La plebe, parte III. Bersezio Vittorio
Eterno Iddio!.. Tu mi fai paura.
Il medichino si frenò di subito con quel dominio su se stesso che gli abbiamo già visto esercitar tante volte.
– Via, via, riprese egli con aspetto tornato tranquillo, pensiamo freddamente ai casi nostri… Abbiamo del tempo innanzi a noi; prima che la cosa possa venire scoperta, ci rimane agio ad immaginare e porre in esecuzione quel progetto che converrà meglio… Frattanto a te Ester che cosa sarebbe venuto in mente di fare?
Ester levò sul volto di lui i suoi grandi occhioni neri, e disse lentamente a voce bassa:
– Mi sembra che una cosa sola mi rimane da poter fare: fuggire, andare a nascondere la mia colpa all'abbominio de' miei ed all'ira di mio padre.
Gian-Luigi crollò le spalle.
– Fuggire!.. Dove?.. Come e in qual luogo trovare questo ritiro?
La fanciulla lo interruppe con accento quasi severo:
– Ho pensato che codesto era dover tuo e che tu l'avresti compito.
Il medichino non dissimulò un atto d'impazienza.
– Dovere! dovere! diss'egli. Eh! ho io ben altri affari e di maggior rilevo a cui pensare.
Ester impallidì nello stesso mentre che i suoi occhi lanciavano fiamme.
– Tu parli non solo come uno spergiuro, disse ella con forza, ma come uomo senza cuore.
– Ah! non facciamo delle frasi e non scendiamo a bisticciarci per carità… Io non ti abbandonerò certo, e se una fuga sarà assolutamente necessaria, bene, ti ci aiuterò; ma prima di sobbarcarci ad un tal passo, vediamo se non ci sarebbe altro mezzo…
– E quale? proruppe la giovane con impeto. Non sai tu che apprendendo la verità, mio padre è capace di uccidermi?
– Ah! se ci fosse costì sotto mano un qualche dabbene da sposare!..
Ester drizzò il capo con moto vivace di risentimento e di ripugnanza.
– Se tu parli per ischerzo, diss'ella con nobile fierezza, questi non sono nè il caso nè il momento da ciò; se parli dassenno oh che stima e che amore hai tu di me?
Gian-Luigi non rispose, assorto com'egli apparve in un nuovo pensiero che gli rendeva cupa la fisionomia.
– Ci sarebbe pure un mezzo, diss'egli a voce bassa, non osando guardare in volto la fanciulla.
Fece una pausa: essa si accostò ansiosamente per udire ciò ch'egli stava per soggiungere; il tristo continuava smorzando ancora di più il suono delle sue scellerate parole:
– La mia medicina me lo può dare questo mezzo…
Susurrò alcune frasi cui potè cogliere soltanto l'orecchio di Ester verso la quale egli si chinò.
La giovane rimase immobile, fissandolo con occhi larghi come di chi non capisce, ma uno sguardo ratto e vivissimo di lui parve di colpo rischiarare in essa il senso di quelle misteriose susurrate parole; Ester si arretrò con una mossa ed un grido di orrore.
– Mio figlio!.. Mio figlio! esclamò essa con forza: osereste attentare alla sua esistenza?.. Ma io lo difenderò contro tutto e contro tutti.
– Calmati, calmati; disse Gian-Luigi che parve non aspettarsi quello scoppio di indignazione.
Ma i commovimenti in quell'anima sensitiva di fanciulla da parecchi giorni sì frequenti e sì vivaci l'avevano indebolita ed affranta. Ester si diresse vacillando verso la seggiola su cui soleva stare e lasciandovisi cadere abbandonata, coprendosi con ambo le mani la faccia, ruppe in un pianto dirotto.
Il medichino strinse le braccia al petto e rimase immobile a guardarla; sul suo volto era un'espressione di durezza malvagia ed ironica: quella d'un uomo che ad un suo volere incontra un inciampo nell'altrui debolezza che non gl'ispira se non fastidio e disprezzo.
La vecchia Debora s'accostò con interesse alla piangente e volle dirle alcuna parola di conforto; ma Ester non le prestò menomamente attenzione.
