Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 6. Edward Gibbon

Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 6 - Edward Gibbon


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i più malvagi degli Italiani. Gli Spagnuoli, nel medesimo tempo, erano il terrore sì del Vecchio che del Nuovo Mondo. Ma l'altiero loro valore veniva disonorato da un profondo orgoglio, da una rapace avarizia, e da una insaziabile crudeltà. Instancabili nella ricerca della fama e delle ricchezze, avevano essi per mezzo d'una lunga pratica perfezionato i metodi più squisiti ed efficaci di torturare i lor prigionieri: molti Castigliani, che saccheggiarono Roma, erano famigliari della Inquisizione, ed alcuni volontari eran probabilmente tornati di fresco dalla conquista del Messico. I Tedeschi eran meno corrotti degl'Italiani, e meno crudeli degli Spagnuoli; ed il rozzo o anche selvaggio aspetto di quei Settentrionali guerrieri spesse volte cuopriva una semplice e compassionevol disposizione. Ma questi si erano imbevuti, nel primo fervore della Riforma, dello spirito non meno che dei principj di Lutero. Il divertimento lor favorito era quello d'insultare o di distruggere i sacri oggetti della cattolica superstizione: secondavano essi, senza rimorso o pietà, un odio devoto contro il clero di qualsivoglia specie o grado, che forma una sì considerabile parte degli abitanti di Roma moderna; ed il fanatico loro zelo potè forse aspirare a rovesciare il trono del creduto Anticristo, ed a purificare col sangue e col fuoco le abbominazioni della spiritual Babilonia299.

      A. 410

      La ritirata dei vittoriosi Goti, che nel sesto giorno300 partiron da Roma, potè ben essere il resultato della prudenza: ma non fu sicuramente l'effetto del timore301. Alla testa d'un'armata carica di ricche e pesanti spoglie, l'intrepido Capitano avanzossi lungo la via Appia verso le Province meridionali d'Italia, distruggendo tutto ciò che ardiva opporsi al suo passaggio, e contentandosi di predare il paese, dove non si facea resistenza. Il destino di Capua, superba e lussuriosa Metropoli della Campania, e che anche nella sua decadenza era rispettata come l'ottava città dell'Impero302, è sepolto nell'obblivione; mentre la vicina città di Nola303 fu illustrata in quest'occasione dalla santità di Paolino304, che fu successivamente Console, Monaco, e Vescovo. All'età di quarant'anni ei rinunziò ai diletti delle ricchezze, degli onori, e della società, ed alla letteratura per abbracciare una vita di solitudine e di penitenza; e l'alto applauso del Clero lo inanimò a disprezzare i rimproveri dei mondani suoi amici, che attribuivano tal violento atto a qualche disordine della mente o del corpo305. Un antico ed appassionato attaccamento lo determinò a porre l'umile sua abitazione in uno dei sobborghi di Nola, vicino al sepolcro miracoloso di S. Felice, che la pubblica devozione aveva già circondato di cinque grandi e frequentate Chiese. Gli avanzi del suo patrimonio e del suo ingegno furono consacrati al servizio del glorioso Martire, di cui Paolino giammai non mancò di celebrar le lodi con un Inno solenne, il giorno della sua festa, ed in nome del quale eresse una sesta Chiesa di maggior eleganza e bellezza, che fu decorata con molte curiose pitture, tratte dall'istoria del vecchio e del nuovo Testamento. Uno zelo sì assiduo gli cattivò il favore del Santo306, e dopo quindici anni di ritiro, il Console Romano fu costretto ad accettare il Vescovato di Nola, pochi mesi avanti che la città fosse investita dai Goti. Durante l'assedio, alcuni devoti si persuasero di aver veduto, o in sogno o in visione, la divina forma del tutelare lor Santo; tuttavia l'evento ben presto fe' manifesto che Felice mancava di potere o di buon volere per salvare il gregge di cui era stato pastore. Non evitò la generale devastazione307; ma il Vescovo, fatto schiavo, restò difeso della comune opinione della sua innocenza e della sua povertà. Passarono più di quattro anni dalla prospera invasione fatta dell'Italia dalle armi d'Alarico, fino alla volontaria ritirata de' Goti sotto la condotta d'Adolfo suo successore; ed in tutto quel tempo essi regnarono senza contrasto in un paese che, secondo l'opinion degli antichi, aveva unito in sè tutte le varie prerogative della natura e dell'arte. La felicità, in vero, a cui era giunta l'Italia nel fortunato secolo degli Antonini, era a grado a grado scemata col declinar dell'Impero. Ma i frutti di una lunga pace perirono nelle rozze mani dei Barbari; ed i medesimi non furon capaci di gustare le più eleganti finezze del lusso, che erano state preparate per uso dei molli ed ingentiliti Italiani. Ogni soldato però esigeva una buona porzione di sostanziali dovizie, di grano e di bestiame, d'olio e di vino, che giornalmente si raccoglieva e si consumava nel campo Gotico: ed i principali Uffiziali insultavano i giardini e le ville, abitate una volta da Lucullo e da Cicerone, lungo le deliziose coste della Campania. I tremanti loro schiavi, i figli e le figlie dei Senatori Romani, presentavano, in coppe d'oro e di gemme, abbondanti dosi di vino Falerno ai superbi vincitori, che stendevano le rozze lor membra all'ombra dei platani308, artifiziosamente disposti in maniera da impedire i cocenti raggi del sole, ed ammetterne il piacevol calore. Tali diletti erano accresciuti dalla memoria dei passati travagli; ed il confronto del nativo loro paese, dei freddi e nudi colli della Scizia, delle gelate rive dell'Elba e del Danubio, aggiungevano nuovi incanti alla felicità del clima italiano309.

