva trasformato in nuova vita le moderne nazioni dopo averle decomposte negli ultimi loro elementi. Ma la feudalitá era rimasta un elemento forte il quale aveva piú pretensioni che forze, piú forze però di quelle che dee avere chi fa parte dello Stato senza rappresentarlo solo. Debole come governo era formidabile come opposizione.
Le comuni al contrario erano deboli: incapaci di aver forza preponderante dovevano essere protette dal poter centrale contra il poter feudale, e secondo che questo decadeva, il poter centrale sentiva meno il bisogno di proteggerle
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In effetto tutte le battaglie si riducevano piú o meno ad un urto in ordine parallelo; la vittoria, il piú sovente riportata sopra un'ala, dava per risultamento il disordine che il vincitore subiva egli stesso per abbandonarsi ad inseguire il nemico: da ciò risultava che l'ala di questo che si era conservata piú intatta ne profittava per piombare sopra i suoi avversari rimasti cosí isolati, e colui che si credea vincitore al primo periodo si trovava vinto nel secondo. Allora come anche oggidí la vittoria restava a chi conservava le ultime truppe ordinate; con la differenza che ciò che allora il caso operava, oggidí costituisce l'arte dell'impiego delle riserve, che è il punto culminante della gran tattica e che caratterizza i generali di battaglia.