A poco a poco l'espressione della faccia di Gian-Luigi si venne rimutando; in presenza di quello sfogo di dolore della povera fanciulla, il quale in realtà gli rivelava tutto ciò ch'essa aveva sofferto e soffriva, alcuna parte dei buoni istinti della sua natura, che tuttavia erano rimasti in lui, si suscitò e si commosse. I lineamenti del suo leggiadro volto si distesero, per così dire, abbandonando il maligno atteggio che li contraeva; una sembianza di pietà e d'affetto ne prese il luogo. S'accostò egli allora alla giovane, trasse in là bruscamente Debora che, stando sempre attorno ad Ester a dire di sue parole di conforto a cui non si badava, gli impediva il passo, e chinandosi verso la misera che piangeva, le prese una mano, glie la staccò con affettuosa violenza dal volto, e disse con voce veramente impressa d'amore questa sola parola:
– Ester!
In costei parve ritornata di subito la sua energia. Sorse di scatto, saettò il suo amante d'uno sguardo pieno di mille espressioni, e con forza d'accento quale danno soltanto le più accese passioni dell'animo, gli disse:
– In tutto codesto sai tu ciò ch'io scorgo di più tremendo per me e che mi rompe il cuore? Si è che tu più non mi ami.
Gian-Luigi volle protestare con un gesto: ma ella riprendendo con più vigore ancora:
– No, più non m'ami… Se tu m'amassi, mi avresti tu parlato a quel modo?.. Tutto il resto posso sopportare, tutto affrontare… anche lo sdegno di mio padre: ma questa sciagura no… Ella mi fa perdere il senno, ella mi fa capace di tutto, sai!
Pose le due mani sulle spalle del suo seduttore e stando lì faccia a faccia con aspetto di risoluzione in cui avreste detto esservi qualche cosa di feroce, continuò:
– Sì, capace di tutto!.. Oh con che passione, con che furore io t'ami, tu non hai ancora saputo discernere… T'amo da commettere un delitto se tu mi tradissi… Sono gelosa come donna forse non fu mai… Io, qui, nella mia solitudine, talvolta, pensando che tu lontano potevi parlar d'amore a un'altra donna, soltanto rivolgerle uno di que' tuoi sguardi infuocati che mi hanno incendiata l'anima, io soffrii e soffro degli spasimi mortali… Se tu cessi d'amarmi, morrò… Se ne ami un'altra… Oh! sono capace di ucciderla quella donna.
La esaltazione di questa giovane, ond'ella era fatta ancora più bella, commosse anche in quell'istante l'animo di Gian-Luigi. Rinacquero per allora le fiamme che in lui avevano desta la beltà della custodita fanciulla e la difficoltà di ottenerla; la cinse con appassionato amplesso fra le sue braccia, e le disse con accento di trasporto, in cui ciascuno avrebbe creduto sentire, e in quel punto era forse davvero la sincerità:
– Ma sei tu, donna mia, che io amo al mondo: che parli tu di altre, che temi tu di abbandoni o tradimenti?.. T'amo!, t'amo! t'amo!
La infelice Ester si abbandonò sul seno dell'amante con quella tenerezza e quell'intima gioia che le inondavano l'anima nei primi giorni dell'amor loro.
Ma in quella, ecco all'uscio d'entrata una mano che picchiava dal di fuori, e la voce del vecchio Jacob che per la toppa della serratura cacciava dentro queste parole:
– Apri, Debora, apri senza paura: son io.
– Misericordia! il padrone! disse la vecchia fante quasi con isgomento.
Ester si strappò dalle braccia dell'amante e fuggì come atterrita all'altro capo della stanza. Debora corse ad aprire.
Il rigattiere entrò col suo passo, col suo aspetto, colla sua guardatura cautelosi e diffidenti; la prima cosa che vide fu la lucernetta accesa sopra il tavolo a metà della stanza.
– Ecchè? diss'egli con voce piena di rampogna e di disgusto: non è ancora notte affatto chiusa e ci avete già il lume acceso! Che cosa vi salta in capo di sciupar l'olio di questa maniera?
Nello stesso tempo ch'ei parlava, il suo sguardo corse per tutta la stanza; vide in un canto lontano dalla tavola su cui era il lume, la figliuola seduta, il capo chino sopra certo suo lavoro, come se fosse intentissima ad esso, benchè il fioco chiarore della lucerna che appena giungeva sino a lei non fosse tale da bastarle a lavorare, si meravigliò ch'ella non gli