Fra Tommaso Campanella, Vol. 2. Amabile Luigi

Fra Tommaso Campanella, Vol. 2 - Amabile Luigi


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e tra' varii istrumenti di morte è citata pure la sega, ciò che aggiunge qualche cosa anche alla credibilità dello strano supplizio già destinato a Maurizio in Calabria. Vi brillano poi i concetti elevati e i consigli virili al maggior segno; vi si canta

      «… sol la virtù de' vostri petti

      l'orgoglio del tyranno affrena e lega»;

      vi si esalta il glorioso e bel morire per la libertà, e vi si dice

      «Qui dolce libertà l'alma gentile

      ritrova, e prova il ver, che senza lei

      sarebbe anchor il paradiso vile».

      Ma oltre gli eccitamenti in generale, diretti a' frati rimastigli fedeli, il Campanella diresse anche qualche eccitamento in particolare, p. es. al Petrolo, che sperava poter ricondurre a fedeltà; così dettò quel Sonetto che fra Pietro intitolò «in lode di fra Domenico Petrolo», e che veramente si deve dire di sollecitazione a ritrattarsi:

      «Venuto è 'l tempo homai che si discuopra,

      Petrolo mio, l'industriosa fede

      che serbasti all'amico, e già si vede

      ch'à tutte l'altre questa tua và sopra.

      Mortifera, infedel, empia, ingrata opra

      far simolasti, ch'a lui vita diede» etc.120.

      Non si sarebbe potuto adoperare modi più insinuanti, facendo ottimo viso a pessimo gioco; s'intende quindi che il Petrolo ne sia rimasto convertito, come mostrò con la sua deposizione del 29 gennaio, ma pur troppo per brevissimo tempo.

      Cominciata in sèguito la causa, sostenuto l'esame ed essendo in corso le confronte, precisamente al cadere del gennaio 1600, il Campanella rincorato dovè scrivere quel magnifico Sonetto «a sè stesso», che fu poi pubblicato dall'Adami e che comincia coi noti versi:

      «Legato e sciolto, accompagnato e solo

      chieto, gridando, il fiero stuol confondo,

      folle all'occhio mortal del basso mondo» etc.122;

      le quali ultime parole dinoterebbero il valore dato da' Giudici alle profezie e presagi, che egli dichiarò averlo guidato a ritenere imminenti grandi mutazioni. Di poi sofferta la dimora nella fossa del miglio e quindi la tortura, fatta in questa la sua confessione, non dovè mantenersi in tanta fiducia, e lo mostrerebbe il Sonetto «alla Beata Ursula napolitana a cui si raccomanda», inserto nella raccolta dopo il precedente121: tutto il Sonetto esala lo sconforto del Campanella, che in quel momento sperava soltanto in una protezione superiore;

      «Pregoti per l'honor del sacro manto

      di cui spogliato incorsi in gran ruina,

      ....

      E canterò tornando al mio bel nido

      il fin de' miei travagli» etc.

      inutili speranze, desolanti ricordi. Ma non dovè tardare a sentire tanto maggiormente il bisogno di ravvivare la fede ed anche l'affetto de' suoi compagni, e crederemmo che dapprima gli abbia data una buona occasione la fermezza di fra Pietro di Stilo nel respingere le esortazioni di Maurizio a seguire l'esempio suo e a confessare: così alla 2a metà di febbraio e 1a di marzo ci parrebbe potersi assegnare i due Sonetti «in lode di fra Pietro di Stilo» seguìti da' tre «in lode del Rev.do P.e fra Dionisio Pontio»123; l'essere stati posti nella Raccolta in ordine inverso ben può spiegarsi con la classificazione della relativa importanza data da fra Pietro Ponzio a' frati compagni del Campanella. Fra Pietro di Stilo, che aveva tanto poco partecipato alle speranze ed a' maneggi della congiura, soffriva tanti disagi e maltrattamenti per l'affetto al Campanella, su cui vegliava assiduamente e senza ritrarsi per qualsivoglia motivo; così ben si spiega tutto il contesto de' due Sonetti, ne' quali si vede pure il Campanella tuttora sconfortato:

      «Sino all'inferno un cavalier seguìo

      l'avventurato amico à grande impresa.

