Della storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni, sommario. v. 2. Balbo Cesare

Della storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni, sommario. v. 2 - Balbo Cesare


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assoluto, severo, talor crudele, alla spagnuola; men cattivo, perché è sempre minore la cattivezza d’un principe nazionale e presente. Ordinò le cerne, o milizie del paese, ma piú simili a ciò che chiamiam ora «guardie nazionali», che non a veri corpi militari; ed intorno a sé guardie tedesche o spagnuole. Nel 1569, ebbe dal papa titolo di granduca, che non gli fu riconosciuto dall’imperatore. Protesse l’agricoltura, il commercio, Livorno, le lettere innocue, e cosí [1540] l’Accademia fiorentina, madre di quella della Crusca. In casa perdette due figliuoli a un tratto; e resta dubbio se fosse caso o misfatto. Alfieri ne fece una tragedia. Morì nel 1574. Successegli suo figlio Francesco I, giá molto dammeno. Congiuratogli contro, nel 1575, diventò crudele, dentro e fuori, a’ fuorusciti. Nel 1576, ebbe conferma dall’imperatore del titolo di granduca; nel 1579, sposò Bianca Cappello, una veneziana fuggita dalla casa paterna, e giá stata amanza d’un fiorentino, poi di esso granduca, finché visse Giovanna d’Austria sua moglie. E Venezia, che avea giá sbandita costei, la dichiarò ora figliuola della repubblica! A tale erano giunti giá i tempi, di farsi pubblicamente, legalmente, senza pretender necessità né utile, per semplice compiacenteria, le viltà. – Dei duchi minori non abbiamo a dir nemmeno molte successioni, ché in Urbino solo, a Guidobaldo della Rovere era succeduto nel 1574 Francesco Maria figliuolo di lui; ed in Ferrara, Parma e Mantova continuarono per questi vent’anni i medesimi Alfonso II d’Este, Ottavio Farnese e Guglielmo Gonzaga, giá accennati. – In Genova risorsero turbamenti che si potrebbon dire fuor d’etá, tra classe e classe di cittadini, tra’ nobili detti di «portico vecchio» e nobili di «portico nuovo» a cui s’aggiungevano i popolani; ma non avendo noi detto de’ turbamenti interni de’ comuni antichi dov’erano piú importanti, dove si disputava almeno della politica, dell’operosità, della parte a cui rivolger la città, non diremo di queste dispute le quali furono solamente di grado, o tutt’al piú di partecipazione ad un governo inoperoso. E continuavan i turbamenti nella suddita Corsica. E tra tutto ciò fu tolta Scio dai turchi ai Giustiniani, e cosí alla repubblica sotto cui essi la tenevano [1566]. – In Venezia tutto languiva nella solita pace e mediocrità. E ad essa pure fu tolta Cipro, una delle isole orientali, in quella guerra ch’ella fece contro a’ turchi dal 1570 al 1575, e in cui ella non ebbe se non una volta a Lepanto un vero aiuto dalla cristianità. Ei si vede: tutti questi Stati decadevano, sopravvivevano, s’ordinavano a sopravvivere. – Casa Savoia sola a crescere. Emmanuel Filiberto, non principe nuovo come i piú di costoro, non di famiglie sporcatesi nel salire alla potenza, discendente d’una lunga serie di principi buoni, provato dalla cattiva fortuna, e salito alla buona per meriti propri, riuniva cosí i vantaggi de’ principi antichi e de’ nuovi. Se ne seppe valere; e gran capitano a riacquistar lo Stato, fu gran legislatore a riordinarlo, perché lo riordinò secondo il secolo suo. Non restaurato ancora in tutti gli Stati suoi, nemmeno in Torino sua capitale, raunò gli Stati generali in Chambéry. Voleva farsene aiuto a’ suoi riordinamenti, trovolli ostacolo o ritardo; li sciolse, e non li convocò mai piú, né egli né nessuno de’ successori fino a Carlo Alberto, riordinator nuovo e piú grande secondo il secolo suo. Quindi Emmanuel Filiberto è vituperato da alcuni di noi altri presenti, quasi principe illiberale, usurpator de’ dritti popolani e costitutor di despotismo. Ma se è certo e santo che de’ vizi e della virtù è a giudicare nel medesimo modo in tutti i tempi, certo e giusto è pure che delle istituzioni è a giudicare diversissimamente secondo i tempi. E degli Stati generali od assemblee rappresentative e deliberative, ei bisogna ritenere che a que’ tempi elle erano informi, indeterminate nella loro composizione di nobili e deputati delle città, indeterminate nelle loro attribuzioni; ondeché, quali erano, o non servivano a nulla, come in Napoli e Sicilia; o non servivano se non a turbare, come in Francia e Inghilterra. E quanto a dire che Emmanuel Filiberto le avrebbe dovute o potute costituire coi modi nuovi, trovati cento e piú anni appresso in Inghilterra, e ducento e piú in Francia e altrove; questo sarebbe poco men che dire ch’egli avrebbe pur dovuto fare ne’ suoi Stati le strade ferrate. Io, per me, credo che Emmanuel Filiberto avrebbe fatte le assemblee de’ nostri tempi a’ nostri tempi; ma ch’ei fece a’ suoi tutto quello che era da essi. Il fatto sta, che intorno a quelli venne