Scritti editi e postumi. Bini Carlo

Scritti editi e postumi - Bini Carlo


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cogli anni, allo scalpello inesorabilmente feroce del calcolo: storia tristissima e di molti fra noi. Carlo Bini uscì dalla prova vincitore, ma esausto: credente, e lo dico con gioia, nella fede in che noi crediamo, ma disperato del presente, di molti anni avvenire, degli uomini che gli formicolavano attorno, e della propria vita terrestre. «Sono, – egli mi scriveva il 16 agosto 1842, – sono un vecchio edifizio tutto franato, e non mi resta che un cuore tutto rughe e pieno di morti, e sull'estremo orizzonte dell'avvenire ho l'ospedale, dove pur non mi soccorra la morte di cui ho in mano una buona caparra. Nè mi manca la fede nei principii; e sebbene spesso la senta svenire e quasi estinguersi, sebbene spesso una crudele ironia mi sferzi lo spirito e lo faccia ammattire, questa fede la sento rinascere più ostinata e più verde; ma non credo in me e negli uomini che compongono l'epoca, – e compiango a lacrime di cuore quegli infelici che hanno immaginato di alzare un monumento con siffatti materiali, quegli infelici cui la natura gettò sull'anima il cilizio d'una volontà forte e perpetua, destinata ad abbracciarsi e lottare e logorarsi coll'impotenza. Io li compiango questi infelici, e nel tempo stesso li invidio, perchè almeno avendo tenuto fermo nella strada che scelsero, quando pure non giungano a nessun termine, avranno la coscienza di aver fatto il proprio dovere e morranno senza rimorsi. Ma molti, ed io primo fra tutti, non potremo morire senza rimorsi!» Povero Carlo! chi scrive sa meglio d'ogni altro che tu potevi morire senza rimorsi.

      Bini sdegnò d'essere letterato, ammirato da letterati. I pochi scritti ch'egli dettò, tutti a quanto io mi so senza nome, sgorgarono non da disegno premeditato, ma da circostanze imprevedute che gli suscitarono a tumulto le potenze del cuore. Puri d'ogni affettazione di lingua o di stile, caldi senza indizio di sforzo, candidi, ingenui, ritraenti del fare di Sterne, scrittore dei prediletti da lui, ma di Sterne con tutte le idee, con tutti gli affetti del XIX secolo, a me rendono immagine viva del suo sorriso; sorriso, come dissi, mestissimo, ma pieno di pietà e d'amore, senz'ombra di riazione, senza vestigio delle molte amarezze patite. E rimarranno, cari a tutti come la promessa, inadempita per colpa dei più fra noi, d'un ingegno originale e potente; preziosi a noi pochi che lo conoscemmo e non lo dimenticheremo mai più, come il ricordo d'una vita la più incontaminata, la più virtuosa, che ci sia stato dato d'incontrare in questi ultimi anni.

      Condannato dalla fortuna a occupazioni dalle quali si ribellavano tutte le tendenze dell'animo suo, affannato dal desiderio d'un Ideale ch'ei disperava di raggiungere in terra, roso, – e questo è tormento che i più negano, e nessuno forse, se non chi lo prova, può intendere, – dalla potenza che gli fremeva dentro e rimanevasi, per disconforto dell'Oggi, inoperosa al di fuori, Carlo Bini tra l'esser frainteso o profanato nell'espressione del suo pensiero, scelse il silenzio; ma lo ravvolse di tanta dignità, che parve, a chi lo conobbe dappresso, più eloquente d'ogni parola. Non si lagnava; avido d'amore, sdegnava il compianto; fors'anche lo tratteneva il timore di aggiungere, snudando le proprie piaghe, allo sconforto dell'anime giovani, che guardavano in lui ed erano men forti a reggere che non la sua. La sua era di quelle che s'affinano nella sventura. Tutta la vita sottratta all'intelletto di Bini si riversava nel cuore; nè, s'egli avesse trovato l'esistenza simile fin da' primi suoi giorni a un letto di rose, avrebbe potuto mostrarsi più affettuoso ai viventi che s'abbattevano in lui. Dall'attività d'amico ch'egli più anni addietro, spiegò per giovare, nelle strette d'una crisi di povertà, chi scrive codeste pagine, fino alla traduzione dal Tedesco ch'egli imprese poco tempo innanzi la morte, e quando il male che ce lo rapì lo travagliava minaccioso, per soccorrere col ricavato della vendita a un conoscente, io potrei citare una serie d'atti tali e tanti da onorare qualunque vita; ma non li cito perchè mi parrebbe offendere la santità del pudore ond'ei ricopriva le belle azioni della sua vita: ei benediceva, come soffriva, tacendo. Non so quanti vivano grati a Bini per aiuto, consiglio o conforti; son certo che non esiste un sol uomo il quale possa dolersene. Tendente al frizzo, s'adoprava continuo a correggere la natura, e lo temperava di tanta benevolenza che nessuno poteva patirne o adontarsene: intollerante e santamente sdegnoso solamente all'ipocrisia. Lento, ma tenacissimo, negli affetti, non li tradì mai per tempo, lontananza, o vicende: tradito egli stesso, rispettò il passato e non rispose che col silenzio. Serbò, perseguitato, contegno virilmente decoroso dell'uomo che dal primo all'ultimo anno della sua vita avea, com'egli stesso scriveva, «segnato una linea retta nella via dell'onore;» e tra pericoli, de' quali nè egli nè altri poteva segnare i limiti, andava cacciando sulla carta, con una quiete di bambino accarezzato, linee di tanta innocenza d'amore alla Madre, che paiono scritte da un'anima di fanciulla con una penna tolta all'ala d'un angiolo. Delle sue opinioni non parlo: le più importanti trapelano a chi sa intendere anche dai pochi scritti raccolti in questo volume. Amava religiosamente la Patria; nè, rara dote nei tempi nostri, mutò mai: migliorò; – come un bel cielo al tramonto, le facoltà del suo cuore andarono via via rasserenandosi quanto più egli s'accostava all'ultimo giorno. L'ingegno pronto ed acuto, l'osservazione diligentissima, il senso ch'ei possedeva squisito del Bello sotto qualunque anche poverissima forma si presentasse al suo sguardo, la singolare facilità con ch'egli potea trapassare dalle corde dell'onesta letizia a quelle della commozione più profondamente patetica, una insolita dolcezza di stile, e l'anelito all'Infinito, e l'anima nata ad amare e inchinatissima alla pietà, avrebbero forse in altri tempi fatto di Carlo Bini il Gian Paolo Richter dell'Italia; ma egli non avrebbe mai potuto scrivere a chi lo conobbe, libro migliore della sua vita.

