Fra Tommaso Campanella, Vol. 2. Amabile Luigi
fatalmente le mutazioni non avessero fornita l'occasione». Egli non merita pena, avendo solo razionalmente dubitato pe' segni o per le profezie; nè è responsabile dell'essere molti morti per questa causa, poichè tutti erano omicidi, e Dio permise che morissero per avere abusato de' detti di fra Tommaso e per gli altri loro peccati. Anche le predicazioni degli Apostoli e de' Profeti eccitarono molti rumori, ma la predicazione di fra Tommaso fu a vantaggio della repubblica sì del Re che del Papa. I socii di Catilina convinti e confessi di congiura per mettere a fuoco la patria e distruggere il Senato, avendo giurato col bere sangue misto con vino, perchè non giunsero a consumare la loro scelleraggine, trovarono una parte di Senatori che con Cesare disse non doversi dare loro la morte: e non troverà misericordia presso cristiani fra Tommaso, che non commise scelleraggine, non si ricinse di armi, non mosse a sedizione… nè è suddito, nè Principe o potente da cui possa temersi qualche cosa? I Dottori dicono, che è in facoltà del giudice consegnare o no un clerico alla Curia secolare, vista la condizione della persona: la condizione deve intendersi relativamente all'atto in quistione non già relativamente ad ogni altra cosa, e qui c'è difetto di condizione spettante alla sostanza dell'atto, poichè essendo fra Tommaso inabile a ribellare e per natura, e per fortuna, e per professione, non deve credersi che abbia cercato di ribellare, anche quando fosse un cattivo soggetto. Oltracciò il Papa nel suo Breve dice che si consegnino alla Curia secolare coloro i quali sono legittimamente convinti, e fra Tommaso non è convinto, sia perchè manca il corpo del delitto, sia perchè i testimoni sono complici, nemici e scellerati, ed anche varii intorno alla cosa, al modo, al luogo e al tempo. E la convinzione deve intendersi nel senso del reato commesso, non già soltanto voluto, e se la convinzione manca, la condanna deve pronunziarsi secondo il dritto canonico, non secondo il dritto civile: nè la ragione politica lo consiglia, poichè è odioso lo spargere il sangue di un sacerdote, massime pel motivo di profezia; e il popolo lo loderebbe quando avvenisse qualche sciagura. Tutti i testimoni ne' tormenti negano di essersi accordati con fra Tommaso intorno alla repubblica; adunque fra Tommaso fu solo a volerla, ciò che è impossibile, e così essi lo assolvono, e «mostrano fra Tommaso aver detto questo nella sua confessione pel minor male, sotto l'impressione del tormento, macerato dal carcere, dalla fossa e dall'inedia».
Ed ecco la conclusione: «Meglio è che sia messo in custodia fino al tempo della predizione sua, sì che il popolo ne vegga la falsità, ovvero si penta acciò non accadano i mali quando siano veri; come avvisava Geremia… Che se avvenga danno al Regno, egli si offre di risarcirlo al doppio; poichè della morte sua il Regno non rimane edificato ma scandalizzato, laddove si verifichi qualche sciagura, come apparisce dalla perdita delle navi sofferta 129. La morte è una cautela di mali futuri, non già de' passati: a ciò meglio provvede il carcere in materia di predizioni e novità». E ripigliando le sue considerazioni sul processo aggiunge di non dover morire, perchè non è ribelle nè di 1a nè di 2a intenzione, perchè non è convinto, perchè seguendo il fato predisse e desiderò preparare un bene da un male; e le inimicizie, tra tutti quelli che volevano ciò, mostrano non esservi stato tra loro alcun proposito di ribellare, poichè la cospirazione esige l'unione degli animi e molta confidenza, e tra loro non ve ne fu; vi fu abuso delle predizioni da parte di taluno. La ribellione non venne dimostrata con qualche atto, ma solo concepita nell'intenzione; null'altro il fisco può provare dal processo, ma non si può provarlo nemmeno dalle parole di fra Tommaso agli altri, poichè egli poteva altro dire ed altro intendere; ma dalle parole sue nel tormento non si prova l'intenzione di ribellare, bensì il contrario, e però contro di lui non c'è nulla. Finisce chiedendo i suoi libri e la facoltà di essere esaminato, e dimostrando che non si deve seguire il Palermitano, il quale dice che nel caso di delitto di ribellione il clerico ha da essere consegnato alla Curia secolare, poichè le teoriche di costui non sono soltanto erronee ma perfino eretiche130.
