Fra Tommaso Campanella, Vol. 2. Amabile Luigi

Fra Tommaso Campanella, Vol. 2 - Amabile Luigi


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nuovo) e taluni fra' rivelanti tardivi di Catanzaro, Gio. Tommaso di Franza, Mario Flaccavento, Tommaso Striveri. Or sapendo che furono tormentati non più di sei o sette ecclesiastici, è facile vedere il numero de' laici tormentati, per quanto le cifre suddette lo consentono; e ben s'intende che nessuno di costoro confessò cosa alcuna relativamente a sè stesso, non già relativamente al Campanella e a fra Dionisio. Massime que' tre di Catanzaro sopranominati non poterono certamente contraddire le prime loro deposizioni; e difatti anche nel processo di eresia ebbe a vedersi più tardi Mario Flaccavento, insieme con Felice Gagliardo e con Camillo Adimari, sollecitare Giuseppe Grillo perchè deponesse contro fra Dionisio49. Il Campanella scrisse pure che lo Xarava diede a due de' sopra nominati le cartelle «di quello haveano a dire»: evidentemente le cartelle, se ve ne furono, doverono contenere il ricordo di ciò che essi avevano deposto in Calabria. Da parte nostra possiamo aggiungere soltanto il nome di qualche altro de' laici, che figurò pure nel processo di eresia ed ebbe ivi occasione di far motto del tormento sofferto: tale fu Felice Gagliardo, che disse avere avuto «a morire» nella «seconda corda» che gli diedero in Napoli; ma ciò avveniva abbastanza più tardi, nientemeno che verso il marzo 1602, onde rimane dimostrato che tutto questo lavoro durò molto a lungo.

