Il Quadriregio. Frezzi Federico
a rinfrescarsi alle chiare onde,
105 ponendo in elle le mani e le piante.
Ed alcun'altre stavan su le sponde
del fiumicello; e delli fiori còlti
facean grillande alle sue trecce bionde.
Ed alcun'altre specchiavan lor volti
110 nelle chiare acque, ed altre su pel prato
givan danzando per que' lochi incolti.
Cupido, ed io con lui, stava in aguato
dentro al boschetto, e ben vedevam quelle,
ed elle noi non vedean d'alcun lato.
115 Poscia ben cento di quelle donzelle
sciolson le trecce della lor regina,
le trecce bionde mai viste sí belle.
Sí come tra' vapor, su la mattina,
ne mostra i suoi capelli il chiaro Apollo,
120 e nella sera quando al mar dechina;
cosí Diana avea capelli al collo,
cosí splendea ed era bella tanto,
che a vagheggiarla mai l'occhio è satollo.
E poi ch'ell'ebbon fatta festa alquanto,
125 tennon silenzio tutte, se non due,
che alla sua loda comincionno un canto.
Delle due cantatrici l'una fue
Filena bella, che m'avea promessa
il dolce Amor con le parole sue.
130 E quando egli mi disse: – Quella è essa, —
pensa s'io m'infiammai, che la speranza
tanto piú accende quanto piú s'appressa.
Ond'io all'Amor: – Se quella a me per 'manza
hai conceduta, percuoti col dardo
135 costei, che in beltá ogn'altra avanza.
Ahi quanto piace a me quando la sguardo!
E cosa desiata, se si aspetta,
tanto piú affligge quanto piú vien tardo. —
Allor Cupido scelse una saetta
140 ed infocolla e posela nell'arco
per saettare a quella giovinetta.
E come cacciator si pone al varco
tacito e lieto, aspettando la fera,
e sta in aguato col balestro carco;
145 tal fe' Cupido e la saetta fiera
poscia scoccò, e, inver' Filena mossa,
il manto sol toccò lenta e leggera.
Quando le ninfe sentir la percossa
e nostra insidia a lor fu manifesta,
150 tutte fuggir con tutta la lor possa.
Sí come i cervi fan nella foresta,
quando sono assaliti, o' capriuoli,
se cani o altra fera li molesta,
che vanno a schiera, e alcun dispersi e soli,
155 e per paura corron tanto forte,
che pare a chi li vede ch'ognun voli;
cosí le ninfe timidette e smorte
fuggiro insieme, ed alcuna smarrita,
quando si furon di Cupido accorte.
160 Filena bella non sería fuggita,
se non che la sua dea la man gli porse:
tanto pel colpo ell'era sbegottita.
L'Amore, ed io con lui, al fonte corse,
dove le sacre ninfe eran sedute,
165 quando la polsa insino a lor trascorse.
Io non trovai se non ch'eran cadute
alle due cantatrici le grillande
de' belli fior, che in testa avieno avute.
Però a Cupido dissi: – Ov'è la grande
170 virtú dell'arco tuo, che tanto puote?
E 'l fuoco ov'è, che tanto incendio spande?
Se l'arco tuo giammai invan percuote,
perché ingannato m'hai colle promesse,
che m'han condutto in le selve remote? —
175 Non potei far che questo io non dicesse
col volto irato, e piú mi mosse ad ira
che del mio scorno parve ch'ei ridesse.
Poscia rispose: – Ov'io posi la mira,
quivi percossi, e quivi il colpo giunse
180 dell'arco mio, che mai invan si tira. —
E quel che segue, col parlar, soggiunse.
CAPITOLO II
Nel quale l'Amore prova per molti esempli che nessuno può far resistenza a lui ed alle sue saette.
– Né ciel, né mar, né aer mai, né terra
potêro al foco mio far resistenza,
né all'arco dur, che mai ferendo egli erra.
Dall'alta sede della sua eccellenza
5 fatt'ho discender piú fiate Iove
colle saette della mia potenza.
E lui mutai in cigno ed anco in bove,
ed in altre figur bugiarde e false,
senza mostrar le mie ultime prove.
10 Nettunno freddo in mar tra l'acque salse
accese tanto il mio fuoco sacrato,
che l'Oceáno estinguer non gli valse.
Ma