La «2a Delineatio» è rappresentata dagli Articoli profetali. Sono 15 articoli ne' quali il Campanella mostra la necessità di occuparsi de' segni e delle profezie, espone e giustifica quanto avea raccolto in tale materia, ed infine ricorda anche i segni speciali visti in Calabria, onde era stato condotto a determinare l'inizio delle imminenti mutazioni nel 1600 e nel primo settenario del nuovo secolo. Andremmo troppo in lungo nel volerne dar conto; e trattandosi di cose le quali riescono a chiarire il punto di partenza della sua azione, ma non propriamente la sua azione ne' fatti della congiura, crediamo bene potercene dispensare. Egli li scrisse in aggiunta alla sua 1a Difesa, per dimostrare «che non si era infinto allo scopo di covrire un male», come appunto ivi dichiarò; non rappresentavano quindi propriamente una difesa, ma un allegato della difesa, e questo si rileva anche dalla loro intestazione. Il Campanella si proponeva di svolgerli innanzi a' Giudici coll'aiuto del libro sulla Monarchia de' Cristiani e del libro sul Regime della Chiesa, l'uno in potere del Card.l S. Giorgio, l'altro lasciato in Stilo; e chiedeva questi libri, e si protestava della nullità degli atti se i libri non fossero dati, come si legge appunto nella fine degli articoli.
Dobbiamo ora fare qualche commento su queste Difese, e segnatamente sulla 1a di esse. Lasciando da parte la forma, notiamo che varii tentennamenti appariscono ne' concetti medesimi esposti dal Campanella, ed in ultima analisi non è assolutamente negato il fatto di un disegno partecipato con sollecitazioni a diversi aderenti, banditi e non banditi, di un concerto per far la repubblica nei monti, avvalendosi di mutazioni in vista ed aiutandosi con le armi e le prediche; ma questo fatto è semplicemente attenuato e fornito di spiegazioni, il cui valore doveva senza dubbio riuscire quistionabile assai nella mente de' Giudici. D'altronde non si vede efficacemente combattuto il cumulo di testimonianze raccolte contro di lui, ma anch'esso appena attenuato e fornito di spiegazioni non sempre felici; sicchè non è pienamente negata la reità, ma solo rimpiccolita al punto da respingere per essa la pena di morte ed ammettere la pena del carcere indefinito. Mentre si propone di sostenere che non abbia cospirato, comincia col dimostrare che «non fu mosso a cospirare nè dall'ambizione nè dalla malevolenza, ma guidato dalla profezia»; intende di provare non esservi stato concerto, e frattanto parla di «coloro i quali aderirono a lui con retta intenzione», e spiega che «volle servirsi de' banditi non come nemici del Re, ma come uomini armati convertendoli al bene, e propose di servirsi anche di uomini probi non banditi»; ed è superfluo insistere sul buio fitto della natura delle mutazioni, della condizione della repubblica da fondarsi, del Regno sacerdotale unico «utile al Re prima che al Papa», dell'essersi mosso a preparare la repubblica «per istinto divino e perchè spettava a' Domenicani il prepararla», e parimente degli scopi singolari affibbiati a tale repubblica. Non riesce poi certamente a combattere i testimoni dicendoli «complici e scelleratissimi», giacchè l'esistenza del reato veniva con ciò tristamente ribadita, e per la giurisprudenza del tempo nel reato di Maestà anche i complici valevano a convincere; nè riesce esatto dicendo che «tutti ne' tormenti aveano negato di essersi accordati con fra Tommaso intorno alla repubblica» e però fra Tommaso sarebbe stato il solo a volerla, mentre invece taluni erano risultati confessi di avervi direttamente o indirettamente aderito. E guardando alle obiezioni avverso ciascun testimone, debolissime riescono p. es. quelle fatte al Petrolo, e quanto al Pizzoni, niente di serio prova l'enumerazione delle sue scelleraggini ed infamie passate, le quali non aveano mai impedito che fosse corsa tra lui e il Campanella una grande intimità; nè prova molto la ritrattazione da lui fatta ma non mantenuta, e l'essere stato bilingue prova tutt'al più che gli avea mancato di fede, denunziandolo in un reato nel quale erano complici, ma non che il reato era stato da lui inventato. Quanto al Caccìa ed al Crispo, non riescono facilmente ammissibili le spiegazioni date per mostrare la loro inimicizia verso di lui, mentre egli si era mantenuto in istretta relazione con loro, e massime con l'ultimo avea tenuto una corrispondenza scritta, assai compromettente e caduta nelle mani del fisco; quanto al Pisano ed al Vitale, è vero che costoro non aveano mai parlato con lui, ma aveano pur troppo parlato co' due suoi più attivi compagni, fra Dionisio e Maurizio, l'uno lasciato dal Campanella assolutamente nell'ombra, l'altro posto sotto una luce orribile; d'altronde, circa le ritrattazioni avvenute per taluni di costoro in punto di morte, esse a quel tempo nemmeno godevano molto credito, sapendosi che erano troppo spesso dovute alle istanze de' superstiti, e alla credenza che fosse opera cristiana e meritoria l'aiutarli. Quanto a Maurizio, l'inimicizia di costui non riesce concepibile, mentre in tanti tormenti sofferti non aveva mai nominato il Campanella, e le storie postume di tale inimicizia, come il movente delle ultime rivelazioni da lui fatte, appariscono asserzioni inventate pe' bisogni
129
Allude manifestamente alla perdita delle navi che si ebbe al tempo in cui si fece morire il clerico Cesare Pisano.
130
Intendi Niccolò Tedeschi, Benedettino Catanese, Arcivescovo di Palermo, poi Cardinale, detto anche l'Abate Palermitano. Di lui si hanno molte opere; morì nel 1445.