      Circa i contumaci poi, dietro documenti da noi trovati nel Grande Archivio, possiamo dire che non si mancò di venire alla «forgiudica» per parecchi di loro, e non sempre in sèguito di indizii gravissimi. Come abbiamo accennato altrove, con questa parola «forgiudica», parola non giuridica ma di uso comune nel Regno, s'intendeva di costituire gl'inquisiti fuori ogni adito al giudizio, ovvero di giudicarli fuori giudizio, se a questo non si presentassero fra un certo termine; il quale termine le Costituzioni del Regno prescrivevano dover essere un anno, ma la licenza del Principe potea ridurre a pochi giorni e perfino ad ore! Si pubblicavano i bandi per citare gl'inquisiti a comparire personalmente «ad informare ed a' capitoli», e i bandi, intrinsecamente mortali, erano connessi all'annotazione de' beni: fatta poi e letta la sentenza, i rei si avevano per confessi, non potevano appellarsi nè supplicare, nè erano ascoltati nella causa principale; si ritenevano morti e i loro beni venivano confiscati, ognuno poteva ucciderli impunemente e i loro cadaveri non potevano esser seppeliti, potevano bensì, con certe regole, essere rilasciati per l'anatomia. Del resto, tanto prima che dopo la sentenza, si potevano opporre non poche eccezioni e capitoli, sia dagl'inquisiti medesimi, sia da' loro consanguinei. Una prima lettera Vicereale concesse a Marc'Antonio d'Aponte facoltà di dichiarare forgiudicati, con termine abbreviato, parecchi che a relazione di lui e di D. Giovanni Sances erano stati dichiarati contumaci ad informandum et ad capitula nella causa della «sedutione de congiura»: la lettera reca la data del 31 dicembre 1599. I contumaci erano: «Alexandro tranfo di tropea, Gio. francesco d'alexandria di Monte lione, Marco ant.o Contestabile di stilo, Matteo famareda di Catanzaro, Geronimo baldaya di Squillace, pietro paulo santa guida, Antonio verlino di S.ta Caterina, francesco antonio de lo Joyo di girifalco et Tolivio de lo doce de satriano»: il Vicerè accordava «di possere abreviare il termine dela forgiudicatione alli sopradetti contumaci, prefigendoli termine di giorni venti à comparere… non obstante la constitution del Regno, che vole il circolo dell'anno per possere declarare forgiudicati»50. Riesce certamente notevole il non vedere compreso in questo elenco l'amico intimo del Campanella e compare di Maurizio, Gio. Gregorio Prestinace: ma venne più tardi anche la volta sua; abbiamo difatti rinvenuta un'altra lettera nel senso medesimo, esclusivamente per lui, ma scritta circa dieci mesi dopo la sopradetta, nell'ottobre 1600, e ciò conferma che pure da questo lato il lavoro fu lungo51. Con ogni probabilità non mancarono altre deliberazioni contro altri contumaci di Calabria: le evidenti e sconfortanti lacune, che presentano le scritture rimasteci nel Grande Archivio, ci autorizzano a ritenerlo. D'altronde l'elenco soprariferito ci presenta non solo nomi d'individui de' quali abbiamo avuto notizie più o meno ampie dagli Atti processuali che ci sono rimasti, ma anche qualche nome d'individuo che ci riesce del tutto nuovo. Non parliamo di Marcantonio Contestabile e di Gio. Francesco d'Alessandria, citati ampiamente da moltissimi testimoni: ricordiamo soltanto che il Famareda fu citato da Fabio di Lauro come particolare amico ed ospite di Maurizio de Rinaldis, il Baldaia fu perquisito e trovato possessore di una lettera di Maurizio a Gio. Francesco Ferraima e di poi citato dal Vitale qual complice in colloquio con Maurizio e raccoglitore di fuorusciti per conto di lui, il Dell'Joy fu citato dal Biblia e poi dal Mileri come complice in colloquio col Campanella e fra Dionisio, il Dolce fu citato dal Pistacchio come compagno di Maurizio nell'andata a Davoli, il Santaguida fu citato da più testimoni come uno degl'individui di S.ta Caterina i quali salirono sulle galere turche e vi rimasero più di un'ora, ciò che verosimilmente fece del pari il Verlino (leg. Merlino) anch' egli di S.ta Caterina. Ma quell'Alessandro Tranfo non si rinviene citato da alcuno negli Atti processuali in nostro potere finoggi, e ciò mostra che non conosciamo davvero quanto si fece pe' laici, e che ve ne furono altri, forse in numero ragguardevole, tuttora rimasti ignoti. Notiamo qui che documenti da noi trovati ci mostrano questo Alessandro Tranfo, figlio di Jacovo Giovanni Barone di Precacore (o Crepacore) e di S. Agata, qualificato Barone egli medesimo poco dopo il periodo di tempo di cui trattiamo, con ogni probabilità per «refutazione» fattagli dal padre, il quale morì più tardi, nel 161152. A tempo della congiura avrebbe avuto appena 19 anni, e dovè essere di quelli ricercati da Maurizio dopo il convegno di Davoli, allorchè Maurizio andò in giro per parlare a Gio. Battista Soldano (egualmente di Tropea) e ad altri. Insieme col Barone di Cropani, egli va compreso nel gruppo dei «Baroni Provinciali», che secondo il Giannone parteciparono alla congiura del Campanella «in numero ben grande», e non furono da lui nominati nella sua Istoria civile per rispetto alle loro famiglie: noi pertanto conosciamo solamente i due anzidetti, e dobbiamo dire che ve ne furono senza dubbio parecchi altri. Dietro laboriose ricerche siamo veramente pervenuti a sapere che varie famiglie dei carcerati di Calabria possedevano feudi rustici, e basterà citare i feudi di Guarna e Palermiti per gli Striveri, Pantano Pratovecchio e Tornafranza pe' Susanna, Caiazza pe' Salerno, Montalto pe' Dolce, S. Andrea con Turchisi e Caria pe' Vella imparentati mercè matrimonio a Gio. Gregorio Prestinace; ma non ci consta che a que' tempi i possessori di feudi rustici si fregiassero del titolo di Baroni, e ci sembra chiaro doversi dire che più individui siano rimasti ignoti, avendo la congiura, o almeno la repressione della congiura, avuto proporzioni assai più larghe di quelle che siamo in grado di ammettere finoggi, come per altro apparisce assai bene dall'estensione del territorio che diede inquisiti. Del resto, se non sappiamo i nomi de' molti Baroni propriamente detti, sappiamo che molti tra' carcerati appartenevano a famiglie nobili riconosciute: basterà fare avvertire che tra' soli carcerati di Catanzaro, oltre quelli sopra nominati, anche il Franza, i due Cordova, il Famareda, il Giovino, appartenevano a «famiglie nobili serrate», come rilevasi dal D'Amato, che ne fa distinta menzione e ne offre i rispettivi stemmi53. – Notiamo poi che il tribunale di Napoli, coll'anzidetto elenco di forgiudicati, ci si mostra più severo di quello di Calabria: poichè se pel Baldaia, lasciato dapprima in pace, emerse la testimonianza posteriore del Vitale che aggravò gl'indizii contro di lui, pel Merlino e pel Santaguida non s'intende quali nuovi indizii fossero venuti in campo, mentre un altro Santaguida ecclesiastico, come vedremo a suo tempo, fu incolpato dello stesso fatto e subito apparve catturato senza fondamento. Dobbiamo del resto aggiungere, che se fu spiegata tanta severità per alcuni, nessun provvedimento risulta preso per altri non meno gravemente indiziati, come in verità è accaduto sempre in tali faccende sino a' giorni nostri. Ognuno p. es. crederebbe che i fuorusciti nominati dal Campanella nella sua Dichiarazione scritta, i figli di Jacobo Grasso, il figlio di Nino Martino, Carlo Bravo, i Baroni di Reggio, fossero stati immancabilmente perseguitati; lo stesso si crederebbe p. es. per Geronimo Camarda, colto nientemeno che in corrispondenza con Claudio Crispo; invece documenti che abbiamo trovato intorno a tutti costoro mostrano persecuzioni e catture pe' loro delitti comuni, senza che sia mai citato il delitto di ribellione, onde si deve conchiudere che da questo lato siano stati veramente lasciati in pace. Ma di ciò più tardi, quando con la nostra narrazione giungeremo agli anni successivi, ne' quali vedremo da una parte assoluzioni e rilasci, da un'altra parte la cattura e l'invio in Napoli di taluno de' forgiudicati sopradetti e del rispettivo manutengolo.

      Sorgeva intanto il nuovo anno 1600, e il Breve Papale, per cominciare a procedere contro gli ecclesiastici,


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<p>49</p>

Ved. Copia ms. de' processi eccles. tom. 1.o fol. 132.

<p>50</p>

Ved. Doc. 217, pag. 115.

<p>51</p>

Ved. Doc. 218, pag. 115.

<p>52</p>

Nella Numerazione de' fuochi di Tropea per l'anno 1595, vol. 1398 della collezione, si legge: «n.o 60. M. Jacovo Giovanne Tranfo a. 65; M. Ipolita Barone moglie a. 56; (*) M. Alessandro f.o a. 15; Isabella f.a a. 18; Cassandra f.a a. 11; Caterina schiava a. 30; Pietro schiavo an. 35; Giovanne schiavo a. 10; Fabritio schiavo a. 5. [ Barone de la terra de crepacore (sic) et del Casale de sant'Agata» etc. – Per la successione di Alessandro Tranfo al padre ved. i Rog. delle Significatorie de' Relevii. – Un altro documento intorno a lui troverà posto nel sèguito della narrazione.]

<p>53</p>

Ved. D'Amato, Memorie historiche dell'illustr.ma famos.ma e fedel.ma città di Catanzaro, Nap. 1670.