meno la monarchia rappresentativa in tutta Europa, in Inghilterra stessa; e sottentrò una monarchia quasi assoluta, ma che si può meglio dire consultativa, perché fu temperata quasi dappertutto da vari Consigli che contribuivano in fare o sancire le leggi. Nella sola Inghilterra, dove non erano e non si fecero tali Consigli dai principi, la lotta diventò piú forte tra essi e i parlamenti, piú franca tra assolutismo e libertá, e vinse questa due volte. E perché dopo aver abusato della sua prima vittoria… la libertá seppe all’incontro usare moderatissimamente della seconda, ad ordinarsi lentamente, meravigliosamente per un secolo e piú, perciò ella fondò, perfezionò, compiè colá quella monarchia rappresentativa che fece, che fa la felicità, la grandezza, il primato di quella nazione tra tutte l’altre cristiane; quella monarchia rappresentativa, che di lá venuta sessant’anni fa, va vincendo a gran colpi di rivoluzione, e trionfando su quasi tutto oramai il continente europeo, e trionferà, aiutante Iddio, su tutto. – Del resto, nell’anno medesimo che Emmanuel Filiberto chiudeva i suoi Stati generali, egli riordinò appunto que’ senati o corti supreme di giustizia, che mal vi supplirono tra noi come altrove, e regolò poi i tribunali minori. Nel 1561, incominciò ad ordinare la milizia nazionale; proseguì egli e proseguirono poi sempre tutti quanti i suoi successori, non eccettuati i men belligeri, in mutare e rifare tali ordinamenti; ora piú or men bene, ma sempre secondo i tempi e con operosità, con insistenza, con amore; tanto che non è cosa di governo in che’ si sieno essi compiaciuti, né cosa poi in che sieno stati cosí secondati da’ lor popoli. Gli ordinamenti militari, l’esercito, furono, se sia lecito dire, quasi patria costituzione ai piemontesi per poco meno che tre secoli. Ed ora cedano pure il passo a questa, ma di poco, in nome de’ destini del Piemonte e d’Italia, e della stessa monarchia rappresentativa. Libertà e milizia sono rivali altrove; ma (per la ragione che ognun sa, per le passioni ch’ognun sente) elle dovrebbon essere sorelle in Italia. Sieno almeno su questa terra intrisa di tanto sangue militare de’ padri, de’ fratelli e de’ figli nostri. Addì 17 dicembre 1562, Emmanuele Filiberto rientrò in Torino, e vi rimase poi quasi sempre, diverso da’ maggiori che prediligevano il soggiorno al di lá delle Alpi. Ed a Torino ricondusse, restaurata prima a Mondoví, l’universitá degli studi che n’era uscita durante l’occupazione straniera. Nel 1563, estintasi la discendenza diretta degli antichi marchesi di Saluzzo, il marchesato fu occupato da’ francesi, e s’accrebbe cosí di nuovo la potenza di essi nelle regioni subalpine. Nel 1564, il duca incominciò la cittadella di Torino; ed altre fortezze fece poi, ad imperio addentro, e difesa all’infuori. E nel medesimo anno incominciò ad ordinare le finanze. Nel 1565, aiutò Malta contro a’ turchi; e nel 1572, mandò sue galere a Lepanto, ed aiutò poi de’ suoi nuovi reggimenti or Francia or Austria contra gli acattolici. Contra quelli giá antichi ne’ suoi Stati, i valdesi dell’Alpi, si volse non senza inopportunità, od anche crudeltà per qualche tempo; ma lasciolli in pace poi. Nel 1573, ordinò che gli atti pubblici si facessero in lingua italiana; e sempre chiamò, protesse, pose nell’universitá di Torino letterati di altri paesi italiani. Egli fu primo a dirozzare i suoi popoli, beati o macedoni d’Italia; primo ad italianizzarli colla coltura. Nel 1574 solamente riebbe tutti gli Stati suoi, vuotati di qua e di lá da’ francesi e spagnuoli; e questo spiega e scusa come dieci anni addietro avesse sofferta l’usurpazione di Saluzzo. Dal 1576 al 1579, accrebbe gli Stati, comprando feudi imperiali dai Doria ed altri signorotti. Nel 1579 ordinò la zecca, e nel 1580 mori; cosí fino all’ultimo operando, legislatore, ordinatore, rinnovatore della sua monarchia. E tal vedemmo giá dopo le antiche origini Amedeo VIII; e tali vedremo uno o due altri poi di quella casa. Della quale resta cosí spiegato il perché, il come crescesse; come, sola forse fra le dinastie europee, continuasse senza rivoluzioni o mutazioni violente; fece ella medesima via via, sempre, indefessa, le mutazioni volute, ma prima che violentata dai tempi. I tempi mutan sempre; ondeché i veri conservatori sono quelli che mutan con essi; non gl’immobili, che a forza di resistere si fanno impossibili, e rovinano sé e altrui. Ad Emmanuel Filiberto debbono i posteri una nazionalitá che altri popoli loro invidiano, dice di lui uno scrittore italiano, non piemontese: noi consentiamo volentieri.

       14. Carlo Emmanuele I [1580-1630]. – La differenza tra Emmanuel Filiberto e gli altri legislatori italiani de’ venti anni addietro si vede chiara all’effetto ne’ primi lor successori. Progredí e fecesi grande quel


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