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      O fosse la fama, o la conquista, o la ricchezza l'oggetto di Alarico, ei lo cercò con instancabile ardore, che non potè esser frenato dall'avversità, nè saziato dal felice successo. Appena fu giunto all'estremità dell'Italia, fu attratto dal vicino prospetto d'una fertile e pacifica Isola. Risguardava però anche il possesso della Sicilia come un passo per fare l'importante spedizione che già meditava contro il continente dell'Affrica. Lo stretto di Reggio e di Messina310 è lungo dodici miglia, è largo, nel luogo più angusto, circa un miglio e mezzo; ed i favolosi mostri della voragine, le rupi di Scilla, ed il vortice di Cariddi non potevano spaventare che i più timidi ed inabili marinari. Pure tosto che fu imbarcata la prima divisione dei Goti, sorse un'improvvisa tempesta, che disperse, e fece naufragare molti legni; fu vinto il loro coraggio dal terrore d'un nuovo elemento; e svanì tutto il disegno per l'immatura morte d'Alarico, la quale, dopo una breve malattia, pose il termine fatale alle sue conquiste. Si spiegò il feroce carattere dei Barbari nei funerali d'un Eroe, di cui celebrarono con lugubre applauso la fortuna ed il valore. Coll'opera d'una moltitudine di schiavi, fecero a forza voltare il corso del Busentino, piccolo fiume, che bagna le mura di Cosenza. Nel letto voto di esso fu costruito il sepolcro reale, adornato con le splendide spoglie e trofei di Roma; quindi si fecero tornare le acque nel nativo loro canale; e restò per sempre celato il segreto posto, in cui fu depositato il cadavere d'Alarico, per l'inumana strage degli schiavi, che si erano impiegati nell'eseguire quell'opera311.

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      1

      Aletto, invidiosa della pubblica felicità, convoca un concilio infernale, Megera le raccomanda Ruffino suo allievo e l'eccita a far del male ec. Ma v'è tanta differenza fra la furia di Claudiano e quella di Virgilio, quanta n'è fra i caratteri di Turno e di Ruffino.

      2

      Egli è evidente (Tillemont Hist. des


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<p>299</p>

Il furioso spirito di Lutero, effetto di temperamento e d'entusiasmo, è stato attaccato con forza (Bossuet, Istor. delle variaz. delle Ch. Protest. lib. I. p. 20-36), e debolmente difeso (Sechendorf., Comment. de Lutheranismo, specialmente lib. I. n. 78 p. 120, e lib. III. n. 122. pag. 556).