      ....

      Frati, amici, parenti, chi mi nega,

      chi più ingrato mi trade, e mi maligna (int. il Pizzoni)

      chi non volendo nel mio mal si piega (int. il Lauriana).

      Solo il travaglio e la rabbia maligna

      titulo in fronte del tuo honor dispiega

      Rè della fede chi mai non traligna.

      ....

      Fedel combattitor, mai non s'estingue

      più il nome tuo, poiche serbasti solo

      virtù, religion, patria, et amici».

      In tal guisa il Campanella, pieno di gratitudine, onorava fra Pietro Presterà, «Pietro suo», come poi lo disse nell'opera ricomposta Del Senso delle cose: ma per fra Dionisio il caso era abbastanza diverso. «Senza dubbio fra Dionisio avea motivo di dolersi del Campanella, che già prima nella Dichiarazione, ma poi anche peggio nella confessione in tortura, avea rivelato l'esistenza di un concerto per fare la Calabria repubblica compromettendo lui; ed avendo sostenuto il polledro con tanta fermezza, verosimilmente la sua vanità lo conduceva tanto più a sparlare del Campanella, il quale, fin dal 1o Sonetto, «senza voce, afflitto e lento» ne carezza al maggior segno la vanità:

      «Cantai l'altrui virtuti, (int. di Maurizio), hor me ne pento

      Dionigi mio, non havean senno vero» etc.

      Umiliato per non essere riuscito, all'opposto di lui, nella prova del polledro, il Campanella spiega la cosa con una finzione poetica, ma anche più curialesca, e infine si rivela disposto a soggiacere a tutto:

      «In me tanto martìre io non soffersi

      ch'in te stava il valor, el senno mio,

      e solo al viver tuo fur ben conversi.

      S'a te par, io men vado, o frate, a Dio

      nè chieggio marmi, nè prose, nè versi,

      ma tu vivendo sol viverò anch'io».

      Il 2o Sonetto, che risente troppo del gusto triviale del tempo, torna sull'argomento e glorifica fra Dionisio perfino con la testimonianza degli spiriti di Averno; ma vi si fanno notare i seguenti versi,

      «Sfogaro mille Spagne e mille Rome,

      al tuo martir unite, l'odio interno».

      Il 3o Sonetto loda fra Dionisio per l'altro atto suo, per le confronte, le quali davvero non si scorge da qual lato potrebbero dirsi gloriose; e l'innesto, che vi si trova, dell'arme de' Ponzii, del giuoco degli scacchi e cose simili, apparisce una concessione al gusto non solo de' tempi ma anche de' Ponzii: nè bastarono i tre Sonetti, e più tardi ce ne volle ancora un quarto. Ma bisogna per ora aggiungere che oltre a questi sinora detti vi fu anche il Sonetto «al sig.r Gio. Leonardi Avvocato de' poveri», Sonetto tirato addirittura co' denti, manifestamente obliato tra le poesie del 1o gruppo e posto di ripiego tra quelle del 2o: esso deve riportarsi per lo meno alla fine del febbraio, poichè allude alle difese che il De Leonardis già scriveva, ed agli argomenti che preparava quale Avvocato comune a tutti i frati

      «Contra l'ombra di morte accesa lampa»124.

      Sicuramente poi nel marzo e prima metà di aprile la mente del Campanella fu tutta rivolta alla prosa e non alla poesia: basta ricordarsi de' due colloquii notturni passati tra lui e fra Pietro Ponzio, il 10 e il 14 aprile. Ma a quest'ultima data appunto fra Pietro gli annunziava di avere «sparso per tutta Napoli» i Sonetti, il Campanella annunziava di volerne comporre uno pel Nunzio, fra Pietro gli chiedeva in grazia di voler comporre prima quelli per lui e per suo fratello. Attenendoci più che


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<p>120</p>

Ved. Doc. 451, pag. 554.

<p>122</p>

Ved. Doc. 439, pag. 550.

<p>121</p>

Ved. Doc. 440, ib.

<p>123</p>

Ved. Doc. 449 e 450, pag. 554; dippiù gli anteriori 444-46, e 448, pag. 552-53.

<p>124</p>

Ved. Doc. 464, pag. 559.