      Morì côlto d'apoplessia, il 12 Novembre 1842 nell'età di trentasei anni1, dopo quaranta ore più che di agonia di letargo, in Carrara, dov'ei s'era per affari recato. Ma le sue ossa, trasportate devotamente per voto di tutti ed opera degli amici a Livorno, riposano dov'io forse non potrò mai più visitarle, a Salviano, nel cimitero.

      Nè gemo per lui; perchè gemerei? Il suo pensiero gli sopravvive, più potente a spandersi invisibile dal mondo migliore, ov'egli soggiorna, tra' suoi fratelli di patria; ed egli è salito a vita meno infelice e più pura. Gemo per noi che abbiamo perduto un amico, e non siamo certi fino all'ultimo giorno di meritar di raggiungerlo: gemo pei giovani che avrebbero potuto abbandonatamente specchiarsi e fidarsi in lui, e ai quali son tanto rare in oggi siffatte guide. E gemo dal profondo dell'anima pensando alle tante anime mie sorelle, simili a quella di Carlo Bini, che onorerebbero d'opere generose e di nobili scritti l'Italia, e si consumano, mentr'io scrivo, ignote a me, ignote a tutti, nel tormento d'un'impotenza decretata dai tempi, dall'egoismo ognor più invadente, e dall'inerzia vostra, o Italiani. Provvedete a quest'anime, o Giovani: è Bini che prega per esse. Voi avete dato onore d'esequie solenni e di tomba alla sua spoglia mortale: sia con voi il suo spirito e fate del vostro cuore un santuario della sua vita. Operate come se aveste raccolto in voi l'alito estremo del pensiero d'amore che lo animava. Educatelo devotamente attivi e diffondetelo sulla terra che Bini piangeva caduta. Amate la Patria come ei l'amava: ribeneditela d'entusiasmo, di fede, di Poesia: preparate ai vostri ingegni privilegiati quel popolo di credenti che Bini invocava. Oggi, comunque facciate d'abbellirle e onorarle, l'Angiolo dello Sconforto siede sulle tombe de' vostri cari, e la voce che noi moviamo per essi, e dovrebbe innalzare in religiosa lietezza l'inno della nuova vita, suona lamento inconsolabile e amaro.

      PRIMA PARTE.

      SCRITTI ORIGINALI

      MANOSCRITTO DI UN PRIGIONIERO

– 1833 —You smile? t'is better thus than sigh.Byron.

      V'è più ragione di ridere quando sei in fondo, che quando sei in cima; – almeno tu non temi più di dare la balta. Il riso dell'uomo felice può essere smentito da un punto all'altro. La Fortuna non fa contratti perpetui con nessuno. Il suo corso è a spirali, e non rettilineo. Oggi t'abbraccia, e ti mette sul capo un diadema; dimani ti taglia la testa, e la dà per balocco all'abietto, che faceva da sgabello ai tuoi piedi.

Epigrafe, che va per conto mio.

      CAPITOLO I

      Il cervello dell'uomo appena è in istato di esercitare le sue funzioni può rassegnarsi in tre scuole. Di queste una infallibilmente ne conoscete, – senz'altro le conoscerete anche tutte, perchè non sono arcani di astronomia; – son cose semplici, e dappertutto si sentono dire. Io nondimeno, a scanso di equivoci, mi stimo in dovere di nominarvele tutte e tre, secondo l'ordine naturale in cui giacciono fino dal principio dei secoli. Elle pertanto sono queste:

      Scuola


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Egli era nato in Livorno, il 1.º di Decembre 1806.