<p>300</p>

Marcellino (in Chron. Orosio lib. VII, c. 39, p. 575) asserisce, ch'ei lasciò Roma il terzo giorno; ma si può facilmente conciliare tal differenza pei successivi movimenti di gran corpi di truppe.

<p>301</p>

Socrate (lib. VII. c. 10) pretende però che Alarico fuggisse, alla notizia che gli eserciti dell'Impero Orientale erano in piena marcia per attaccarlo.

<p>302</p>

Ausonio, de Claris urbibus pag. 233. edit. Toll. La mollezza di Capua aveva una volta sorpassato quella di Sibari medesima. Vedi Ateneo, Deipnosophist. lib. XII. p. 528. edit. Casaubono.

<p>303</p>

Quarantotto unni prima della fondazione di Roma (circa 800. avanti l'Era Cristiana) i Toscani fabbricarono Capua e Nola, alla distanza di 23. miglia l'una dall'altra; ma l'ultima di queste non uscì mai dallo Stato di mediocrità.

<p>304</p>

Il Tillemont (Mem. Eccles. Tom. XIV p. 1-446.) ha raccolto con la solita sua diligenza tutto ciò, che si riferisce alla vita ed agli scritti di Paolino, la ritirata del quale ci è nota pe' suoi propri scritti, ed è celebrata dalle lodi di S. Ambrogio, di S. Girolamo, di S. Agostino, di Sulpicio Severo ec. suoi cristiani amici e contemporanei.

<p>305</p>

Vedi le affezionate lettere d'Ausonio (Epist. 19-25 p. 650-698 ed. Toll.) al suo Collega, amico, e discepolo Paolino. La religione d'Ausonio è tuttora un problema (Vedi Memoir. de l'Acad. des Inscript T. XV. p. 123-138). Io credo che tale fosse anche al suo tempo, e per conseguenza che nel suo cuore fosse Pagano.

<p>306</p>

L'umile Paolino una volta ebbe la presunzione di dire ch'egli credeva che San Felice lo amasse; almeno come un padrone ama il suo cagnolino.

<p>307</p>

Vedi Giornandes, de reb. Get. c. 30. p. 653. Filostorgio l. XII. c. 3, Agostino de Civ. Dei l. I. c. 10, Baronio, Annal. Eccles. an. 410. n. 45, 46.

<p>308</p>

Il platano era un albero favorito degli antichi dai quali fu propagato, per causa dell'ombra, dall'Oriente fino alla Gallia. (Plin., Hist. Nat. XII. 3, 4, 5). Questo scrittore fa menzione di alcuni Platani di enorme grandezza: uno di essi nell'Imperial villa di Velletri, che Caligola chiamava il suo nido, aveva tali rami, che eran capaci di contenere una gran tavola, il corteggio de' famigliari, e l'Imperatore medesimo, che Plinio graziosamente chiama pars umbrae; espressione che poteva con ugual ragione applicarsi ad Alarico.

<p>309</p>

«Il soggiogato mezzodì cede al distruttore i vantati suoi titoli, e gli aurei suoi campi; con truce diletto la stirpe del Settentrione vede un più lucente giorno, ed il Cielo di colore azzurro; odora la nuova fragranza della rosa che s'apre, ed ingoja l'uva pendente a misura che cresce». Vedi i poemi di Gray pubblicati dal Mason p. 197. Invece di compilar tavole di cronologia e d'istoria naturale, perchè non applicò il Gray le forze del suo ingegno a finire quel poema filosofico, di cui ci ha lasciato un saggio così squisito?

<p>310</p>

Quanto alla perfetta descrizione dello stretto di Messina, di Scilla, di Cariddi ec. vedi Cluverio (Ital. antiq. l. VI. p. 123. 9. e Sicil. Antiq. l. I. p. 60, 76), che ha diligentemente studiato gli antichi, ed esaminato con occhio curioso lo stato attuale del luogo.

<p>311</p>

Giornandes, de reb. Getic. c. 30 p. 654.